Davide Morganti, La consonante K
di Gianni Solla
«Non sono mai riuscito a comprendere in che modo, in paradiso, un uomo si possa considerare beato senza sentire la sua santità diminuire sapendo che altrove, all’inferno, c’è qualcuno che soffre»
Il demonio, allegato D/2
Questo è il territorio nel quale si muove La consonante K di Davide Morganti, Neri Pozza. Il bene visto dal male. A parlare è uno dei personaggi più suggestivi della storia, Victor, il demonio, che in seguito ribalterà la concezione dicotomica a cui siamo abituati mettendo in discussione l’ottusità del male a favore di un sentimento complesso, contradditorio, che prova pietà, molto simile al bene. Il tentativo continuo di ribaltare i fatti come li conosciamo è un’altra delle forze di questo romanzo che per costruzione mi riporta alla mente una cartuccia dell’Intellevision: Advanced Dungeons & Dragons, una storia piena di stanze segrete dove i cunicoli sono stati scavati dall’autore fatti apposta per depistare. Nella quarta di copertina troviamo la frase: “Un generatore di storie”. Aggiungerei, un generatore di dubbi. Per l’intera narrazione, la contrapposizione bene male è supportata dalla visione teologica dell’autore che viene utilizzata per muoversi attraverso gli eventi storici e i continenti costruendo un cubo tridimensionale che accoglie la storia recente e antica, dalla caduta del comunismo ai giorni nostri fino a eventi della vita di Gesù Cristo, per arrivare al deserto messicano. La storia è frammentata e affidata a personaggi collocati in tempi e luoghi distanti seppure il corpo unico della narrazione è sempre presente perché il lettore è trascinato da correnti sotterranee. La forza scatenante che mette in moto la narrazione è la caduta del comunismo che assume la natura di caos energetico. È il clima spettrale e di smarrimento che si crea nell’Est che consente la resurrezione di Lenin. Il nuovo Lenin comincerà la sua storia in un malfamato bar fino a ritrovarsi in America per combattere come wrestler, ma le visioni sono continue: il cineoperatore Zviad diventato cieco, registra le voci per strada, Bruxell stadio Heysel, 29 maggio 1985 durante la finale di coppa dei campioni tra Juventus e Liverpool con Boniek che corre sulla fascia mentre Agamennone lo esorta ad andare avanti, poi Bruno, ebreo e cui appare la Madonna e che finisce in analisi per le apparizioni che vengono confutate dal suo credo: “alcuni miei pazienti sono convinti che in realtà la fine del comunismo sia una simulazione del Partito per vedere chi gli è fedele e chi no”, donne che esposte alle radiazioni di Chernobyl partoriscono solo organi da rivendere al mercato nero e infine l’immagine più vivida del romanzo, il corpo di Gesù Cristo nelle braccia della Santa Muerte, conteso tra i cartelli sudamericani, e custodito dal demonio dal giorno della sua morte fino a oggi. Il romanzo è composto da livelli, verbali, allegati, fascicoli, codici, in un gioco di sovrapposizioni, per la difficoltà stessa di utilizzare la progressione dei capitoli e sfuggire al senso di linearità temporale e geografica per mettere in scena un romanzo mondo, e ancora, sulla struttura del romanzo, il corposo complesso di annotazioni, chiamato Biografia della massa, dodici pagine per centoquattro note, raccontano una Spoon River di comparse che per poche righe popolano il romanzo e che l’autore battezza (un creatore di mondi conosce la storia di ogni abitante) e gli dà dignità di personaggi allegando informazioni sulla loro vita. Un progetto coraggioso e riuscito.
Davide Morganti ,La consonante K, Neri Pozza, 2017, pp. 420
Romanzo grandissimo, difficilmente collocabile nell’asfittica passerella di quelle cinque-sei formattazioni narrative che sforna l’editoria italiana da anni e anni. Forse Morganti non sarà d’accordo con me, e forse non lo ama neppure, quel genio dell’Illinois che ci ha regalato cose come Infinite Jest prima di rinunciare per sempre a quell’umanità che nelle sue opere dimostra di amare in maniera direi cristiana. Perché, come DFW, la disperata folla che brulica attorno all’intreccio psichedelico di storie, ecco: Morganti la ama. Non la utilizza per deriderla, o per costruire episodi farseschi al limite dello svuotamento di senso di ogni azione compiano o parola pronuncino. Sono molto d’accordo con questa bella recensione e trovo che quelle note, quel restituire dignità a ciascuna delle maschere che attraversano lo scatenato evolversi degli eventi, non dimostri altro che empatia profonda verso il genere umano, verso figuranti che la Storia vorrebbe marginali ma che l’autore assurge a ruolo di eroi, di protagonisti di un’epica minore ma non per questo meno dotata di rispettabilità. Tutti parimenti round e insieme flat, in un interscambio che mette in scena il definitivo declino delle metanarrazioni, direbbero i noiosi -l’eterno destino degli ultimi a subire i capricci dei malati di potenza che danno vita alla storia dei popoli, delle classi, delle sanguinarie lotte di dominio, correggerei io. C’è di più, tuttavia, nella Consonante K. E mi riferisco alla lingua, alla raffinatezza per niente ornamentale con cui Morganti con sicurezza e autorevolezza snocciola i fatti, narcotizzando pagina dopo pagina il lettore. E’ una predisposizione che l’autore aveva già ampiamente mostrato in quel gioco filologico coltissimo e divertito che prendeva il nome di “Screazione” ed era contenuta in Disertori – Einaudi, nell’ormai lontano anno 2000. Morganti prende quella fiera desiosa della lingua italiana e la scaraventa ai suoi piedi, la doma ammansendola, la coccola e pure la aizza a scaraventarsi contro il lettore sì da elegantemente, signorilmente squassarlo e urticarlo, da farlo deragliare dai tanti inutili birignao cui sia eventualmente abituato -scrivo ‘eventualmente’ poiché immagino che a questo romanzo non arrivi l’utilizzatore delle narrazioni edificanti e consolatorie che propalano quotidianamente dalle major, ma la speranza è che un grande editore come Neri Pozza, con questa scelta coraggiosissima, apra un varco, mostri la possibilità che la Letteratura è ancora viva e vegeta.