Manuale di atti sovversivi

“E il settimo giorno ballò” – Lisbona, 2017

 

a cura di Serena Cacchioli

Judite Canha Fernandes è nata a Funchal, sull’isola di Madeira, nel 1971. È performer, femminista, curinga (di Teatro dell’Oppresso/a), scrittrice, bibliotecaria, attivista, madre e ricercatrice, senza un ordine preciso, ed è stata rappresentante europea nel Comité International della Marcia Mondiale delle Donne tra il 2010 e il 2016.

Le sue opere spaziano dalla poesia al teatro, dalla letteratura per l’infanzia ai racconti brevi. I componimenti che presento, tradotti da me, fanno parte del «Manuale di atti sovversivi», pubblicato nella raccolta O mais difícil do capitalismo é encontrar o sítio onde pôr as bombas (La cosa più difficile del capitalismo è trovare il posto dove mettere le bombe, Urutau Editora, São Paulo, Brasil. Poesia, 2017, inedita in italiano). Il Manuale nasce da un esperimento di creazione collettiva. Judite ha chiesto a un certo numero di persone di dirle un gesto – un semplice gesto privato – che ognuno di loro fa, quotidianamente o meno, contro il capitalismo. Il risultato è un manuale poetico e collettivo straripante di idee sovversive.

 

manuale di atti sovversivi

 

 II. (atti di ricapitalizzazione)

 

decoro la casa con mobili e fiori di strada
smetto di mangiare carne                  spengo la tv
sono inutile                 non servo
(non servo per sposarmi                   non servo per lavorare
non servo per dare l’esempio            l’arte non serve a niente
io non servo)
offro arte sulla via pubblica               faccio la pipì nei prati.
faccio e disfo i colori
riutilizzo
i dolori, gli amori, il tempo.

 

pago l’affitto in collettivo, secondo i redditi
o
la loro
mancanza.

 

faccio pupazzi da dito e li scambio per la lana delle vicine
cerco il nome di una poetessa dell’Ottocento
fra i contatti del telefonino
uso i vestiti di mia madre
tengo i soldi sotto al cuscino
bevo il caffè del commercio equo.

 

il problema è che ogni volta che voglio mettere una bomba contro il
capitalismo, nel frattempo lo uso.
(perdonami signore, perché pecco di ridondanza. attraggo e capto
fondi di capitale per distruggere nidi di capitale)
per costruire la bomba           (o la faccio in un picnic)
o cerco la ricetta su internet
chiedo un prestito a una banca
vado a far compere al centro commerciale
e non so mai dove mettere la bomba.

 

divorzio da un bancario.
(e quella banca non sarà mai più la stessa:
bca                 banif                    santander)

 

torno a casa
semino il mio orto
condivido semi
faccio pacchettini che vengono da regali precedenti
scrivo lettere su carta sottile
e le digitalizzo per mandarle a te.

*

 

III. (atti di collettivizzazione)

 

non ho proprietà privata nel frigorifero,
cucino sempre amore collettivo.

 

cerco di esistere liberamente
o libera dalla mente, non so.
converso per via telepatica
trasformo casa mia in un festival gratuito
e ripeto tutti i gesti. di tutte le infanzie.
di tutte le domande.
amo come se il cuore fosse una bomba a orologeria,
inserisco una frase poetica nella traduzione di una lettera commerciale
sopporto il calore delle profondità vulcaniche senza reagire.

 

senza reagire
cuocio l’argilla
fino a essere capace di decidere per me quel che vorrò.

 

sono l’eroina inevitabile delle mie routine.

 

empatia. urgentemente.
(era ancora il 19 gennaio del 1923 e si diceva già la stessa cosa)

 

allatto mio figlio. posso alimentare
con il mio stesso corpo
la vita bella e semplice, spontanea e miracolosa.

 

o anche no. non sono madre.
non mi riproduco.
bacio persone dagli organi riproduttivi uguali ai miei per la strada.
occupo una casa, uno squat.
mi ricordo tutti i giorni che sono bella anche quando il mondo
insiste a dire che sono brutta.
mi ricordo tutti i giorni della bellezza anche quando il mondo mi
spaventa.
mi ricordo e mi meraviglio tutti i giorni.

 

imparo che l’amore non dipende da una sola persona.
sola soltanto.

 

per niente sola,
fra tanti passeri in cerca di una poesia collettiva.

*

IV. [atti d’azione (diretta)]

 

racconto la mia storia.
(alle persone non piace ascoltare sofferenza altrui, per questo
racconto sempre la mia storia
e la mia storia è quella che nessuno vuole ascoltare.)

 

ho riunioni felici e riunioni difficili.

 

nel mezzo di una città prodigiosa, faccio graffiti su cartelli d’annunci
(soprattutto su quelli che vendono felicità)
sputo fuoco
e poi la manifestazione avanza, viola e siderale.
disfo demolizioni
e nel mezzo delle aggressioni, grido all’uniforme:
“la pace, il pane, la casa”.

 

la pace            il pane             la casa.

 

occupo il banco de portugal              poi l’azienda sanitaria locale.

 

mi amo.
(eccoti una bomba, industria cosmetica! eccoti un’altra bomba,
industria farmaceutica! e un’altra,
apparato psico-psichiatrico!)

 

restituisco la mia tessera militare come obiettore di coscienza,
restituisco alla pide tutti i dischi di zeca afonso meno uno.
questo lo ascoltiamo nello sgabuzzino tra spavento e confusione.

 

una volta
ho fatto passare in televisione un disco che sputava su george w. bush
dicendo che era una ballata romantica.
iniziava così: george era un bambino basso
molto più basso del comune. mi ricordo benissimo
di voler assaltare una banca. più di tutto.
(più di fare vendita diretta dei miei cd alla fnac)
entrerei con la tuta da sub dal condotto della via costiera
e poi capirei
il capitale è un cubo d’acciaio con la serratura su un lato che
trattiene l’aria all’interno.

 

per fortuna mia
ho un mini server in casa,
la mia cloud proprio sul letto.
lo stato, per sapere dei miei sogni,
deve sfondare la porta,
e google non ha ancora salvato il mio pensiero.

*

V. (atti del fine settimana)

 

di venerdì non produco, fingo soltanto.
ho allargato il fine settimana
– i take my time           i make my time –
uso i miei piedi e una bicicletta usata
dedico il mio tempo ed energia a cose inutili
coltivo la distrazione, faccio cose senza senso
lavoro con scambi non monetari, non contabili, effimeri
e imprevisti
con persone che non conosco e altre che amo.

 

i fine settimana sono per i lavori dell’anima: tessere mazzi
d’incenso,
propagare erbe                      prendersi cura dei fiori.

 

non mi depilo. resto lì, il ginecologo non sa bene che fare
con le mani
e io serena, in mezzo ai peli,
mi riconosco bella, riservata e domestica.

 

nella casa accanto, durante una valutazione strategica del funzionamento,
un ateo risponde al questionario su quale pensa che sarà il futuro
dell’impresa:
“il futuro appartiene a dio.”
e dio danzò,
e io con lui. danzare è stata. sempre.
una delle mie sovversioni preferite.
atto ad atto
permanentemente sana
anche quando svengo
o quasi sparisco
perché sono la speranza
e non c’è antidoto più sovversivo.

 

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email

4 Commenti

  1. Bellissimo questo Manuale e di grande ispirazione!
    Grazie per la traduzione e…SI!!! sarebbe bello leggere TUTTO il materiale di Judite che in Italia nn è conosciuta. Grazie per il vostro lavoro

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Cinquant’anni dalle poesie che non cambieranno il mondo

di Rosalia Gambatesa
Le mie poesie non cambieranno il mondo non voleva dire che lei non lo volesse cambiare. Quel titolo «era una provocazione, ma anche una forma di arroganza. Perché dire “le mie poesie non cambieranno il mondo” voleva dire il contrario. Cambiarlo, ma in maniera diversa, attraverso le parole.

Una storia emiliano-romagnola

di Valeria Merante
A Bologna un affitto è più caro di un mutuo ed è una notizia indegna. Tutti pensano al capitale investito come la ricchezza migliore. Matteo ha un camper e vuole vendere la sua casa immensa, non vede l’ora.

Nelle pieghe degli anni Ottanta

di Pasquale Palmieri
Chi scrive parte dal presupposto che quella stessa epoca non sia riducibile alle sole tendenze verso l’ottimismo e l’edonismo, ma sia allo stesso tempo attraversata anche da pesanti conflitti che ridefiniscono il rapporto fra individui e collettività

Scoprire, conquistare, raccontare le Indie. Intervista a Emanuele Canzaniello

di Pasquale Palmieri
"Da un lato il Breviario vive della vertigine dei dati minimi, della pazienza della scienza, della faticosa acquisizione che ci ha offerto la Storia. Vive e omaggia quella moltitudine di notizie, ne fa una sostanza plasmabile che è già narrazione.

L’Africa per noi. Su “L’Africa non è un paese” di Dipo Faloyin

di Daniele Ruini
In apertura del libro di cui stiamo per parlare troviamo, come citazione in esergo, questa indicazione: «Inserire qui un generico proverbio africano. Idealmente, un’allegoria su una scimmia saggia che interagisce con un albero. Fonte: Antico proverbio africano».

I nervi, il cuore e la Storia. Intervista a Rosella Postorino

di Pasquale Palmieri
“Siamo tutti mossi dal desiderio, dubbiosi sulla felicità possibile, tentati da un impossibile ritorno a casa, gettati nostro malgrado nella Storia”. Prendo in prestito queste parole dalla quarta di copertina del nuovo libro di Rosella Postorino
ornella tajani
ornella tajani
Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: