Amando Lear: Giorgio Barberio Corsetti
Eredi e carnefici del proprio destino
Appunti sul Re Lear di Giorgio Barberio Corsetti
di Lucio Saviani
Re Lear è lo spettacolo della vita che concepisce la sempre imminente disfatta, una vita che anticipa la rovina e corre verso la propria fine. È vita impregnata di morte, un destino che si fa carne. Ed è una carne che sa di male, che ha odore di morte (“smells of mortality”). A tratti, sui piccoli carri spinti dagli attori, sulle sue scarne scene mobili, Giorgio Barberio Corsetti sistema e presenta personaggi disposti come “nature morte”.
È una storia di donne e di uomini, di padri e figli, genitori ed eredi, e tutti, in un mondo che odora di mortalità, tutti carnefici del proprio destino.
Una verità che gli occhi non vedono e che vuole per sé chi è fuori di senno (il cieco e il folle qui guadagnano a volte un tono beckettiano; come re Lear di tanto in tanto sembra intendersi nei suoi deliri festosi con ospiti assenti, uomini di trono e di teatro, come Caligola, Eliogabalo, Ludwig, Rodolfo II e anche quel principe di Homburg che, poco tempo fa, Barberio Corsetti ha portato in scena ad Avignone).
Re Lear è lo spettacolo sinistro, infernale, il dramma di morte, dissidio, esilio, calunnia e dissoluzione, il più apocalittico e “tempestoso” dei drammi shakespeariani, continuo presagio di catastrofe e rovina del mondo. Perché Re Lear (e lo spettacolo di Barberio Corsetti ne è formidabile interpretazione) è il dramma in cui tutto è eccesso, de-lirio, un andare oltre il segno, con il suo tempo sostenuto ad ogni passo, veloce e rovinoso, dove tutto precipita, con i personaggi che corrono via verso il precipizio del destino che essi già incarnano.
Corsa scellerata e furiosa come su un pendìo scosceso, che per Barberio Corsetti è inclinato come le tavole di un palcoscenico.
La potente bellezza dello spettacolo di Barberio Corsetti è retta, sostenuta, con forza davvero regale, dal ritmo con cui la tempestosa storia prende vita e mortale vicenda. Rhythmos, prima ancora che il “moto delle onde”, significa la forma che in un istante assume ciò che è in movimento, forma modificabile, senza consistenza organica, come un drappo della veste che si ferma sulla spalla, o come l’instabilità dell’umore, ossia di ciò che scorre via. È proprio grazie a questo eccezionale ritmo, tempo che non abdica né divide, che lo spettacolo può sprigionare la sua forza e conservare al tempo stesso la sua potente stabilità.
Il tragico dissidio tra l’esercizio del potere e una dichiarazione d’amore, autorità e potestà come sorelle rivali, l’impegno dell’eredità e la necessità del riconoscimento: Re Lear, proprio grazie a queste vicende, mette in scena la fine di un’epoca e l’inizio di un’altra. Ma come poter riconoscere un’epoca prima che sia davvero un’epoca, ossia prima della sua fine? Il Re Lear di Giorgio Barberio Corsetti è un interrogarci sulla nostra epoca, una domanda piuttosto rara sulla scena del tempo presente e che di questo spettacolo esprime tutta la necessaria e preziosissima inattualità.
All’Argentina di Roma ‘Re Lear’ con Ennio Fantastichini diretto da Barberio Corsetti
Lo spettacolo debutta il 21 novembre e rimarrà in cartellone sino al 10 dicembre