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Appunti per la costruzione di una mappa di superficie e di profondità del Sulcis Iglesiente (1/2)

testo e foto di Dario Coletti

 

 

 

 

 

 

 

 

Più di altri il territorio del Sulcis Iglesiente può essere visto come punto di incontro tra più universi, perché aggiunge ad una dimensione quotidiana, esplicita e ordinaria, che si sviluppa in superficie, una seconda dimensione: sotterranea, misteriosa, insondabile, conosciuta solo in parte e da pochi. Tale dimensione interna, che si sviluppa nelle profondità della terra e del mare genera due mestieri antichi e complessi come il lavoro di miniera e la mattanza. Questa dualità ammantata di fascino, fra mistero e leggenda, è difficile da narrare. Per compiere responsabilmente questo compito oltre a vivere il territorio è necessario separare i fatti dalle idee, riportare le vicende con semplicità, guardare agli eventi senza pregiudizi. Bisogna avere presente la coscienza del proprio ruolo, conoscere la natura delle proprie ambizioni, mettere a disposizione le proprie osservazioni a chi è curioso dei fatti del mondo e non può essere presente, avere voglia di confrontarsi con il mondo reale e infine desiderare di concorrere alla crescita della società.

Il primo elemento affascinante che si nota all’inizio dell’esplorazione di questo territorio compreso tra Teulada e Montevecchio, è la sua capacità di mantenere saldo il rapporto con il mondo arcaico nel mentre che progredisce e di mantenere il suo ruolo di custode di una cultura originaria mentre si lascia contaminare da stimoli esterni. Il Sulcis Iglesiente è un sistema complesso governato da equilibri delicati che si stabiliscono tra sotto-organismi di diverso genere. Sono questi ultimi che con le loro azioni  determinano il benessere o il disordine di questa terra. Attraverso le ferite e le cicatrici visibili nel paesaggio si percepisce come vivo il potere distruttivo dell’uomo, ma anche le sue potenzialità lenitive e di guarigione. Tra queste montagne e il mare è possibile ritrovare gli elementi che caratterizzano il rapporto tra uomo e ambiente, ma per farlo è necessario lasciare spazio alle voci dei protagonisti, allenarsi ad ascoltare con la coscienza, ad osservare con l’istinto e avere il coraggio di riportare tanto più i silenzi che ciò che è esplicitamente dichiarato. È necessario seguire le suggestioni che il paesaggio  suggerisce per registrarne la profondità.

 

 

 

È impossibile non ripensare a Moby Dick o a i Malavoglia quando si sale su un’imbarcazione per preparare pazientemente una pesca e poi praticarla, o a Germinal e a il figlio di Bakunin attraversando un villaggio minerario o percorrendo le lunghe gallerie del sottosuolo. Le ancore disposte in attesa di essere calate per le tonnare sembrano enormi carcasse di cetaceo, rapporti e proporzioni che l’uomo ha conosciuto all’inizio del suo cammino; l’attenzione e il silenzio del Rais riporta alle riflessioni del capitano Kurtz di conradiana memoria, e la precarietà del vivere da pescatore in balia di un elemento imprevedibile e bizzoso, alle vicende di Santiago il pescatore de Il vecchio e il mare. E così nella miniera ti sembra di essere catapultato in un girone dantesco quando il rumore delle macchine rompe il silenzio del sottosuolo e scatena caldo e polvere, che il sudore degli uomini trasforma in inquietanti maschere nere.

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il sottosuolo

La vita della miniera è dura. Basta solo bardarsi per scendere nei  pozzi per accorgersene. Lampade, elmetti, cinturoni e respiratori costituiscono allo stesso tempo peso, ingombro e fonte di salvezza. E lo scavo del minerale o del carbone, e gli sbalzi di temperatura, la durezza della fronte, il buio continuo rotto dai neon o dalle lampade dei minatori. E’ duro entrare con il buio, alla mattina presto, ed uscire dalla miniera dopo un turno di straordinario, che è ancora buio, entrando in una dimensione fatta di oscurità; è duro il ricordo di un incidente sul lavoro nel quale hai perso un compagno. E’ duro anche il paesaggio, e aspro. Da qualsiasi parte del territorio è possibile vedere una miniera. E così anche gli uomini e le donne diventano duri, le mascelle, gli zigomi, gli occhi sono duri. Anche se leggermente lucidi come in uno stato di febbrile dominazione dei sentimenti. Un sorriso di un minatore vale come un sentimento o un giuramento. Assume valore assoluto.

 

 

 

Nella miniera metallifera, Il lavoro consiste nel praticare dei lunghi fori all’interno della montagna che poi vengono caricati con dell’esplosivo da far brillare. Nelle miniere di carbone  per scavare il fronte si utilizzano grandi macchinari che tagliano la parete friabile e trasportano il materiale su dei giganteschi nastri. Anche con tale scarna descrizione non è difficile immaginare a quali rischi è esposto chi lavora nel sottosuolo, e quali sentimenti di solidarietà e profonda amicizia possano instaurarsi tra i minatori durante un turno di lavoro, in un’atmosfera contraddittoria caratterizzata come è da luoghi polverosi e umidi, caldi e freddi, silenziosi e assordanti. La domenica i vecchi minatori affollano le piazze dei centri minerari, con indosso il vestito della festa e la dignità di chi si è sempre conquistato la vita con fatica. Sono dinamici monumenti alla memoria, che si spostano per piazze e vie della città. Testimoni pulsanti di una storia quotidiana che in più di un caso si è intrecciata con la grande Storia.

A Buggerru è usuale sentire i racconti dell’eccidio del 4 settembre del 1904, quando, durante uno sciopero dei minatori l’esercito aveva aperto il fuoco sui dimostranti. Quell’eccidio aveva dato origine al primo sciopero generale nazionale della storia del nostro paese. Questi anziani,  raccontano di vita e di morte, che basta ascoltarli per diventare più uomini e per misurare il peso di responsabilità ataviche. Le storie che narrano sono le storie della vita: le nascite, i grandi banchetti, i matrimoni, le feste, la morte, l’ultimo saluto tributato ad un amico scomparso, l’impegno. Tra loro puoi incontrare un poeta-minatore col suo volto antico, le orecchie grandi dei saggi, gli occhi profondi di chi può guardare con cognizione al passato e con fiducia al futuro, le sopracciglia folte e inarcate da guerriero. Le sue poesie parlano di buio e di mattine di primavera radiose, di individui che tendono la mano ad altri individui con lo scopo di portare dignità all’umanità intera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra le rovine di Ingurtosu ascoltando con gli occhi i racconti di un minatore di Bau puoi essere introdotto a storie di infanzia, di famiglia, di rispetto del padre. Anche quando i suoi occhi si posano sugli oggetti sparsi tra le rovine di questo recente passato, sembrano guardare oltre la linea dell’orizzonte, ad una società fatta di lavoro, di uomini giusti, di rispetto e di libertà. Allontanandoti dopo aver ascoltato i suoi racconti ti trovi a  camminare piano, in punta di piedi, per non disturbare il concerto di cuori, respiri, canti e maledizioni; avrai voglia di voltarti allora, e facendolo non vedrai niente se non fondamenta, muri diroccati, infissi marciti.

 

 

 

A Bindua invece c’è un altro minatore, la sua figlioletta di un tempo è ormai una donna, gli occhi sorridono al ricordo di quando, durante l’occupazione dei pozzi del ’93, la minuscola bimba era riuscita a passare tra le sbarre che la dividevano dal babbo in rivolta. La commozione di un padre può costituire un elemento formativo importante, che riemerge dal profondo della coscienza davanti a un torto subito, rivelandosi come  potente strumento di riscossa.

I ricordi che ho raccolto formano questa gente straordinaria dall’apparente vita ordinaria. Muti, custodi del mistero.

 

le fotografie di Dario Coletti, e i testi dello stesso fotografo che le accompagnano,  sono tratti dal volume bilingue (italiano e inglese) OKEANOS&HADES, edito da PostCart (2011), 40 €

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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