Da Lavoro da fare, VII
di Biagio Cepollaro
VII
al ruotare del pianeta l’aria
anche questa volta acquista
in dolcezza: anche quest ‘anno
ci sorprende come un dono
si disse che guardato dalla fine
solo l’amore è cosa che val la pena
di realizzare e con ciò non s’intendeva
una situazione ma il modo globale
di fare mondo -dentro standoci- e
in ogni cosa da fare -facendola
ma quando tutto questo sta
nel palmo di una mano
ogni cosa mostra suo nome
e sopra tutto oltre la mano
c’è il nulla dell’esser già
passati altrove o in niente
è così difficile tollerare questa vista
contare con le dita di cosa è fatta
poi la propria vita
e
nome
per nome
avere coscienza
di questo passare: è la malinconia
che si accompagna all’intensità
del desiderio che quando è sano
ha sempre inizio e fine
noi –diceva saggia- andiamo
in giro da sempre a chiedere
l’essere da qualcuno
dall’inizio
dal primo sguardo
a fuoco
di neonato oltre il primo
riconoscimento
a fiuto
e la completezza che cerchiamo
nel darci da fare o nello stare
fermi lasciando avvicinare
è cosa che sfugge in breve:
ogni giorno daccapo cerchiamo
il ciclo al suo ritorno quell’attimo
solo che poggia a terra il piede
e sembra senza peso per potere
andare
*
e insomma ora che fare? la scomparsa
dei racconti del mondo in una dittatura
mondiale ci lascia l’uso
solo di una parola
lunga come dura la nostra vita: sarebbe
altrimenti restata sullo sfondo ma ora
è l’unica da svolgere così come di un giorno
si racconta dall’alba
alla notte il farsi
e il disfarsi
di inezie
–come il Tao
che chiedeva come può la durata
di farfalla saperne di stagioni
così noi con la storia –
(nel Paese
occupato non collaborare con nemico
è ricerca di un’altra lingua pur sempre
parlando nella propria pur sempre
restando comuni –anche se di comunità
privi)
siamo in attesa di quel che accade
e forse per questo
stiamo accadendo: ci difendiamo
poco e senza riassumerci
in un motto
avanziamo: le cose
possono anche all’improvviso
avere un nome
nuovo
oppure tranquille
persistere in una loro
faticosa
scorrevolezza
di qui il disagio quando si sta
in mezzo a gente
che fa progetti
che fa e non si capisce
per cosa e perché
come uno che manca
per troppa presenza
come uno che non sa
vuota la natura di quella
presenza
*
diciamo che siamo stanchi
dei teatrini altrui
e nostri
che piuttosto ce ne stiamo
buoni e zitti
da qualche parte
come chi abituato
a lottare
in un campo
un bel giorno scopre
che il campo
non c’è più
-che questo è accaduto:
la poesia nel Paese
occupato
come in genere la rosa
dei simboli in cui
dice di sé
la vita
non c’è più: ancora
si scrive e si pensa
ancora si fa arte
ma da un’altra parte
(una volta si rifugiavano
sulle montagne
preparando imboscate
ora si sparisce nei monitor
e il bosco è salvaschermo )
NOTA
Da Lavoro da fare (2002-2005), Dot.com Press, Milano,2017.
L’immagine, Ibrido digitale n.3, 2008 di Biagio Cepollaro, funge da copertina del libro.
Qui viene pubblicata la parte VII del poemetto che consta di otto parti e un prologo. Lavoro da fare uscì come e-book nel 2006 con la postfazione di Florinda Fusco. L’edizione cartacea del 2017 comprende, oltre all’originaria postfazione, anche i contributi critici di Giuliano Mesa e di Andrea Inglese. Il saggio di quest’ultimo , diviso in due parti, è rintracciabile qui e qui. Reazioni, interventi e video relativi al poemetto sono raccolti qui e qui.