Note per una critica futura
di Biagio Cepollaro
La critica come “esperienza di lettura”.
[Nel 2006 scrissi alcune note nell’intento di mettere a fuoco ciò che per me era l’atto della critica come atto di lettura. Sono apparse poi sulla rivista Atelier, Numero 46, giugno 2007. Tale scritto ha dato il titolo ai Quaderni di critica letteraria che curai con Andrea Inglese tra il 2007 e il 2010 e che si possono leggere qui.
Ripropongo qui, come materiali, gli undici punti che inviai come stimolo iniziale agli invitati alla serata dedicata al tema della critica di Tu se sai dire dillo 2014. B.C.]
1.
Cosa vuol dire, leggendo della poesia, fare poi della critica? Cosa vuol dire oggi, in un tempo in cui il testo come entità semiologica, tende ad avere diverso statuto, incalzato dall’oralità secondaria (Walter Ong) della telematica e dall’utilizzo di altri media, diversi dal libro, con relative implicazioni?
Paradossalmente l’esteriorizzazione a cui sembra richiamare il mutamento del paesaggio tecnologico, invita, può invitare, ad una concentrazione maggiore sull’atto di lettura (a monitor, su foglio appena uscito dalla stampante, su pagina densa di libro)…
2.
Le dimensioni a cui un testo poetico allude, il crocevia di informazioni in cui consiste, anche quando si irrigidisce in una pretesa autoreferenziale, anche quando esibisce la sua letterarietà come un luogo atemporale e impermeabile, sono troppo presenti perché sia possibile ignorarle.
Certo, vi sono testi che indicano questa molteplicità di attraversamenti, altri testi che addirittura mimano il caotico sovrapporsi di informazioni, ma il punto è sempre, per chi legge, riuscire ad individuare il punto di vista, la posizione, il contributo di intelligenza che non è calco ma fattura originale dell’autore. Perché dall’altra parte del testo c’è un autore: qualcuno che ha ridotto la molteplicità ad una serie di scelte discrete: ha scelto per noi un lessico, una sintassi, una ritmica. Oppure si può dire che da queste cose è stato scelto. Se si dice in questo secondo modo, la ragione sta nel fatto che si sottolinea la parte non consapevole dell’agire artistico. Dunque alla fine il paradosso di un agire non consapevole capace di questi attraversamenti molteplici …
E allora da dove origina uno stile piuttosto che un altro? Una selezione lessicale, sintattica, ritmica, piuttosto che un’altra? Il critico dovrebbe, tra l’altro, forse mostrare proprio la necessità di questa riduzione (la configurazione formale): in questa sottrazione di possibilità, tra l’altro, sta il segreto dell’efficacia di quella allusione alla molteplicità di dimensioni …
3.
Le convenzioni letterarie, e in genere, le strutture che permangono nel tempo, riconoscibili socialmente come arte, le fondamenta antropologiche della poesia, sopravvivono attraverso i secoli e le tecnologie, mutando continuamente, non solo nell’utilizzo dei materiali ma anche nelle funzioni.
E così da un certo punto di vista l’oralità primaria delle epoche prima dell’invenzione della scrittura e della stampa, e l’oralità secondaria indotta dalle nuove tecnologie, non spostano nulla di fondamentale per quel che concerne il ‘fenomeno di lunga durata’ che è l’arte o la poesia, in questo caso. Eppure le convenzioni di volta in volta devono essere animate per poter vivere; il rito continuamente deve rinnovarsi come esperienza di qualcuno, anzi come esperienza di più di uno …
Ed è da questo lato, dal lato di chi rinnova il rito, dal lato delle sue concrete circostanze storiche peculiari, che la nostra attenzione si sposta, quando si formula la domanda intorno al leggere, cioè all’uso concreto della poesia.
La critica è innanzitutto un atto di lettura che attualizza, in senso letterale, una ritualità dell’immaginazione e del pensiero. Ma i modi dell’immaginazione e del pensiero sono sempre legati a contesti peculiari: forse è proprio questo lo specifico di una critica che riemerge come bisogno, bisogno di tratteggiare delle peculiarità .
Chi fa la poesia sente oscuramente che i modi della critica, cioè i modi della lettura, devono rinnovarsi nel rinnovarsi dei contesti … Ogni atto di lettura ripercorre le scelte, le prospettive complessive a partire dalle quali le selezioni (lessicali, sintattiche, ritmiche, metriche etc.) si sono realizzate. Questi punti di vista si ancorano alla radice doppia del dentro e del fuori, della molteplicità degli attraversamenti e delle scelte compiute: tutto ciò va ripercorso accettandone le sollecitazioni, amplificando questo o quell’aspetto dell’insieme.
Rispondere a tali sollecitazioni (di immaginazione e pensiero) significa leggere, ricostruire il punto di vista, significa interpretare: aggiungere una chiave al mazzo delle esperienze possibili.
4.
L’atto di lettura del critico, nella sua imprevedibilità di esperienza, resta comunque un gesto disciplinato. Innanzitutto diventano assai problematiche le classificazioni che veicolano, in modo più o meno implicito, delle ipostatizzazioni e delle ontologizzazioni del testo. Le classificazioni nascono soprattutto dall’esigenza economica di produrre dei segni che abbiano funzione distintiva, ma l’atto di lettura come ‘esperienza di qualcuno, anzi come esperienza di più di uno’, come si diceva nella Nota 3, segue non una logica dell’economia ma una logica della moltiplicazione e dell’amplificazione semantica per risonanza.
Non si tratta, leggendo, di ridurre i molti all’uno ma al contrario di moltiplicare la prodigiosa sintesi in cui consiste il testo, nella molteplicità degli esiti possibili: la ritualità dell’immaginazione e del pensiero è, tra l’altro, proprio questo rispondere del lettore, questo ripercorrere, a partire dalla configurazione formale del testo, le scelte e gli esiti possibili di quelle scelte. Leggere è insomma un lasciar risuonare una chiave provando ad aprire altre porte, già comprese nel testo, ma ancora silenti. In questo senso il testo importa soprattutto per quel che non dice, non perché non l’avrebbe mai detto, ma perché ciò che ha detto attendeva il lettore per poter esser ascoltato, per risuonare. Ecco perché in una poesia, precisa nella sua configurazione formale, ogni elemento è semantizzato.
5.
In un certo senso la critica negativa non ha motivo di esserci. L’atto di lettura è promessa di esperienza e l’esperienza che si ritiene non valida, non significativa, è un’esperienza interrotta, morta al suo nascere, come un passo che non segue l’altro. Il critico non ha motivi per censurare, semplicemente smette di leggere. Censurare comporta un passaggio dal piano dell’esperienza della lettura a quello delle razionalizzanti ipostasi del gusto. Questo è il nodo che permette all’ideologia di sostituirsi all’atto di lettura finendo per adulterare l’intero processo.
L’atto ‘positivo’ del critico, come lasciar risuonare una chiave provando ad aprire altre porte, non abbisogna di sostegni esterni, ideologici, gli strumenti di cui fa uso sono subordinati all’esperienza che va facendo, così come scarponi, corde, e altro necessitano a chi va per monti.
Alla fine della lettura ci sarà ancora il testo e la sua moltiplicazione, la risposta, l’attualizzazione di possibili sensi, mentre nel caso della critica negativa, della censura, il testo non c’è più e vi sono soltanto ribaditi i punti di partenza del critico, le sue convinzioni più o meno sclerotiche, i suoi fantasmi identitari.
L’ascolto di chi legge è già un rispondere se leggere è appunto riattivazione di una ritualità dell’immaginazione e del pensiero.
L’atto di lettura, insomma, o avviene o non avviene. L’esperienza o avviene o non avviene. Ma se non avviene non vi sarà nulla da dire, così come degli innumerevoli eventi di una giornata nessuno fa cenno perché ritenuti non pertinenti.
Il punto non è stabilire, leggendo, dei valori, e delle relazioni tra valori, ma leggere, appunto. La materia del testo in qualche caso non ci abbandona dopo la lettura, noi continuiamo a parlare la nostra lingua ma, in modo appena percettibile, questa , dopo l’esperienza della lettura, risuona diversa.
Quando si dice banalmente che la lettura arricchisce non ci si riferisce a dei contenuti ma all’ampiezza dei toni e delle tonalità di cui siamo capaci . L’esperienza della lettura, come ogni altra esperienza, in misura diversa, coinvolge simultaneamente i livelli mentali, emotivi e fisici: il lettore dovrebbe in questo caso, dopo la lettura, ritrovare in sé un’ampiezza di spettro del pensare, del sentire e dell’immaginare, accresciuta e approfondita.
6.
Il nuovo non è costitutivo del testo ma dell’esperienza che del testo si fa.
Si possono leggere molte volte gli stessi libri perché ogni volta quei libri sono nuovi nell’interazione con il lettore. Il nuovo non è categoria ontologica ma relativa all’esperienza di qualcuno … D’altra parte l’esperienza perché sia tale è sempre nuova.
L’ideologia moderna dell’avanguardia trova uno dei suoi fondamenti nell’ontologizzazione del nuovo così come l’ideologia postmoderna lo trova nella sua negazione. Anche qui alla concretezza delle relazioni, dagli esiti sempre imprevedibili, si è sostituita l’astratta identità di un’ ipostasi.
Quindi il nuovo non sembra ridursi ad un oggetto ma sembra piuttosto essere una relazione di volta in volta imprevedibile.
Tale aggettivo non andrebbe mai sostantivato, reso sostanza: vuol dire cose diverse di volta in volta in contesti diversi. Per un lettore non dovrebbe porsi tale questione: la lettura non cerca il nuovo perché essa stessa in quanto esperienza di qualcuno, se davvero è tale, se davvero riesce a riattivare una ritualità dell’immaginazione e del pensiero, è sempre nuova.
7.
Il detto ‘si fa ciò che si è’, riferito all’arte, può anche voler dire che leggere è sempre un leggere tra le righe. L’extratestuale coincide con ciò che traspare tra le righe, non come qualcosa di estraneo al testo ma come qualcosa che sembra averlo generato; alla fine della lettura sarà il suo senso, anzi, un suo senso. La scelta lessicale, la voce che cova nelle relazioni fonosimboliche, l’intero impianto retorico sono la materia del senso e dei sensi da ricostruire, da ripercorrere.
Le porte che la lettura dovrà aprire sono le porte che alludono all’esperienza dell’autore che la prodigiosa sintesi del testo racchiude, socchiuse.
Più accosto è il movimento della lettura ai passi che il testo compie, più si avvicina il momento in cui si profila il senso, cioè l’esperienza di uno tende a diventare l’esperienza di un altro.
Ricostruire il punto di vista significa interpretare: non abbiamo mai di fronte ciò che un autore è ma sempre ciò che un autore ha fatto. Eppure ciò che ha fatto lo possiamo interpretare leggendo tra le righe ciò che lui è. Credevamo di esserci appiattiti sulle parole del testo, sul testo come insieme di parole, e ci ritroviamo, invece, con un possibile distillato di umana esperienza.
8.
Una poesia, alla lettura, innanzitutto consiste in un insieme di parole collocate e collegate in modo tale da essere riconosciute come poesia, appunto. Il Poetico costituisce l’orizzonte d’attesa della poesia anche se spesso quando la Poesia viene riconosciuta, il Poetico è costretto a riconfigurarsi.
La tautologia che lega Poesia e Poetico non è statica ma continuamente si trasforma al suo interno. Ciò che ieri, in molti casi, aveva funzione politico-religiosa, oggi ha funzione estetica.
Ma si potrebbe anche notare come molta della produzione estetica attuale (non certamente poetica per questione di mancata diffusione, ma massmediale) ha funzione politica e mitologica. Su questa ultima condizione si è spesso in passato concentrata la critica della cultura, essa stessa, come si è detto, ipostatizzante.
La presunta separatezza della sfera estetica da quella morale, psicologica, religiosa, economica e politica, alimenta uno di quei pregiudizi che hanno caricato la stessa sfera dell’arte di tutto il peso di queste mutilazioni. L’egotismo dell’artista potrebbe essere considerato anche come una conseguenza di questo sovraccarico, quasi a compensazione e a risarcimento della frattura.
La ricerca del nuovo del moderno si è così concentrata, per lo più, sulle parole e sul modo di collocarle e collegarle, più che sul nuovo come una relazione di volta in volta imprevedibile, come una qualità dell’esperienza non mutilata, non relegata alla sfera estetica, salvo il rovesciamento puro e semplice delle poetiche nelle ideologie.
Le avanguardie storiche, tra l’altro, hanno preparato il terreno per ciò che sarebbe diventata l’estetizzazione della vita e della politica: la vita, o meglio, le rappresentazioni della vita, come opera d’arte. L’universo massmediale ha potenziato tecnologicamente in modo esponenziale la forza e la pervasività di queste rappresentazioni, riducendo e standardizzando ma anche offrendo, in qualche caso, stimoli alla ricerca artistica, dal momento che spesso un nuovo medium retroagisce su quello precedente.
Una lettura che legga tra le righe tende a ricomporre ciò che è stato diviso: la logica della moltiplicazione e dell’amplificazione semantica per risonanza aprirà le porte che il Poetico costituito, nella separatezza della sfera dell’arte, tende a lasciar chiuse.
Leggere tra le righe potrebbe voler dire allora ricondurre il testo alla sua potenzialità morale, psicologica, politica…
9.
Se bisogna essere qualcosa per fare qualcosa, ciò vale anche per il lettore. Un lettore potrà aprire solo le porte del testo di cui in qualche modo, anche solo per un presentimento, aveva la chiave. Conoscere qui è più che mai riconoscere. E la gratitudine del lettore, ad esperienza compiuta, è propriamente riconoscenza.
La chiave in questione non è soprattutto nozione stilistico-retorica. Tale modo di intendere i prerequisiti del lettore sono da ascrivere a quella concezione romantico-avanguardista-postmoderna della separatezza sostanziale dell’arte. La chiave in questione appartiene piuttosto a quel percorso inverso che dalla separatezza porta alla reintegrazione: il leggere tra le righe. Reintegrazione non è altro che ricostruzione di una prospettiva, aggiungere una chiave al mazzo delle esperienze possibili, ricondurre il testo alla sua potenzialità morale, psicologica, politica …, appunto.
Il cosiddetto godimento estetico può essere considerato come un effetto collaterale di questa reintegrazione che è, insieme, cognitiva, emotiva e, in una certa misura, fisica.
Le fondamenta antropologiche della poesia, ciò che della poesia e dell’arte fa fenomeni di ‘lunga durata’, si ritrovano proprio in questo carattere di reintegrazione simbolica. La lettura che si limita all’ analisi stilistico-retorica spesso finisce con ipostatizzare le convenzioni letterarie, rendendo il testo simile ad un feticcio, mentre, come si è detto nella Nota 3, ‘le convenzioni di volta in volta devono essere animate per poter vivere; il rito continuamente deve rinnovarsi come esperienza di qualcuno, anzi come esperienza di più di uno …’
10.
Ricondurre il testo alla sua potenzialità morale, psicologica, politica, tenderebbe a radicare l’atto della lettura nelle fondamenta antropologiche della poesia, riconoscendole pienamente.
Il testo si presta alla lettura come una voce che parla ai molti anche se in pochi o pochissimi ascoltano. Ciò vuol dire che il significato sociale della poesia è costitutivo, non contingente. Ed è puramente una questione quantitativa la cerchia dei lettori potenziali o reali, dal momento che sul piano della qualità, e quindi anche della qualità dell’umana esperienza, i lettori per un testo sono sempre e, sin dall’inizio, una possibilità indefinita nello spazio e nel tempo.
A fronte della reintegrazione simbolica dei piani molteplici dell’esperienza umana, massima promessa che l’arte condivide con ogni ritualità dell’immaginazione e del pensiero, le persistenze egotiche di matrice romantica, relative alla confusione tra individualismo proprietario borghese ed epopea dell’Io, possono anche passare in secondo piano. Così come le lamentazioni sempre pronte a richiedere risarcimenti in termini di fama, se non di danaro, sembrano fraintendere il carattere sociale costitutivo della poesia e dell’arte. Perdendo il senso e il gusto della festa, resta, in non pochi casi, solo l’accumulo dell’amarezza: ciò è davvero un peccato.
11.
Dunque sembra che potremmo scegliere di confrontare, tra le tante, due strade che qui con chiarezza si scorgono: una è quella dell’ estetizzazione della lettura (insistenza sulla separatezza del testo con rischio di asfissia autoreferenziale o sulla classificazione che fa, dei termini distintivi, delle categorie interpretative non sempre rispettose della pecularietà dei testi), l’altra, quella della reintegrazione, che si è chiamata lettura come attualizzazione della ritualità dell’immaginazione e del pensiero che punti alla potenzialità morale, psicologica, politica del testo attraverso la moltiplicazione e l’amplificazione semantica per risonanza.
Nel primo caso l’analisi, più o meno compiutamente testuale, in definitiva ci dirà: ‘il testo si tiene in piedi così e così’, A=A, la classificazione ci dirà:‘questo testo rientra nella categoria, inventata ad hoc, di testi che hanno le medesime caratteristiche’ e se introduce anche relazioni di valore ci dirà: ‘questo testo è migliore di quest’altro’, A>B, oppure A<B, in caso contrario.
Nel secondo caso, quello della reintegrazione, la lettura, nella sua imprevedibilità di esperienza, nella consapevolezza della molteplice possibilità degli esiti, presuppone che ‘il testo dica qualcosa e lo dica in questo modo’.
Il qualcosa che il testo dice, nell’atto della lettura, è proprio una potenzialità del suo senso, alla cui attuazione concorrono tutti i suoi elementi formali, insieme e grazie, a ciò che il lettore fa leggendo tra le righe: aprire le porte del testo di cui in qualche modo, anche solo per un presentimento, aveva la chiave.
trovo eccezionali queste riflessioni; che piacere, che conforto, e quasi un potere inebriante da ottimo vino dagli aromi violenti e persistenti(spero che non diano anch’esse il mal di testa);
qualsiasi considerazione sulla difficoltà di gerarchizzare la qualità delle opere nell’attuale panorama mercificato mi sembra assolutamente sterile, e intrinsecamente fuorviata, se non si parte da qui;
e devo dire che il tutto mi sembrerebbe funzionare altrettanto bene, parlo beninteso da grande ignorante, se si sostituisse a “poesia” “romanzo”, o insomma “scrittura”;
che poi questo certosino lavoro di ricostruzione e di lettura tra le righe è forse in realtà per certi versi ancora più difficile, perchè le scelte si riconoscono sì, ma come suggerisci tu stesso nel punto 2 non ci sono mai presentate in modo cristallino (quello del nostro pensiero razionale), e gli spazi tra le righe ci parlano, certo, ma non in modo chiarissimo (troppo facile, sarebbe!): “(la poesie) est l’oeuvre d’un langage qui ne dit pas proprement ce qu’il dit”(Rancière); e quindi il lavoro di interpretazione, che certo è ritualità del pensiero, alias conforto, diventa anche interrogazione su noi stessi, sul nostro essere linguaggio (pensiero), e crisi, temporanea perdita di riferimenti, brancolamento nel buio; voglio dire che vista a posteriori l’esperienza della lettura delle grandi opere che ci hanno cambiato (= che hanno alterato il nostro linguaggio), è solo arricchimento e piacere, ma lì per lì è anche per certi versi traumatica, dolorosa;
ma mi scuso per queste cavolate che mi sono venute a caldo, quando il tuo testo richiederebbe ben altra attenzione (lascio agli addetti al mestiere);
quelle che ti sono venute a caldo,secondo me non sono cavolate.
le sottoscrivo e mi piace ripeterle tali e quali
:quindi il lavoro di interpretazione, che certo è ritualità del pensiero, alias conforto, diventa anche interrogazione su noi stessi, sul nostro essere linguaggio (pensiero), e crisi, temporanea perdita di riferimenti, brancolamento nel buio;
Heidegger ,Lacan.
Grazie, Giacomo, per il tuo apprezzamento. Poni giustamente in evidenza l’ambiguità costitutiva dell’opera e la drammaticità, anche, del lavoro interpretativo che deve fare i conti, se è profondo, con le profondità del lettore. L’opera significativa ci chiama al cospetto di ciò che siamo e, come giustamente dici, ciò può anche essere doloroso, la trasformazione può anche essere traumatica. A volte quella consapevolezza della mancanza fa parte del processo di reintegrazione …
‘le convenzioni di volta in volta devono essere animate per poter vivere; il rito continuamente deve rinnovarsi come esperienza di qualcuno, anzi come esperienza di più di uno …’
…. è ancora la questione del dare anima allo spettro e vita al morto. benjamin. agamben.
…. il passaggio dalla voce alla vociferazione comporta la necessità dell’abbandono dello stile?
Quindi il nuovo non sembra ridursi ad un oggetto ma sembra piuttosto essere una relazione di volta in volta imprevedibile.
Tale aggettivo non andrebbe mai sostantivato, reso sostanza: vuol dire cose diverse di volta in volta in contesti diversi. Per un lettore non dovrebbe porsi tale questione: la lettura non cerca il nuovo perché essa stessa in quanto esperienza di qualcuno, se davvero è tale, se davvero riesce a riattivare una ritualità dell’immaginazione e del pensiero, è sempre nuova.
Trovo fondamentale e fondante questa conclusione del punto 6
è quel che si potrebbe definire un’analisi di prim’ordine, e meriterebbe una discussione altrettanto approfondita … permettimi tuttavia qualche osservazione grossolana su alcune delle conclusioni più immediate a cui conduce…mi chiedo per es se la sottile argomentazione del punto 10 (costitutivo e non contingente) non faccia di necessità virtù e eluda il problema di una certa astrattezza e infine settarietà di molta poesia contemporanea… come può esprimere la sua potenzialità politica e anzi biopolitica la poesia se non si pone il problema della sua ricezione e diffusione, della sua trasformazione in pratiche del corpo, e in pratiche e modelli sociali? l’amarezza che tu deplori non è che un allarme …delle due letture che proponi, in questi termini, la seconda non può che rientrare in quella estetizzante…mi sembra che l’analisi supponga una specie di testo creazionale sorto dal nulla, in attesa dell’utilizzatore… una lingua è sempre contingente e non costitutiva, inevitabilmente scritta dall’interlocutore reale ancor prima di essere formulata, il lettore possibile di cui parli rischia di diventare semplicemente un lettore reale elitario, o un lettore reale del passato …mi scuso per l’approssimazione…
La questione che poni è molto importante e, a suo modo, drammatica, se non paradossale: ricezione e diffusione della poesia oggi … Il pubblico della poesia, i moltissimi poeti,la difficoltà di leggere la poesia… Ma le mie note si occupano della critica letteraria come atto di lettura e della lettura come esperienza complessa. Altrove credo di aver affrontato i problemi a cui alludi. Ad esempio trattando de La responsabilità dell’autore https://www.nazioneindiana.com/2010/04/21/la-responsabilita-dellautore-biagio-cepollaro/ e del contesto storico concreto che ho vissuto in questi tre decenni di attività http://www.diaforia.org/floema/2013/05/19/colloquiale-n2-con-biagio-cepollaro/
sì, nei 2 testi che segnali discorri …qui invece sei quasi oracolare, tanto ben dici quel che dici – come osserva anche viola – proprio perciò ho provato a verificare razionalmente qualche punto dell’analisi che sembrava pesuadere per la chiarezza e l’eleganza espressiva prima ancora di farsi comprendere… ad ogni modo ho stampato il testo e lo rileggerò con più calma…
Saluto la conferma del Lettore nella sistematizzazione, ma do anche un caloroso bentornato all’Autore: dio, quanto ci sei mancato…
“Leggere tra le righe”
“Perdendo il senso e il gusto della festa, resta, in non pochi casi, solo l’accumulo dell’amarezza: ciò è davvero un peccato.”
non poteva dirsi meglio, grazie Biagio
Ringrazio quanti fin qui sono intervenuti con i loro commenti
Cosa vuol dire, leggendo della poesia, fare poi della critica?
vuol dire mettere in evidenza il contenuto che ci arriva, che arriva al corpo e alla mente di chi legge, significa mescolare ciò che il testo comunica con ciò che è la nostra cultura e il nostro sentire, modulando così le impressioni arricchendole di nuovi significati.
è un gioco stimonlante, e sottolineo gioco perchè nessuno fuorchè il compositore può conoscere veramente a fondo le ragioni per cui scrive determinate cose.
ciao Biagio, belle le composizioni artistiche sul tuo sito :-)
Conclusa, anche per stanchezza e per senso di inutilità, l’esperienza di “Per una critica futura”, ho pensato spesso fosse stato prodotto durante quell’esperienza un tesoro, ma che questo tesoro era ormai disperso nella rete, e che si sarebbe anno dopo anno più sepolto, divenendo invisibile. Mi sbagliavo: dimenticavo la legge fortiniana dell’intempestività dell’opera. E in questo caso dell’opera critica. Queste note di Biagio sembrano sorgere dal presente, come miracolosi strumenti, e strumenti ben solidi, nel mezzo di una qualche catastrofe. Erano davvero note per una critica futura…
“In un certo senso la critica negativa non ha motivo di esserci. L’atto di lettura è promessa di esperienza e l’esperienza che si ritiene non valida, non significativa, è un’esperienza interrotta, morta al suo nascere, come un passo che non segue l’altro. Il critico non ha motivi per censurare, semplicemente smette di leggere. Censurare comporta un passaggio dal piano dell’esperienza della lettura a quello delle razionalizzanti ipostasi del gusto. Questo è il nodo che permette all’ideologia di sostituirsi all’atto di lettura finendo per adulterare l’intero processo.”
infatti non esiste parola più appropriata di “stroncature” per indicare l’interruzione, la cesura,lo scassato, ce qui est cassé. Rimane però sempre valida, secondo me, la determinazione di una soglia oltre la quale non si può andare. La ricerca, il linguaggio, il mondo che la parola crea è sempre e comunque esclusione di linguaggio, mondo, parola. A questo ho pensato Biagio rileggendoti nella tua attualità intempestiva. E mi sono venuti in mente i celebri versi di Montale a proposito de “la formula che mondi possa aprirti”.
effeffe
[…] così una nostra prima, parziale risposta alla domanda che Biagio Cepollaro, in linea con le sue Note per una critica futura di qualche anno fa, ha posto nelle tre giornate milanesi di “Tu se sai dire dillo” di […]