Lo spettro dell’amore ossessivo torna a visitarci nell’ultimo romanzo di Emiliano Gucci
di Federico Di Vita
Avete presente Lady Midnight di Leonard Coen? La canzone parte con l’ossessiva richiesta di un innamorato (Whatever you give me, I seem to need so much more) cui risponde la sfida della donna (Just win me or lose me / It is this that the darkness is for), per concludersi col perfetto ribaltamento delle parti quando, nell’ultima strofa, è la signora a implorare l’amante (You’ve won me, you’ve won me, my lord), chiudendo un cerchio di desiderio febbrile, in quella che è una sintesi mirabile di uno dei grandi classici della letteratura: la furia d’amore, la fuga, l’inseguimento, il ritorno disperato – del resto a teorizzare che tanta parte delle nostre lettere sia giocata su questo schema è stato Denis de Rougemont ne L’Amore e l’occidente – e basti pensare alla figura di Elena di Troia per capire quanta ragione avesse… in ogni caso, pare che l’antico pozzo non abbia alcuna intenzione di prosciugarsi, e il gorgo dell’amore, usurato ma divorante, continua a far scaturire varianti. L’ultima in cui mi è capitato di imbattermi è la storia raccontata in Voi due senza di me di Emiliano Gucci (Feltrinelli, 222 pp, 16 euro), la cui vicenda è tutta tesa a colmare le distanze createsi in venti anni di lontananza – e di pensiero costante, rimorso, nostalgia – tra Marta e Michele, un tempo coppia invincibile il cui rapporto si è spezzato in seguito a un evento drammatico.
Si capisce subito, sin dal titolo, che a raccontare la storia è il figlio dei due, mai chiamato per nome, morto giovanissimo a causa di una disattenzione (o forse qualcosa di peggio) di Marta, mentre Michele si era allontanato dopo un momento di tensione. La morte del fanciullo, così come fecero le sue urla disperate di poppante, sembrano segnare più profondamente la donna, che regge meno lo stress emotivo esplorando spazi di disperazione sconosciuti, l’insonnia le incrina una diga profonda. Michele appare sin dall’inizio più ossessionato invece da lei, da Marta, e dalla purezza del loro irripetibile amore, che anche a distanza di tempo non ha mai smesso di apparire come una Stella polare a cui tendere, alla quale tornare con l’idea (impossibile?) di farla rivivere. La brama cieca di ritorno di Michele fa venire in mente quella della Lupa di Giovanni Verga, alimentata (come a tratti il protagonista del romanzo di Gucci) da una brama erotica cieca e totalizzante.
In Voi due senza di me la brace del sentimento brucia sotto le ceneri dei due vecchi amanti, certi amori non si schiodano dalla mente di chi li ha vissuti, di più, dalla tattile memoria del corpo, dagli automatismi animaleschi. Ma è ripetibile l’amore dei vent’anni? Michele vuole credere di sì e per questo torna – a dieci anni di distanza – a cercare Marta, non aveva mai smesso di seguirla, di informarsi su di lei, con derive a tratti da stalker, da maniaco. Ma anche Marta non l’aveva mai dimenticato, e come accade in Lady Midnight anche questo romanzo è costruito attorno a un ribaltamento, articolato nelle due giornate – a distanza di dieci anni l’una dall’altra – nella prima delle quali a cercare l’altro è Michele, mentre nella seconda è Marta a tornare. La specularità anche qui è perfetta: nella prima occasione era Marta a essersi costruita una nuova vita, nella seconda è Michele, che a quel punto ha addirittura un altro figlio.
Se parlo di alcuni dettagli della trama lo faccio perché il romanzo di Gucci non vive di questi elementi (gli incidenti della vita dei due protagonisti sono comuni, e tolto il tragico innesco, anzi compreso pure quello, perfino banali – come è giusto che sia: sono in scena sentimenti assoluti in una danza di archetipi millenaria), a tenerlo su sono la delicatezza dello scavo psicologico, la finezza linguistica (esempio: il titolo dei capitoli è costituito dall’attacco della prima frase, in un modo che rimanda alla Vita Nuova di Dante), e le impennate liriche – che si dispiegano in una prosa di cui l’autore non perde mai il controllo –, tra queste vale la pena ricordare almeno le pagine laceranti eppure lievi in cui Michele tenta di riconquistare Marta. Colpisce l’equilibrio che Gucci riesce a mantenere tra la violenza di alcune scene (una rissa tra cani, il ricordo degli ultimi istanti del figlio, il suicidio di un vecchio amico) e la costante felicità del linguaggio, che in un libro giocato tutto sulla dinamica sentimentale non scade mai nel melenso.
Gucci ambienta il romanzo a Firenze (tra le boutique del centro e i paesini dell’hinterland), uno sfondo che gioca un ruolo marginale, a volte si ha la sensazione che l’autore vorrebbe caricarlo di significati maggiori ma che poi si trattenga di fronte alla consapevolezza che uno scenario così già visto non possa in fondo ambire, in una storia come questa, che ad un ruolo da fondale di cartapesta. Per sottolineare l’eccezionalità degli incontri allora l’autore ricorre a un altro sistema, è l’aria stessa a colorarsi in modo eccezionale: nella prima occasione di un azzurro soprannaturale, “come ormai non si vede più”, e nella seconda del bianco di un’abbondante nevicata. Queste figure atmosferiche sono di tutto il romanzo forse l’elemento che mi ha convinto meno: la straordinarietà degli incontri e la potenza degli spettri chiamati in causa era tale da non necessitare di null’altro che della sua viscerale potenza (questa evocata magistralmente lungo tutta la tessitura) per continuare, ancora una volta, a far vibrare nel cuore del lettore corde antiche e tremendamente sensibili.