Antique shop
di Daniele Ventre
L’antiquario svende un Egitto finto,
scarabei di carta e papiri a stampa,
cobra sulla maschera in similoro,
Iside a velo.
Chiusi fra le dune i fratelli in barba
e corano minano tombe e templi:
i villaggi al mare rimasti vuoti
cedono al rosso
del deserto. Resta al di là del tempo
Dhu’l Qarnayn e i suoi pezeteri d’ombra
e di polvere e la sua fiaba eterna
e le sue mura
ferree. Al fuoco i rotoli delle storie
crepitano in crolli di biblioteche
truppe in grigio e croci hanno acceso in piazza
roghi di libri,
fumi di carnai. Profezie di nulla
suonano da oroscopi di riviste:
se ne giova il traffico dei sultani
lungo il confine
fra la Siria e il buio. I colossi ciechi
svettano per principi senza volto,
senza corpo fra le colonne in fumo
e le macerie.
Si riduce al termine della storia
qualche figlio spurio di dèi minori
pronto per finzioni d’eroi, per scene
di decadenza.
Sul confine della ragione estinta
resta Dhu’l Qarnayn, l’orizzonte esterno
fermo sull’origine delle storie,
lungo la scia
fra le terre e l’orda. Ha sul volto vuoto
il sorriso arcaico e l’Egeo dei turchi
e dell’uomo in debito, senza voce,
senza memorie.
Resta all’orizzonte la marcia in stasi
fra la luce e l’ombra dell’antro opaco
e la statua erosa e il sintagma in lotta
contro la banca
nelle piazze in fiamme. Sul fiume eterno
sceso dagli dèi ci rimane l’uomo
con la sua ferocia di dogmi umani,
vittime a pezzi
per fecondità di regimi –un’orgia
d’impotenza stimola per tortura
qualche corpo elettrico senza canto,
senza vendetta.
L’eco dei proclami dal re degli ori
suona d’oro matto al confine incerto,
punta sull’estraneo e lo spia dal tappo
del cannocchiale,
sogna suoi nemici a serrare i ranghi:
ombre gli rispondono di riflesso
incondizionato, all’istinto cieco
sparso nel gregge.
L’antiquario intanto pesava i cuori
nella terra d’ombra, il bilancio scarno
delle azioni in perdita, il peso nullo
delle ragioni
asociali. Il vertice delle aziende
già dismesse segna le vie, le vite
senza verità, che ci incarti senso
pane stipendi
senza fine o termini di contratto.
Tutto si è bevuto e l’impero è chiuso
nel suo giro cinto di sfingi, ha gli occhi
vuoti del poi,
ciechi al prima. Al cardine della storia
qualche nuova incuria di dèi minori
si progamma ancora per messinscene
di sussistenza.
La piramide era incompiuta, il gioco
delle stelle smesso per troppo costo:
resta il cielo in vetro e l’Egitto finto
sul calendario.
Chiusi fra le rune stregoni in cappa
e grimorio mimano logge e templi:
i bilanci in vendita per incanto
cedono al rosso.
Sul confine della ragione estinta
resta Dhu’l Qarnayn, l’orizzonte esterno
nel suo giro cinto di sfingi ha gli occhi
vuoti del poi.
Chiusi nel debriefing, i vip in giacca
e finanze accismano leggi e tombe:
nello spazio lacero stelle e stringhe
cedono al rosso.