Prove d’ascolto #12 – Andrea Leonessa

 

Informatica pastorale
L’arcade è una terra spontanea, procedurale
nel proporre le sue apparizioni, tanto dell’allevamento
di metastasi, nell’esordio delle morìe, quanto di busti
sollevati dal sangue, dal comando di spazializzazione
se archiviati nei fossati, sotto il sole che scorre a lato
dello scenario, sotto il voice-over a cura dei cadaveri
aldilà dello schermo, dove si stipa per tanto la storia
quel muscolo che si compie atrofizzandosi, accrescendo
soltanto il volume dei dispositivi, la diegetica dei sepolcri
il quanto di quel narrare sul buio del provideo, la prudenza
dell’essere per la morte in full-screen, centrati, distanti
dalle bande nere, dall’esitare dovuto alle panoramiche:
“L’albero della vita non fu mai […]” questo monito(r)
ci progetta ad eco, davanti a noi la contorsione
del riprodursi come vacche in preda all’arbitrio.

 

 

Tuberi di San Damiano
Anche lo zio dice, con macro sul tubero, che ha sentore
se la radice assume il controllo, se questa tenta l’emersione
a testa alta dalla carne, con un colpo di tosse: la genealogia
conduce ad un’impiccagione, giù in paese, di molti anni fa
a quel sentirsi non tanto […] comunque sempre meno, capaci
soltanto d’innestare la carne sull’humus, ad evolvere sterili
la concezione obiettiva della specie, sotto l’orizzonte “O,
i’m […] the divine alfhabet” la superficie dove Pan si presenta
a mani vuote, piene di quel nulla che pare il presente – definitivo,
il novantasei la Playstation – la sola prospettiva del controllo,
sottomettersi al comando della natura, familiarizzare con papi
fare le patate al cartoccio, spuntare il proposito dal suolo.

 

 

Eauthanatoproxy

Manifestare ovvero radunando escrescenze entro un luogo pubblico,
Eauthanatoproxy è un organico […] e non risponde ma senza nome
Eauthanatoproxy afferma con […] senza avvenire, se non […]
trapassare quel ch’è disse […] tempo, propriamente detto
Eauthanatoproxy è un collettivo solipsistico, questo […]
un poema sulla community […]
Cuneo2night […] Leun89 […]
Gamesradar […] Uomoplay […]
Gamesradar […] Frank Drummer […]
Steam […] Frank Drummer […]
Facebook […] Andrea Leonessa […]
Altre apparizioni […] sono compresse sul server
nell’accorpamento della pressione + uno + uno + uno
= n verso uomo + uno che ha della macchina
la devozione monastica

 

 

Sul manifestarsi nel disordine
Ad Apparizione, la processione va verso la console,
opta per la redenzione mediante controller, il logo
del mercurio, la febbre sott’occhio nella ritualistica
virtuale: potenzialmente, Dio viene evocato a video
tu sotto il piumone, a crescere la mole sacerdotale,
la diocesi compattata dal sistema nervoso, l’impero
provinciale che esita appena dopo le dita, dal tatto
accentuato per paura di sovraesposizioni, contrasti
elevati a manifestazioni escatologiche: di figurarsi
più nello specifico, Metatron in tenuta antisommossa
il corteo virale delle lacrime, il beneficio del sigillo
la reticenza, oh papi quanto […] quel virare sul dire
cazzate, per non dire quell’unica cosa, che Dio fa
riassumere nella paura totale, quella di non poter dire
quanto è piccola questa campagna, quest’operazione
di conquista di un corpo che risponda al comando.

 

*

 

 

 

Ritualità e risoluzione: dal “codice sorgente” al “codice oggetto” – su “Inediti” di Andrea Leonessa

di Daniele Bellomi

 

(ascolto consigliato durante la lettura del testo: Atomizer dei Big Black, 1986)

 

Venne a me – (meno), dicendo “it’s a bug”
dove un segno era previsto, dopo tutto;
un campo santo (c++) una app […] che
spammava la carne sulla terra; soltanto qua
apparire valeva ad applicare un’estetica
sul dorso terrestre, “I’ll add y on (sur)face#”

(da Eauthanatoproxy, opera finalista del concorso Opera Prima, 2015)

 

 

compilatore
[com-pi-la-tó-re] n.m.

(inform.) programma che traduce un linguaggio di programmazione in un linguaggio eseguibile dalla macchina

(definizione di “compilatore”, da Lemmario Italiano, Garzanti, 2016)

 

 

Ritualità, codice sorgente e linguaggio macchina

Il fatto di “venire meno a qualcosa”, e la sua stessa enunciazione, sia esso un compito, o un affidamento, dove “in sé” non è il corpo a cadere come morto, e nemmeno avviene un’abdicazione dalle “responsabilità” (qualsiasi esse siano, si intende) è esso stesso il venire meno del gesto, uno svenimento funzionale nella successione o collezione delle singolarità o dei fatti irripetibili: la prospettiva di movimento che si inceppa, che smette di funzionare all’improvviso. All’origine del venir meno c’è l’errore: la presenza di un bug, anche se spesso ininfluente ai fini di una corretta esecuzione del programma, potrebbe inibire lo svolgimento di un discorso programmato, e programmatico, sul mondo o su una possibile visione del mondo.

Articolare allora, in questo senso, un discorso sugli Inediti di Andrea Leonessa in cui le singolarità (non per forza tematiche, ma di ragionamento) sono volutamente custodite come fatti a sé stanti implica un’attività di codifica riassumibile nel passaggio che il compilatore (in definizione) esegue dal codice sorgente/linguaggio origine al codice oggetto/linguaggio macchina. Nell’informatica pastorale di Andrea Leonessa, il passaggio procedurale della codifica porta a un processo in cui dal linguaggio origine delle morìe, dell’allevamento delle bestie e delle ecatombe si passa a un linguaggio macchina, cioè al risultato espresso dalla macchina, che si svolge per mezzo di “voice-over a cura dei cadaveri” e “morte in full-screen”: la spazializzazione del discorso, qui, si articola nel mezzo tecnologico come procedura e scopo finale del discorso stesso.

L’errore, espresso qui come la singolarità assoluta del discorso della poesia, porta con sé una particolare ritualità, anche religiosa, che lo avvicina inevitabilmente al concetto di peccato e di espiazione della carne: la teoria dell’informazione, qui, è espressa dall’approccio dolorista alla singolarità stessa.

In questo caso, però, la mistica dell’esperienza utente è spesso provvista di un controller dedicato: niente ridondanza di dati, niente malfunzionamenti infrastrutturali.

 

Bidimensionalità, tridimensionalità, risoluzione

Tornando al testo citato in apertura (non presente in questa silloge, ma facente parte del libro Eauthanatoproxy, finalista del concorso Opera Prima 2015), mi sembrava interessante riprendere a altri parametri affini all’esperienza utente, in particolar modo nell’esperienza del videogiocatore (il “gioco”, infatti, è una cosa molto, molto seria): la bidimensionalità, la tridimensionalità e la risoluzione.

Laddove l’emersione terrestre è compilata (parliamo appunto di codice: l’errore, in questo caso, non risiede nella lingua, ma nella fase finale di conversione del codice che può portare a errori inaspettati) le singolarità ritornano a galla, consentendo di “applicare un’estetica / sul dorso terrestre”: le terre emerse (insieme alle “sommerse”), in questo caso, vengono lavorate alla stregua di un generatore di mappe casuali per RPG (Role-playing game, tradizionalmente in 2D nelle sue prime incarnazioni di genere).

La bidimensionalità e la bidirezionalità dell’ambiente ottenuto, come è inevitabile, consentono di proseguire e muoversi, con una visione dall’alto, in quattro direzioni: la bidimensionalità influenza in modo drastico e insormontabile l’esperienza utente: in generale, in un RPG convenzionale, le mappe sono finite in se stesse, i blocchi al percorso sono molti, alberi e fossati vanno aggirati e, infine, tutto ciò che non sia esattamente terraferma è inaccessibile.

La limitazione dell’esperienza bidimensionale risiede nel distacco fattivo, tipizzato a suo modo, fra l’input dell’utente e un output in cui l’immissione dei comandi risulta in un’esperienza lontana da qualsivoglia concetto di naturalità.

Dove invece risiede il “camposanto”, cioè dove nulla viene meno perché tutto è già arrivato al proprio termine, al proprio setup, alla propria installazione definitiva (anche in senso fisico, intendiamoci), le croci poste sulle lapidi possono diventare rapidamente i complementi al titolo del linguaggio di programmazione C++. Così come nella poesia di Leonessa, anche il linguaggio di programmazione scelto ha una grande varietà e ricchezza semantica, che contribuiscono ad aumentarne il livello di difficoltà. Le lapidi, così come la morte, sono fatti tridimensionali e corrispondono agli oggetti inavvicinabili del bidimensionale, che qui prendono forma e vera consistenza: così, le concrescenze e le metastasi (in sviluppo, avviate o già prossime a uno stadio irrimediabile); le morìe animali (nella letteralità dell’ecatombe, “in sacrificio a” o come esito a posteriori della crudeltà); i sanguinamenti procurati o spontanei (quasi fossero inscritti nello svolgimento formulaico di un japanese death match); i fossati dai quali l’uscita non è prevista (e non è, del resto, necessaria); l’atrofia dei gesti (e delle posture); la posizione dei sepolcri (e così del buio, e della morte); la contorsione; in definitiva, l’arbitrio.

Un “linguaggio nativo della morte”, quindi, dove la tridimensionalità è esso stesso un fatto arbitrario, e dove il tridimensionale è forzato, à rebours, verso la bidimensionalità. Il passaggio, in una dimensione paren(t)etica, causa problemi alla risoluzione dell’oggetto in questione, del referente, e quindi, per citare i vari significati della parola: “lo scioglimento di una situazione involuta e complessa […], nel linguaggio chimico, a ‘scomposizione’ ( r. di un composto nei suoi elementi ), nel linguaggio comune, a ‘chiarimento, spiegazione’ ( r. di un dubbiodi una questione intricata ) […]3. In musica, il passaggio da un accordo dissonante a uno consonante mediante sostituzione di una nota dissonante del primo con la corrispondente consonante del secondo.”, e infine “[…] In fotografia e nella elaborazione elettronica delle immagini, definizione.”

 

*

 

 

Nota su Andrea Leonessa

 di Vincenzo Ostuni

la balistica della carne, l’eziologia del peccato
Andrea Leonessa

 

Durante le Prove d’ascolto tenute a Roma nel 2015, Andrea Leonessa ha presentato quattro testi da Eauthanatoproxy (ebook pubblicato nello stesso anno, non so se prima o dopo l’incontro di Roma, e scaricabile qui; il suo ebook precedente, Postumi dell’organizzazione, del 2014, si trova invece qui; ignoro invece, e me ne scuso, che cosa abbia pubblicato Leonessa negli ultimi mesi) accompagnati da quattro delle immagini digitali che nello stesso libro contrassegna il titolo Le Flâneur numérique, seguito da un numero d’ordine. Pare quasi che Leonessa abbia voluto fornirci un campione paradigmatico della sua ricerca, già codificato nel più corposo intervento critico di mia conoscenza, quello di Pierfrancesco Biasetti, autore di una lunga (pp. 3-20) Prefazione ai suoi Postumi che vale da articolata e ampia introduzione alla sua poetica. Per Biasetti, il tema principale di Leonessa è l’evocazione di un virtuale già-sempre vecchio – già vecchie sono le immagini del «Passeggiatore digitale», già vecchi i riferimenti a videogiochi degli anni Zero o a consolle non più in commercio ecc. – identificato, non senza però scarti e ambiguità che rendono l’identificazione una pseudoidentificazione, con una sorta di trascendenza di impronta gnostica e comunque cultuale; virtuale che si crede cioè capace, si ritrova continuamente incapace, si torna fideisticamente a credere capace ecc. di formare un grado superiore d’esistenza o conoscenza, libero dal corpo (che sempre però torna a imporre la sua gravità e verità), libero dalle costrizioni delle relazioni familiari (spesso evocata è la «mamma») e erotiche, libero infine dalle pastoie della nostra scarsa esperienza del mondo.

Dalla raccolta del ’14 a quella del’ 15, tuttavia, in questo autore molto giovane, che in quell’incontro si trincerava dentro un’apparenza d’inconsapevolezza che mi è parsa puramente tale, per lasciar correre gli aspetti – presenti anche nei testi (viene da chiedersi se la figura del vomito, centrale nella pur originale ontologia di Leonessa, sia oggi letterariamente praticabile) – di ostentata, ma mai semplicemente diaristica, visceralità o suicidarietà – dall’una all’altra raccolta, dicevo, già parecchio è cambiato: e l’invito a chi legge è di prendere il nucleo parareligioso, rappresentato da questi quattro che sono pure tra i migliori singoli testi del libro, e considerarne invece tutte le diramazioni e radicamenti e complicazioni. Ne risulta un testo di notevole profondità antropologica (penso a una poesia come Città, ad esempio), molto meno preoccupato di render conto di rapporti trascendenti fra vita reale e virtualità, fra esistenza quotidiana e gnosi, che di sondare e verificare (e a tratti d’ironizzare) l’inestricabile orizzontalità del mondo.

 

 

*

 

 

Prove d’ascolto è un progetto di Simona Menicocci e Fabio Teti 

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