La casa al mare – Luca Lucchesi

La casa al mare

racconto inedito di Luca Lucchesi

 

Il mare è guasto. Ci risiamo. Ora di pranzo, sono sola, ho fame.

Gli schiamazzi arrivano dal ristorante. È chiuso. Un compleanno, dieci anni.

– Adesso tutti seduti! È arrivato il momento del karaoke!

Non c’è proprio verso di odiarli questi bambini. Anche se un po’ mi scoccia dover cucinare.

La prima che va al microfono è la festeggiata: abito da prima comunione, imbuto bianco rovesciato sulla vita, la testa in alto, strozzata. Il testo scorre sul televisore in alto ma lei non guarda neanche. Deve essersi preparata. La conosce a memoria. L’animatrice passa il microfono ad un bambino che per fortuna si vergogna. Per un po’ non canta più nessuno.

Io e Leonardo ci frequentiamo da sette anni. Sul nostro tavolo di ieri hanno messo i regali. Al posto di Leonardo c’è seduto un orso di peluche a grandezza naturale. La mia sedia l’hanno usata per ammucchiare le scatole vuote di tutte le fate e principesse in mostra sul tavolo. È una cosa strana da vedere. Come una metafora. Scatto una foto con il telefonino. Gliela mando. Mi poggio al muretto, guardo sotto: il mare si sta mangiando l’ultima striscia di spiaggia. Il messaggio non parte. Non c’è rete oggi alla scogliera.

Ieri era domenica ma il mare era calmissimo. Con Leonardo siamo stati in acqua fino al tramonto. Poi siamo venuti qui a mangiare la pizza. “Un rosso di sera bel tempo si spera, per favore.” Il cameriere ci ha messo un po’ a capire. Ha fatto una risata di cortesia. Ci ha portato il rosso della casa. Leonardo non è di queste parti. Io ci vengo solo d’estate. Sono di qua. Ma nessuno ci scommetterebbe.

Risalgo a casa. Non so se spalancare le porte all’afa o innalzare una trincea di serrature e imposte. Devo decidermi e fare montare il condizionatore.

Un signore accorcia la cenere della sigaretta sui gerani dei miei vicini. Deve essere uno che ha portato il figlio alla festa di sotto. Mi alzo di scatto e gliene dico due. Lui si scusa ma non lo so da dove mi è uscito il coraggio.

La mia vicina è morta la settimana scorsa. La casa è bellissima, grande. Sembra costruita per custodire un tesoro. È proprio attaccata alla mia.

Magari la trovavo che stendeva la biancheria. Poi un discorso tirava l’altro. Era bello parlare con la signora. Era facile.

Dentro casa non ci siamo invitate mai. Rimanevamo solo in piedi, così, come due vicine di casa appoggiate alla ringhiera che separa i loro terrazzini.

Da me ci sono le belle-di-notte. La signora me le annaffiava quando non c’ero. Io non mi sarei mai permessa di ricambiare il favore. Quei gerani sono davvero una cosa preziosa.

Ho incrociato l’avvocato ieri mattina. Io e Leonardo ci prendevamo il caffè in terrazza. Gli ho fatto le condoglianze. Non sono brava in queste cose. Mi ha detto che non viene più volentieri adesso che è solo. Preferisce rimanere in città. I figli non scendono più come prima. Il lavoro, i nipoti. Le cose che la vita mette davanti.

“Senza di lei questa casa è un ulivo marcio”. Ha detto così. Io non l’ho mai visto un ulivo marcio. Mi sono commossa. Leonardo mi ha abbracciato, ma era una di quelle cose teatrali sue, come al solito. L’avvocato poi ci ha chiesto se lo accompagnavamo a cena stasera. Ma Leonardo è andato via stamattina presto. Ci andrò da sola.

La moglie dell’avvocato se la sarebbe presa subito casa mia. “Tu sei sola, che ci fai qui? È un posto per famiglie! Pigliati qualcosa in un posto più alla moda!” E rideva.

Certo sarebbe un bell’affare se decidesse di venderla. Sfondando la parete della cucina potrei allargare. Casa mia è proprio minuscola. A malapena sono riuscita a mettere un divano-letto per gli ospiti. Forse Leonardo si convincerebbe pure a portare Nanni.

Lei è rimasta in cinta quando già ci frequentavamo da più di un anno. Dopo Nanni io mi sono allontanata. Lui si strappava i capelli. Per quattro anni è andata avanti così. La solitudine si mangiava ogni giorno un pezzo della mia rabbia. Poi lo scorso inverno mi è venuto a trovare a lavoro e mi ha detto che aveva chiesto il divorzio. Secondo me però è stata lei a chiederlo. La causa dovrebbe chiudersi quest’autunno. Sono cose lunghe.

Quando passo la mano sui fianchi sento la seta che si spettina. Ho messo il vestito leggero, quello turchese. Adesso non ho più un granello di rabbia addosso. Mi è rimasta solo una solitudine grassa nel cuore.

Abbiamo ordinato un antipasto della casa e una grigliata di pesce del giorno. L’avvocato dice che è fresco sicuro.

Leonardo non ha ancora risposto al mio messaggio. Gliel’ho rimandato di pomeriggio quando sono andata in paese a fare la spesa. Mi ha dato un passaggio il figlio di Concetta. Sono stata per più di un’ora in giro ma niente. Ho solo ricevuto un messaggino da Sara. È a Dubai a trovare la figlia. Lavora in uno di questi grattacieli. Mi ha mandato una foto con la vista dal suo hotel. Mi è venuta una vertigine a guardarla.

Un giorno farò anche io una figlia. Se ne andrà a studiare anche lei lontano e a lavorare se ne andrà ancora più lontano. Chissà quando la rivedrò a nostra figlia. Una volta all’anno. Magari qui nella casa al mare, una casa più grande, con uno squarcio nella parete della cucina.

La prima bottiglia se ne è andata. Sono un po’ brilla. Lo dico all’avvocato. Lui stringe i pugni sul tavolo, poi si mette a ridere.

– Tanto non devi guidare.

– Così ubriaca non sono.

– L’unico pericolo sono gli scogli e il mare in tempesta.

– Come vi siete conosciuti con la… signora?

Sono molto imbarazzata. “La signora”, “la moglie dell’avvocato”. Non ci siamo mai presentate. Io ero la sua vicina di casa, lei la mia. Non c’era bisogno di chiamarsi per nome.

– …Costanza.

Lo sussurra. Sembra anche lui sentire per la prima volta il suono di quel nome. Leonardo non mi chiama mai per nome. Io non faccio altro che dire Leonardo, Leonardo. Lui dice amore, gioia, piccolina.

– Tutto questo cemento è colpa di mio padre in un certo senso. O forse è grazie a lui se non è andata peggio. Seguiva i lavori alla marina. Costanza si metteva su quello scoglio quando smontava dalla tonnara. Io ero il figlio dell’ingegnere ma a lei non l’avrebbe intimorita nemmeno il figlio di dio in persona. Non dimenticherò mai l’odore delle mani di Costanza quando le ho baciate la prima volta…

Il vento è fastidioso. Per fortuna la veranda un po’ ripara. Mi giro istintivamente a contemplare le nostre due case.

– Voglio vendere. A voi interesserebbe?

– A noi?

– Sì, a te e Leonardo dico.

Poi dico una cosa stupida.

– Da qui sembriamo appoggiate l’una alla schiena dell’altra.

Il tavolo vibra, Leonardo finalmente. Il vento deve aver trascinato le antenne dal monte fino a quaggiù. Mi sento un burattino appeso ai fili elettromagnetici della Wind.

< Che fai? >

Chiedo al cameriere di farci una foto. La mando a Leonardo.

< Salutami l’avvocato. Te l’ha regalato lui l’orso? >

< No era la festa di compleanno di una bambina stamattina… >

< Ah, OK >

< Che c’hai? >

Il messaggio non parte, ci risiamo.

L’avvocato tossisce. Che figura. Gli faccio vedere la foto, sorride.

– Potreste essere tu e Leonardo fra quarant’anni. Lui, se è fortunato, invecchia come me. Su di te invece non ho alcun dubbio…

Arrossisco.

– Costanza si è ammalata l’anno scorso. Un bel regalo che ci ha fatto Gesù bambino per Natale. Sono entrato in salotto e ho visto l’albero: sulla punta, a mo’ di stella, c’era una bottiglia di alcool che ancora sgocciolava. Costanza era in cucina che preparava, come se niente fosse. Mia figlia si è spaventata, si è fatta il segno della croce. Mio genero ha tolto la bottiglia e ha portato l’albero fuori in giardino. Abbiamo fatto un falò. I bambini a piangere, non ti dico. Tumore al cervello non operabile. “Farà cose straordinarie, la troverete estrosa, una specie di pazza allegria. Poi il cancro andrà in giro e si prenderà il resto di lei. Un mese o un anno, non dipende da noi”. Sto medico è una cosa inutile. E noi ce lo siamo tenuti una vita. Di giorno Costanza dormiva, di notte la portavo a passeggio sul lungomare. Se c’era la luna piena si faceva il bagno, nuda, e voleva che la fotografassi. Io ovviamente non ci ho mai avuto il coraggio di scattare, facevo finta, prendevo il cellulare e lo puntavo verso di lei, facevo solo il gesto, così. Mi diceva: “Te le guardi quando ti senti solo”. Era una cosa bellissima: la luna piena; Costanza nuda che si tuffava in acqua…

Io ordino un caffè, lui prende un amaro.

Sono scesa in spiaggia. Un po’ sola, un po’ Concetta mi ha fatto compagnia. L’avvocato l’ho incrociato, ma niente più di buongiorno e buonasera. Ci siamo ripresi la nostra lontananza di vicini, come se nulla fosse. Mostrarsi vulnerabili è la cosa più difficile.

Faccio la valigia. Chiudo acqua e gas, stacco la luce. Di solito lasciavo le chiavi alla signora. Bussavo e gliele facevo scivolare sotto la porta.

Ora che ci conosciamo la potrei chiamare per nome.

Le direi: “io sono Anna. Costanza è un nome bellissimo. Se lo avessi saputo prima, il nostro sarebbe stato un rapporto diverso. Ti avrei invitata in casa, per cena. Ti avrei chiesto di svelarmi il segreto dei tuoi gerani”.

 


 

 

Luca Lucchesi è nato e cresciuto (un po’) a Palermo. Dal 2009 vive a Berlino dove si occupa, sotto variegate spoglie, di cinema e televisione. Gli piacerebbe un giorno mettere la testa a posto e cominciare a scrivere sul serio. La Casa al Mare è un estratto dalla raccolta inedita di racconti “Nacusilia”.

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6 Commenti

  1. Ho riconosciuto lo “stile” … poche righe che mi fanno tremare ancor ora… Io l’ho visto questo libro…
    …………………………….tua cugina

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