Messico, Baja California

di Francesca Fiorletta

Vuoi vedere le balene?
Gli occhi vivaci sempre puntati in faccia, che pure brillano sotto la lampada a led di un opaco sentore azzurrino, si stagliano vividi contro quella sua insolita carnagione abbronzata. Chissà perché me l’ero immaginato pallido, smunto, sudaticcio persino. Già, beh, forse il motivo è vagamente intuibile. Certo che voglio vedere le balene. 

Mi volta le spalle e sgattaiola via, si perde ad armeggiare un poco dentro a un borsone di pelle marrone scuro; posso individuare con precisione il suo orologio da polso di plastica, col quadrante grandissimo premuto bene contro il braccio molto minuto, la nuca solida sotto un residuo di riccioli argentati, il respiro lievemente affannato.
Torna quasi trotterellando davanti ai miei piedi, ci separano giusto pochi centimetri adesso, e s’agita come farebbe un bambino impiegato nel sacro rituale della vigilia di Natale, appena scoccata la mezzanotte, quando brandisce in mano la carta regalo stropicciata piena di alci irsute dipinte di rosso, il sorriso nei denti senza eguali. O forse sono solo io, ad essere estenuata.
Non è un peluche o un videogioco, quello che mi mostra, però: stringe fra le dita, e lo espone come su un pratico leggio fatto di ossigeno e forma aldeide, il suo iPad d’ultimissima generazione. Il suo iPad professionale, pieno zeppo di fotografie di viaggio. Mentre scorre col dito sul display sensibile, alla ricerca dei brandelli più sugosi della sua lunga vita, volto per un attimo la testa: voglio lasciargli un breve momento di raccoglimento, una certa ironica privacy, sebbene poco prima l’abbia visto piluccare una minestra scondita da dentro una ciotola di plastica, coi polpacci scoperti, un tempo di certo nerboruti, le pantofole da camera, per non dire dello strazio della morfina.
Un improvviso pudore mi coglie, mentre me ne resto con le braccia lungo i fianchi, in piedi immobile nella claustrofobica stanza ventitrè, quarto piano a sinistra, e mi ritrovo per la prima volta a pensare – che paradosso! –  che anche lui è un essere umano, fatto di ricordi e di emozioni, e che in quella folta galleria diagonale potrebbe di certo conservare le sue immagini più private – sarà davvero tenuto a condividerle? – e m’accorgo che il sole sta quasi per tramontare, è ancora in grado di farlo, persino nelle giornate che sembrano non dover finire mai, troppo lunghe e snervanti perché la razionalità si ostini a tollerarle oltre il dovuto. Adesso invece sulle mattonelle verdi filtra addirittura a un po’ di pace, mescolata insieme alla canicola, e dalle imposte semi abbassate si possono scorgere chiaramente gli uccelli che a stormi si sollevano dalle sommità inospitali dei pini, e che sferruzzano coi loro becchi adunchi e melodiosi proprio in mezzo alle più garbate fronde degli oleandri secolari.
Ecco!
Mi richiama all’ordine con un gridolino, richiama all’ordine i miei occhi, la mia attenzione, le mie distrazioni lascive, il mio desiderio sovraeccitato, misto di avventure e di dimenticanza. Apre una cartella con su scritto: Messico, Baja California.
Mi lascia guardare le balene che nuotano serene e giocose lungo la costa, gli schizzi spumeggianti delle acque scure americane, insaporiti di onde e nostalgia, rimasti impressi sul vetro della Reflex che, ci scommetto, si teneva ben arpionata, appesa al petto, mentre si sporgeva quel tanto che bastava dalla barca, e faceva un cenno della mano al suo gruppo, si scambiava segnali d’intesa, s’appassionava al roteare quasi mistico di quelle bestie genuine, dalla pelle lucida sferzata dal vento e dallo iodio, che s’esercitavano ad insegnare ai loro piccoli come si solcano i primi mari.
Mario ha perso mezza lingua, entrambi i polmoni perforati; è un ingegnere delle telecomunicazioni in pensione, ha un figlio spigliato ma serioso che fa il ricercatore in fisica all’università, una moglie bassina dai folti capelli neri che d’estate si trasferisce nella loro villa al mare per giocare a canasta con le amiche, un collega audiofilo che ha comprato all’asta una puntina da vinile per ventimila euro, e un ex compagno di scuola che colleziona trenini del Terzo Reich.
Sorrido al pensiero della cospicua quantità di minuscoli aneddoti con cui ha trovato il modo e la pazienza d’intrattenere un’estranea frastornata.
Un’esperienza emozionante, sai? Continua imperterrito a raccontarmi nel dettaglio della Baja California, non tralascia nulla, non abbandona i suoi propositi, non cede al pericolo, biascica, fa come per commuoversi; così, folgorata da tanta passione, gli chiedo se per caso ha intenzione di tornarci, e lui mi guarda con quell’espressione un po’ basita con cui spesso si apostrofano le persone insensatamente pigre.
No, certo, fra tre settimane vado sull’Himalaya.

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