#ritratti – quattro prose brevi
di Angelo Tolomeo
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[La cultura ai tempi del colera]
In piazza Duomo, davanti alla casa Cazuffi-Rella, c’è un uomo che urla ci vuole più cultura, più cultura! e possiede lo sguardo allucinato di chi ha ragione da svariati millenni ma è rimasto inascoltato. Alcuni turisti prendono dei bastoncini e provano a smuoverlo ma lui rimane irosamente piantato sull’acciottolato. L’autobus dei cinesi che sopraggiunge da via Belenzani deve circumnavigarlo per poter procedere su via Mazzini. Una lunga schiera di ragazzini si apre a ventaglio passandogli accanto, forma un gigantesco estuario che investe tutta la piazza e poi dissecca, scivola rapidamente via, in mezzo alle pietre levigate degli angoli. Poi, quando la quota è raggiunta, l’uomo molla gli ormeggi e, con le vele gonfiate dall’implacabile Föhn della val d’Adige, se ne va, con in faccia la rigida fisionomia di un antico marinaio che affronta l’ultimo mare. La salsedine nelle rughe, tra le pieghe delle mani e sulla blusa. Davanti agli occhi solo l’oceano col suo torbido blu e l’abisso da cui tutto ha avuto origine.
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[A spasso]
Quando ero nel quartiere Mater Domini di Catanzaro ho visto all’angolo della strada un patataro malinconico che svendeva le sue patate. Era seduto sul ciglio del marciapiede: una mano a fermare la febbre della fronte, un braccio penzolone lungo un fianco; l’ape messo di traco* sulle strisce pedonali a sbarrare il passo, a segnare una disfatta. C’erano dei passanti sul lato opposto che si scrutavano l’un l’altro (scivolando in una indifferenza più severa) mentre la donna del terzo piano abbassava un poco le tapparelle del balcone e restava per qualche istante con la testa poggiata nel freddo dello stipite. L’aria era sottile, come quando c’è un morto ammazzato e nessuno ha visto niente.
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*di traco (dialettale) : di sbieco
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[L’omicidio]
Il Butirru è morto, tutto qui. Dicono che i sicari sono entrati nella stanza da letto e gli hanno sparato due colpi al petto. Dicono che è successo così in fretta che non ha nemmeno fatto in tempo ad accorgersi di nulla. La Zinna è saltata su, tutta nuda, e si è raggomitolata in un angolo tremando e implorando pietà. Ma non era lei che stavano cercando. Dicono che è rimasta così, rannicchiata con la faccia contro il muro, fin quando non è arrivata la polizia. Aveva i piedi zuppi di pisciazza. Dicono che il Butirru, steso nel letto, con le braccia larghe e il petto squarciato, sembrava una specie di cristo schiodato. Un dio minore freddato nel momento in cui abbracciava tutta l’umanità di cui era capace. Dicono che aveva una strana smorfia sul viso, quella di chi ha provato un grande piacere e poi subito dopo un grande dolore, senza soluzione di continuità. Dicono che è così la vita: senza soluzione di continuità.
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[Al supermercato]
Nel supermercato irrompono due vecchi, vestiti coi cappelli alla tirolese e le giacche di fustagno. Uno dei due regge una fiaschetta impagliata di Chianti ed entrambi sono alticci. Si posizionano con strafottente noncuranza davanti alle casse, in modo che la fila degli acquirenti non possa avanzare, e danno corpo ad alcuni motivi di montagna in un dialetto primitivo impastato col vino – il più giovane si cala la tesa sugli occhi esaltando in questo modo la malinconia delle strofe. Le facce dei presenti, sulle prime, si illuminano di compassione ma presto si deteriorano, quando si intuisce che la faccenda va per le lunghe e i vecchi non hanno alcuna intenzione di mollare la presa. Arriva la guardia giurata – che leva gli occhi al cielo, tira uno sbuffo tra i denti – ma prima che possa dire qualcosa viene apostrofato così: lei non può fare niente, noi siamo una citazione etnografica! Piantano il vuoto di Chianti in mezzo al registratore di cassa e vanno via. La fila, allora, dopo qualche istante di smarrimento, riprende il lento corso della propria routine, col pallido bip del codice a barre. Nell’aria rimane limpido solo lo sciabordio del gesto e un odore fortissimo di tabacco e terra. Un bambino che strattona la madre chiede, con l’ingenuità propria della sua giovane età, che si ristabilisca il senso, che si metta a macerare l’etica postmoderna per vedere cosa ne esce.
Ciao Francesca Fiorletta :) sono felice di aver letto questi brevi racconti di Angelo Tolomeo, che ancora non conoscevo. Mi sono utili per capirne il meccanismo narrativo, così sorprendentemente sintetico e nello stesso tempo di spessore. Vorrei poterlo applicare anche nei miei contro gli stereotipi. Avresti il piacere di leggerne uno? Ha vinto un piccolo premio a Castrocaro Terme.
Grazie e buona giornata