Esordire
di Davide Orecchio
Assumo il punto di vista del non esordito 1.
Si trova davanti a un confine. Deve attraversare la frontiera. Cerca cittadinanza in una terra che dia asilo alla sua scrittura. È un profugo. Nessuno lo vede. Lo circonda un muro di ghiaccio. Deve romperlo. L’atto lo renderebbe visibile dapprima alla piccola comunità degli addetti ai lavori, poi, se iniziasse una “carriera”, anche ai lettori.
Che fare?
Il passaggio avverrà in modi più o meno virtuosi.
Esordire non è difficile. Farsi leggere. Nel 2017. Le vie digitali sono infinite. E non c’è nulla di sbagliato. Nel volgere la scrittura ai social media, ai blog. Nel catturare l’attenzione di laggiù/quaggiù. Nascono però testi disintermediati. Questo non vuol dire che non possano essere belli. Ma nessuno li ha curati assieme all’autore, nessuno li ha fatti crescere. E non avranno, nella maggior parte dei casi, la struttura di niente (il racconto, il romanzo, il saggio, la biografia). Saranno pensieri. Nuove forme senz’altro. Forse predicono quello che sarà (o già è) la scrittura.
Una scorciatoia è lo scafista
Per (illudersi di) varcare il confine dalla terra ignota, il non esordito può pagare lo scafista. Dicono che ve ne siano moltissimi, e abili e insospettabili. Promettono il libro. Il viaggio. Sono, però, gente infida. Non garantiscono approdi sicuri. Di certo nessuna certificazione, né cittadinanza. Gli scafisti dell’editoria. Gli editori a pagamento.
C’è una strada più lunga.
Passare per una rivista letteraria, sottoporsi al giudizio, al vaglio, alla selezione e all’editing di un collettivo di persone. E’ la porta stretta dell’esordio.
Non il blog, né la scrittura sui social.
Non lo scafista.
La rivista. Trimestrale, semestrale. Di carta. Con la copertina. Distribuita negli scaffali delle librerie. Con un costo. Non gratis.
Sembrerebbe un fenomeno del Novecento, e invece no. Nascono nuove riviste e fanno un ottimo lavoro.
Ad esempio effe, che è arrivata al numero 6, e pubblica racconti di autori esordienti, un po’ come faceva Watt fino a poco tempo fa.
Effe funziona. Perché? Per una cura editoriale, un ragionamento collettivo, perché un piccolo gruppo si dedica alla selezione dei testi.
Quindi c’è un rapporto. Lo scrivente matura in un esordio sulla rivista dove il gruppo l’accoglie ponendo condizioni di editing, allenando la sua scrittura.
Nella maturazione rientra pure il rifiuto, l’attesa, il tempo.
Se la rivista non giudica pronto il non esordito, lui o lei dovrà aspettare tre mesi, sei mesi, un anno. È il tempo della carta.
Questo tempo serve. La pazienza serve.
La sofferenza è ok, è fondamentale in un esordio. Più si soffre, migliore è l’esordio.
La sofferenza è giusta.
Le porte chiuse, poi forse socchiuse (o non sarà un miraggio?), infine aperte.
Non c’è ragione perché un esordiente non soffra. In fondo vuole entrare in un mondo che lo farà molto soffrire. Ci sarà sofferenza sia nella buona che nella cattiva sorte. E appartenenza a un fenomeno socialmente inessenziale – la letteratura italiana –, che procurerà all’esordito sofferenza.
La sofferenza è educativa.
Lasciamo agli individui di cartapesta le vittorie facili.
Il rapporto tra lo scout, l’editor, l’insegnante di scrittura creativa (non ne conosco, ipotizzo) e il suo allievo o candidato all’esordio è di ragionevole sadismo. Il film Whiplash espone la relazione per analogia. Sostituire l’aspirante batterista con l’aspirante scrittore. C’è la controindicazione di una pedagogia fascista, con sgrottamenti psicologici e ferite che mostreranno per sempre le cuciture inestetiche. Mi rendo conto, ma nessuno ha risolto il problema, a oggi. Quel che è certo è che una didattica materna, affettiva è disdicevole per il non esordito che vuol essere scrittore italiano. Solo lo scrittore italiano, nel suo habitat socialmente inessenziale, può pretendere attestati di stima, complimenti italiani, che pure difficilmente arriveranno. Ma il non esordito, basta che soffra; non ha nulla a pretendere.
*
Torniamo a effe. Dario De Cristofaro, uno dei redattori della rivista, mi ha spiegato come funziona. Cito le sue parole a seguire:
«effe è un’antologia periodica di racconti inediti illustrati che, a ogni uscita, coinvolge scrittori noti accanto ad autori emergenti o alla prima pubblicazione. Il progetto è stato ideato nel 2012 per sondare gli umori della scena letteraria, divenendo una vetrina per gli esordienti e un passaggio collaudato per gli scrittori già noti, grazie a un attento lavoro di scouting portato avanti dalla redazione di Flanerí in collaborazione con lo studio editoriale 42Linee, che si occupa anche della cura redazionale del volume».
«Lo scounting di effe è svolto in un duplice modo: dalla redazione di Flanerí attraverso il lancio di contest nazionali (l’ultimo, lo scorso ottobre, a cui hanno partecipato circa 450 autori aveva come tema appunto il limite); dagli editor dello studio editoriale 42Linee che selezionano il materiale giunto in redazione o suggerito da altri addetti ai lavori (agenti e editor di case editrici medio-grandi)».
«Sulle pagine di effe sono passati, prima di esordire, autori come Luciano Funetta (Tunué), Elisa Casseri (Elliot), Gianni Agostinelli (Del Vecchio), Marzia Grillo (Elliot), Athos Zontini (Bompiani) e Alessandra Minervini (LiberAria), e scrittori già affermati del calibro di Matteo Nucci, Paolo Zardi, Demetrio Paolin, Vins Gallico, Carla Vasio, Luca Ricci e Paolo Cognetti. Ogni racconto di effe è letto e illustrato da giovani creativi di fama internazionale come Lucamaleonte, Andreco, Darkam, Paolo Cattaneo e Alina Vergnano».
Il numero 6 della rivista (uscito a gennaio 2017), dedicato com’è al tema del confine, del limite, richiama in fondo quanto scrivevo sopra dell’esordio.
Questo è il sommario:
Il grande blu di Roberto Bioy Fälsher
I lanciatori di Paolo Cognetti (ill. di Alessandra De Cristofaro)
Eidetica di Matteo Pascoletti (ill. di Alice Socal)
La figlia del padrone di Laura Fusconi (ill. di Marianna Coppo)
Kalat di Davide Coltri (ill. di Giovanna Lopalco)
Ci vorrebbe il mattino che scaccia i fantasmi di Alessio Schreiner (ill. di Olga Tranchini)
Una cosa che non si aspettava nessuno di Luca Franzoni (ill. di Alessandro Ripane)
Solo cose morte di Francesca Morelli (ill. di Nathalie Cohen)
La poltrona di Luca Ricci (ill. di Geometric Bang)
Tra alcuni esordi di effe le scritture sono misteriosamente coerenti, come se comunicassero tra loro, “educate” e di qualità, pure apparentate in una doppia elica comune, primigenia; foto di gruppo di fratelli e sorelle.
Per gusto personale, sempre tra gli esordienti, m’è piaciuto il racconto di Coltri, capace di immedesimarsi nelle peripezie di una ragazza curda, e di raccontarle di guerra in guerra, di frontiera in frontiera (ma nell’empatia di Coltri c’è anche una spiegazione biografica: chi sfoglierà la rivista lo capirà).
*
Certo: il racconto.
A una rivista come effe bisogna proporre un racconto.
Non un testo breve, un componimento, un pensiero che si dica racconto senza esserlo. No, proprio un racconto. Una storia che abbia i requisiti, la struttura, la leggibilità del racconto. È una prova impegnativa. Inevitabile per chi voglia passare per la porta stretta della rivista letteraria. Ma è formativo, no? S’impara qualcosa.
Si incontrano persone e figure editoriali, se non intellettuali, che ti consentono di crescere.
Scrivere un racconto per una rivista letteraria: non c’è modo migliore di esordire. Punto.
*
Resta la questione della responsabilità.
Al di là del confine, nella terra della pubblicazione, si tende a sottovalutarla. O a far finta che la questione non esista. Eppure c’è un tema, se non etico, ambientale. Gli scafisti non se lo pongono. Neanche WordPress o Facebook. Ma una rivista letteraria con la vocazione dello scouting dovrebbe sempre chiedersi: questo autore che faccio esordire sarà atossico, ecologico, biodegradabile? Ho fatto di tutto per verificare che la sua scrittura non contenga plastica, petrolio, materie radioattive, interferenti endocrini, CO2 o altre sostanze di plurisecolare inquinamento?
Ho assolto fino in fondo il mio compito, che è purificare, nel mio piccolo, l’ambiente letterario, migliorarlo e non peggiorarlo?
- L’autore di questo pezzo vive in stato di esordio permanente.↩
Abbasso gli scafisti, sanguisughe dell altrui dolore (oltre che del portafoglio),
W le riviste e la buona editoria, quella seria.
Già…
“Cerca cittadinanza in una terra che dia asilo alla sua scrittura”. Semplicemente magnifico l’uso di questa manciata di parole per definire lo stato d’animo, e di fatto, nel quale si sente stritolato l’aspirante esordiente.
Chapeau!
Contento che ti sia piaciuto, Paola. Un saluto, d.
bellissimo!
“Non c’è ragione perché un esordiente non soffra. In fondo vuole entrare in un mondo che lo farà molto soffrire. Ci sarà sofferenza sia nella buona che nella cattiva sorte. E appartenenza a un fenomeno socialmente inessenziale – la letteratura italiana –, che procurerà all’esordito sofferenza”. Dovrebbero ricordarlo in molti e basterebbe per una prima depurazione alla fonte, di grande aiuto poi alle diverse agenzie di scouting. E ricordo, fra gli altri, il simpatico librino “Tentativi di scoraggiamento (a darsi alla scrittura)” di Erri De Luca. L’alternativa? Vivere, come l’autore dell’articolo, in stato di esordio permanente :)
Gentile Davide Orecchio,
oltre il servizio molto utile dell’articolo, davvero mi chiedo come si possano accostare immagini quali “esordio letterario” e “pagare lo scafista”, “certificazioni e cittadinanza” con “editori a pagamento”. E oltretutto se davvero, a questo pezzo, servono queste immagini.
“Deve attraversare la frontiera. – Cerca cittadinanza in una terra che dia asilo alla sua scrittura. – È un profugo” può essere una manciata magnifica di parole, come dice nel commento Paola Ivaldi, ma oggi, nel 2017, usato come metafora per scrivere un articolo, è anche una manciata di parole sorde. O, per lo meno, da rivalutare.
Buon lavoro
Luca