Commedia nera n.1

recamidi Edoardo Zambelli

Francesco Recami, Commedia nera n.1, Sellerio, 2017, 224 pagine

Era talmente terrorizzato dalla realtà esterna che preferiva una simile routine, in fondo passava tutta la giornata, dalle nove di mattina quando Maria Antonietta usciva di casa, fino alle sei, sette di sera, quando lei tornava, da solo, senza contatti col mondo, che non desiderava e gli facevano paura. Trascorreva molto tempo a guardare la televisione.

L’ultimo libro di Francesco Recami è, a dirla in breve, la messa in scena di un tentativo di fuga. Antonio Maria è prigioniero in casa sua. Prigioniero di sua moglie (commissario di polizia sadico e autoritario, che lo sottopone ad ogni tipo di umiliazione, sia fisica che mentale), di una non ben precisata malattia (forse la depressione), e della propria totale incapacità di ribellarsi allo stato delle cose.

Ogni tanto commetteva qualche errore, che scombinava il difficile equilibrio con la moglie. Lei lo metteva in punizione, nella cosiddetta cella di rigore, per qualche ora o più, lui si pentiva e lei lo perdonava.

Ormai da anni le cose funzionavano così.

Questo, almeno, fino a che non decide di provare a scappare. E qui si innesca il meccanismo del romanzo. Non c’è una vera e propria trama, piuttosto la narrazione si muove per episodi che di volta in volta ci mostrano i tentativi di fuga del povero protagonista. Fuga che assume significati via via sempre più estremi con l’avanzare della frustrazione di Antonio.

Non è un caso che qui e là nel testo il protagonista si ritrovi a guardare in tv i cartoni animati di Wile E. Coyote. In effetti, la chiave di lettura del romanzo sta tutta lì. Recami ha messo in scena un coyote umano, ha realizzato un romanzo-cartoon. Tutto è portato all’eccesso. Più si va avanti e più le situazioni si fanno paradossali e improbabili. Vediamo Antonio Maria ingegnarsi a costruire macchinari e piani di fuga sempre più complessi, tutti destinati, ovviamente, al fallimento (i congegni si inceppano, le fughe rocambolesche terminano in altrettanto rocamboleschi rovesci del caso).

L’intuizione di Recami sta proprio nel chiedersi: se Wile E. Coyote esistesse davvero, se avesse l’aspetto di un uomo qualunque, farebbe poi così ridere? L’idea è affascinante e la messa in atto di tale presupposto è, a mio avviso, pienamente riuscita. Se gli stratagemmi di Antonio si rivelano effettivamente comici, sono i suoi fallimenti a darci l’idea di una tristezza e di un dolore che hanno del commuovente.

Non ce la farò mai, il mio destino è segnato: anche se decidessi di abbandonarmi all’inedia più completa, all’immobilità, all’apatia totale, fallirei pure in quell’obiettivo.

Forse, è anche possibile vedere il romanzo come una riflessione sulla coppia. Il grande nemico di Antonio è in effetti Maria Antonietta e il luogo da cui cerca di evadere è tanto la casa quanto un matrimonio che ha preso ormai derive da campo di concentramento. Poche, in realtà, sono le memorie di un felice passato insieme. Il matrimonio si è incrinato quasi subito, quando Maria Antonietta ha scoperto l’inadeguatezza del marito a soddisfarla sessualmente. Poi è arrivata anche la misteriosa malattia di Antonio, e lì è iniziato il vero disastro.

Le torture che Antonio è costretto a subire sono varie: prima fare da cavia a un aspirante infermiere (prestando quindi il suo corpo all’esercizio delle iniezioni), poi da cavia a un aspirante tatuatore con una bizzarra inclinazione per le simbologie di estrema destra, infine la tortura peggiore di tutte: la cella di rigore. Quando Antonio sbaglia, la moglie lo chiude lì, in uno stanzino minuscolo, e lo costringe ad ascoltare senza sosta un disco di Donatella Rettore. E questo per limitarsi a quelle fisiche. Quelle psicologiche, poi, non si contano.

È interessante notare come Recami sia riuscito, esagerando, estremizzando, a rappresentare un qualcosa che è tristemente presente nelle cronache nere recenti e non. La violenza nella coppia, i rapporti che diventano malati, la dipendenza psicologica che diventa rifugio e prigione insieme. Se questa cosa sia voluta o meno è difficile dirlo. Fatto sta che così facendo, un romanzo all’apparenza leggero, genera anche un livello di lettura più profondo che è capace non solo di far riflettere ma anche di far paura.

Tutto questo Recami lo fa con un linguaggio pulito e semplice, che non cerca mai il virtuosismo e non ne ha bisogno. I dialoghi sono volutamente sopra le righe, funzionali alla messa in scena di umanissimo cartone animato. Commedia nera n.1 è un romanzo che ha insieme le caratteristiche dell’assurdo kafkiano e l’umorismo sadico e inquietante di un film di Polanski.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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