La Guerra Santa da salotto dell’Illuminista (inglese, mi raccomando)
di Anatole Pierre Fuksas (con l’assenso motivato e partecipato di Lorenzo Declich)
Da quando eravamo molto giovani abbiamo in comune un disprezzo sostanziale per le argomentazioni ideologiche basate sull’ignoranza unito ad una clamorosa inclinazione per il cazzeggio sfrenato. Nel corso del tempo abbiamo condiviso con molte altre amiche ed amici più o meno storici queste nostre due passioni. Negli ultimi due anni, poi, abbiamo sentito un po’ il bisogno di coniugarle con una serie di studi che abbiamo portato avanti indipendentemente nei rispettivi campi di competenza, l’Islamistica e la Filologia Romanza al fine di ridere e piangere allo stesso tempo del modo in cui cose tanto tragiche e tanto diverse tra loro vengono correntemente mescolate a vanvera nel discorso pubblico, dai media ufficiali ai social network, un po’ dappertutto, cioè non solo in Italia.
Abbiamo provato a dire perché secondo noi non sia in corso nessuna crociata in risposta a nessun jihad, che cioè il frame della guerra santa è una cazzata atomica, elaborato sulla base di evidenze esigue e competenze labili. Abbiamo soggiunto che, invece, ci sono gli estremi per riconoscere una guerra mondiale più profonda in corso tra apocalittici ed integrati, della quale il frame della guerra santa è solo uno dei tanti prodotti. A quel punto abbiamo capito che diventava urgente demistificare i collegamenti abusivi tra i vari attentati avvenuti in Europa negli ultimi anni, provando a capire perché e percome non fossero tutti la stessa cosa, cioè perché i vari attentatori non combattessero tutti la stessa battaglia, colpendo vittime innocenti più o meno a caso in Europa, come in Medio Oriente, in Africa come negli Stati Uniti.
Ci è parso di poter dimostrare che l’attentatore di Monaco, quello che giradava «turchi di merda» sparando dal tetto di un supermercato, non combattesse la stessa guerra del kirghiso uiguro che entra in un locale di Istanbul e ammazza gente a caso. Non combattono certamente la stessa guerra il killer forse gulenista forse no dell’ambasciatore russo ad Ankara e il pluripregiudicato tunisino che si spaccia per calabrese alla stazione di Milano, dopo aver schiantato un camion contro un mercato natalizio a Berlino. Meno ancora combattono la stessa guerra l’attentatore omofobo di origini pachistane del Pulse di Orlando e quello molto francese che a Nizza ha lanciato un TIR contro la folla il 14 di luglio.
Leggendo Panebianco all’alba di questo nuovo anno, già cominciato malissimo (ma finirà peggio, ne siamo sicuri), abbiamo scoperto di essere, nella sostanza, dei negazionisti dell’evidenza, perché «i terroristi non sono folli, ma soldati del terrore» e «non dobbiamo negare il ruolo che la religione ha nell’arruolamento dei militanti per la guerra che l’Isis ci ha dichiarato», e siamo solo al titolo e all’occhiello! Secondo Panebianco la dialettica che vede contrapposti «quelli che dicono che «la religione non c’entra», sono solo gli «interessi» (materiali) a spiegare tutto» e «quelli che sostengono che la religione sia la vera causa» sia in realtà una semplificazione. L’impianto retorico parrebbe saltare quando Panebianco spiega come non si tratti in realtà di una semplificazione, poiché in realtà i primi hanno proprio torto, dato che ci sono «atteggiamenti del mondo islamico nei confronti della società aperta occidentale e sugli aspetti della loro tradizione che hanno generato la sfida jihadista».
Cosa sia il mondo islamico, quali siano questi atteggiamenti, cosa il nostro intenda per sfida jihadista non ce lo spiega, lo dà per scontato, come se lo fosse davvero. Piuttosto ci racconta che nella natura di questi attentati che scuotono l’Europa (Istanbul non è tecnicamente in Europa e decine d’altri attentati hanno avuto luogo in località extraeuropee, ma lasciamo correre) non c’è nulla di folle: non si tratta di «folli attentati», ma di una «guerra dichiarata da qualche organizzazione (ieri Al Qaeda, oggi l’Isis, domani un’altra)». Dunque i soldati che la combattono sono «la versione contemporanea dei combattenti per la causa islamica dell’età medievale e della prima età moderna» (double facepalm).
Di seguito Panebianco prova a spiegare che l’ignoranza religiosa dei cosiddetti jihadisti e i loro trascorsi di rilevanza penale non bastano ad etichettare i gesti di costoro come animati da altro che dalla cieca determinazione armata dal credo religioso. Solo sul finale, dopo uno spiegone mal scritto e approssimativo delle guerre di religione tra Cattolici e Protestanti e uno ancor peggio scritto e approssimativo sulla deriva irrazionalista che smentisce l’Illuminismo francese (quello inglese invece pare che ci abbia preso, secondo lui, così, in blocco), Panebianco raccorda sagacemente il suo argomentare al punto di partenza. Ci spiega, cioè, che la religione e gli «interessi» «non si escludono mai a vicenda» (segue applausone, immaginiamo).
Ora, uno di noi (Lorenzo) ha scritto di Panebianco in continuazione negli ultimi dieci anni, al punto che potrebbe farci un libro su Panebianco e tutto ciò che rappresenta, cosicché ci si potrebbe astenere da questo commento, primo perché noi élite radical dell’Esquilino e San Saba saremmo in vacanza in Maremma davanti al camino, secondo perché appare evidente il divario di prestigio che ci separa da questo gigante della cultura contemporanea. Ma viene un po’ da sé che, da combattenti irriducibili di questa inutile e impossibile battaglia contro l’imbecillità, si abbia voglia di ribadire il concetto saliente, che cioè non è in corso nessuna guerra di religione, gli attentati che si susseguono non sono battaglie della stessa guerra, i collegamenti tra di essi sono labilissimi e fanno capo al modo in cui singoli attentatori si declinano come parte di questa guerra contro noi tutti, che soltanto loro e Panebianco stanno combattendo. Secondo noi Panebianco è in guerra contro persone come noi, ovvero contro coloro i quali ancora credono nella possibilità di una convivenza civile di qualche tipo di tutti con tutti, più che contro terroristi che non lo conoscono e non lo cagano di striscio, troppo occupati a combattere in modo mostruoso battaglie sbagliate, che ci si ostina a ricondurre ad unica grande guerra di religione per ragioni di ignoranza e cattiva coscienza.
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Si scrivere Istanbul non Istambul
;)
‘Ci è parso di poter dimostrare…che non combattesse’: ma che italiano è?
Gli attentati compiuti negli Stati Uniti e in Europa da persone provenienti da paesi islamici – dal Marocco al Pakistan – oggetto di colonizzazioni ottocentesche, manipolazioni postcoloniali, espropriazioni, guerre distruttive, invasioni, rappresaglie etc. – sono la naturale reazione delle popolazioni di quei paesi alla ormai secolare aggressione da parte prima dell’Europa, poi dell’America e dell’Europa insieme. Se a questo uniamo la resistenza delle tradizioni patriarcali di quelle popolazioni alla sfrenata libertà (sopratutto sessuale) portata e quasi imposta dall’Occidente e lo scarsa integrazione di molti immigrati, si capisce che l’ISIS non è la causa ma l’effetto del rapporto perverso (bombe+porno+emarginazione) con gli occidentali. In questo contesto, ogni militante ha un’ampia scelta di motivazioni – politiche, religiose, culturali, di disagio personale etc. – per l’atto terroristico.
Bravo Sebastiano…con un pó di granum salis. Oltretutto Sebastiano in due economicissime parole dice….senza cazzeggiare ex chatedra (homdimenticato dove va la h). Abbiamo veramente bisogno di un pó di buon senso. No?
No. Non basta poco, il buon senso non basta. L'”analisi” di Sebastiano, ad esempio, non serve a niente.