Miti Moderni/21: violent femmes
di Francesca Fiorletta
L’odore intenso di dopobarba, fra le pieghe delle lenzuola, l’alba che stenta ancora un attimo fuori dai vetri, l’umidità pesante di un nuovo fine settimana. Era sembrato troppo facile, svegliarsi, persino per un’assassina come lei, seriale.
Aveva trovato il modo di liberarsi, e definitivamente, di tutti gli uomini con cui aveva avuto a che fare: insegnanti di scuola elementare, maestri di yoga e pianoforte, istruttori di tennis e pilates, docenti universitari, capo famiglia ingrigiti e goderecci, e capi scout alle prese con fischietti di ferro e calzoncini di velluto; s’era disfatta senza remore di tutti i datori di lavoro maneschi e viscidi, di tutte le imprese di pulizia a cottimo e squallore, delle pompe funebri in via Lucina 33, del bricolage, del poker e del rodeo di paese, del capostazione al binario come amico d’infanzia, perduto, e delle fermate degli autobus, sempre troppo frequentate; scartava con sospetto gli sguardi supplici dei vigili urbani e dei venditori di calzini spaiati, gli ammiccamenti ragguardevoli dei modelli di intimo dai balconi in piazza, degli attori delle fiction in seconda serata.
Lei, con gli uomini, non voleva avere niente a che spartire.
Perciò, per potersi sentire finalmente libera, finalmente “se stessa”, come amava dire, sparava a tutti, indistintamente, li faceva fuori con quel gesto fulgido e veloce della mente, che taglia la gola al reticolato dei ricordi, che dissangua le vertebre dell’attesa spasmodica attaccata a un cellulare che non squilla mai, che fa deperire ogni pretesa di orgasmi multipli dentro un piatto di minestra troppo cotta, col formaggino bollito, rappreso ai bordi del cucchiaio, perfettibile e mai domo oggetto contundente, arma esiziale di difesa e attacco, allontanamento volontario dal genere maschile 2.0.
Lei gli uomini li ha sempre odiati, come ha sempre odiato la violenza, i soprusi, i maltrattamenti, i lividi, le botte, le rinunce, le risacche, le risalite, le scuse pietose, le bugie asfittiche dall’altro capo dello schermo di un pc, “sei bella, ti amo”; gli ansiolitici, e le corse in ospedale, “cara, è stato un incidente”, i referti medici falsificati, il distacco della retina, la cornea che si sgretola, va in frantumi, una testata contro lo stipite della porta, una maniglia conficcata per sbaglio in un polmone, sia chiaro, scivolare da soli nella doccia, la schiuma dello shampoo che non perdona, l’avarizia.
“Questo non è l’amore”, ma anche l’amore può assumere diverse forme, i serpenti al netto delle spire, gliel’ha spiegato tante volte quel suo nuovo, giovane medico, ha preso a cuore il suo caso, ha provato a calmarla, tranqullizzarla, “Non tutto è perduto”, ma lei niente, ossessiva compulsiva patologica, monomaniacale, disdicevole esistenzialista senza tempo né spazio, senza prospettive sul domani, niente fiducia, soprattutto, vesto il genere umano, nei confronti dell’”altro sesso”; fare l’amore mai più, neanche a parlarne, traumi che si aggravano, che si accumulano ad altri traumi, presi dalla rete, presi dalle notizie sugli eccidi e i mostri di famiglia, ripescati dai ricordi degli abusi, dei discrimini mai domi, le speranze non pagate, l’incandescenza di un futuro anteriore che ha il sapore amaro dell’aspirina per la congiuntivite che nasconde i pugni, il medicamento per i dolori muscolari senza strappi di sorta, il silicone per le abrasioni sottocutanee, il veleno del dopobarba.
Poi si sveglia, è allegra, un’altra volta.
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Da esperta di contrasto alla violenza sulle donne, dico: interessante. Forse un dopobarba di troppo, ma interessante il gesto di rivalsa su tutta la categoria degli uomini. Un perfetto esempio di come “fare di tutte le erbe un fascio” La mia, in questa ultima frase, è critica sarcastica.