Moshe Kahn: come ho tradotto Horcynus Orca

testo raccolto da Davide Orecchio

horcynus*** Moshe Kahn è il letterato e traduttore che per primo ha portato Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo in un’altra lingua. Nella sua carriera ha tradotto in tedesco, oltre a D’Arrigo, autori come Primo Levi, Pier Paolo Pasolini, Roberto Calasso, Luigi Malerba, Beppe Fenoglio, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Andrea Camilleri. Il lavoro su D’Arrigo ha una lunga storia: prima di approdare alla Fischer Verlag (il romanzo è stato pubblicato nel 2015) Kahn ha lavorato a lungo sul testo, sin dagli anni Ottanta, confrontandosi prima con D’Arrigo, poi con altri intellettuali che, come leggerete sotto, l’hanno accompagnato nella decifrazione e resa per la lingua tedesca. Un lavoro durato più di trent’anni, in emula simmetria al tempo che si prese D’Arrigo per creare Horcynus Orca.

Nonostante il prezzo elevato (58 euro) l’Horcynus tedesco, uscito inizialmente con una tiratura di duemila copie, è arrivato a venderne in un anno quasi diecimila: «9.577, anche grazie a una prima critica entusiasta, quasi delirante, alla radio (di 22 minuti!)», precisa lo stesso Moshe Kahn. «Il libro ha ricevuto critiche molto favorevoli, non ne avevo mai viste tante in vita mia – prosegue Kahn –. Ho letto circa cento recensioni, e neanche una negativa. È stato lodato D’Arrigo come un’autentica rivelazione della letteratura europea del XX secolo, è stato elogiato il mio testo come un monumento di ricchezze linguistiche e musicali non ritenute più possibili al giorno d’oggi, ma questo è tutto dovuto all’ispirazione di D’Arrigo».

L’Horcynus Orca di D’Arrigo e Kahn ha vinto tre premi nel 2015: il Premio Italo-Tedesco 2015 dei rispettivi ministri degli Affari esteri per la migliore traduzione dall’italiano; il Premio Jane Scatcherd della Fondazione Ledig-Rowohlt per il coraggio linguistico; il Premio Paul Celan per la straordinaria applicazione di un tedesco ricco e inventivo. Un modo migliore per celebrare il romanzo, a quarant’anni dalla sua pubblicazione, non poteva esserci. Adesso si attendono nuove traduzioni: in francese, spagnolo, inglese. Ma restiamo al caso tedesco. Vediamo com’è andata, nella ricostruzione dello stesso Moshe Kahn. ***

Mi si era rivelata la grandezza e l’unicità di questo romanzo
Un caro amico, Donato Sanminiatelli, mi aveva parlato dell’Horcynus Orca già nel 1975, poco dopo la sua pubblicazione, e mi aveva raccomandato caldamente di leggerlo. Ma lo trovai ancora troppo difficile e complesso per la mia conoscenza della lingua italiana che, comunque, all’epoca era già piuttosto vasta. Solo verso la tarda primavera del 1979, quando ormai mi ero trasferito da Roma in campagna a Anticoli-Corrado, in provincia di Roma, e Sanminiatelli era morto da poco, decisi di riprendere la lettura del romanzo – considerandola una specie di sua eredità – e mi dedicai a questa lettura per ben tre anni intensi, durante i quali mi si rivelò la grandezza e unicità di questo romanzo gigante, non solo nell’ambito della letteratura italiana.

Terminata la lettura volli conoscere quest’autore così radicalmente diverso dagli altri, perché mi interessava sapere com’è fatto uno scrittore capace di produrre un libro di tale portata, un’opera che per me segnava una nuova epoca della narrazione. L’ufficio della Mondadori a Roma m’aveva chiesto di presentarmi da loro perché mi potessero dare tutte le indicazioni necessarie. In questa occasione mi domandarono pieni d’ammirazione se avessi letto veramente Horcynus Orca fino in fondo. Io confermai, un po’ confuso dalla domanda alquanto bizzarra, e la segretaria si congratulò con me dicendo: «Beato lei, io ho smesso a pagina 17».

D’Arrigo insisteva
sulla musicalità del linguaggio

A Roma incontrai D’Arrigo, che mi accolse con un calore del tutto sorprendente per me. Ero abituato a intellettuali distanti e superbi. Lui, invece, niente di tutto questo: era immediato, caloroso, molto comunicativo. In seguito tornai a trovarlo molte volte, mi parlò della sua vita, del suo nuovo romanzo (Cima delle nobildonne), sul quale stava ancora lavorando, degli artisti e pittori che aveva conosciuto. Ma soprattutto parlammo molto di come tradurre il linguaggio unico di Horcynus Orca, in vista di una possibile edizione in tedesco. D’Arrigo insisteva sulla musicalità del linguaggio e mi raccomandava di non attaccarmi fanaticamente al senso filologico di una determinata parola, ma di produrre sempre una musicalità analoga in tedesco, anche a costo di allontanarmi dalla precisione filologica. Ma mi raccomandava pure con insistenza di non tradire mai il senso della frase e del racconto, di non tradire mai il pensiero. Sotto la sua guida ho sviluppato poco a poco un preciso concetto della funzione della traduzione in genere, ossia che le due colonne maestre di una traduzione sono la libertà e la responsabilità dal e verso il testo e il suo autore – due princìpi fondamentali per tutto il mio lavoro di traduttore.

Una pausa lunga vent’anni
Avevo realizzato le prime cinquanta o sessanta pagine – parte dell’incipit del romanzo, parte dell’episodio di Ciccina Circè –, la mia idea era di interessare le due case editrici tedesche più idonee a una tale impresa, cioè la Suhrkamp/Insel e la Hanser. Siamo nel 1982.

Anche Leonardo Mondadori venne a conoscenza del mio interesse e del mio impegno, e mi propose uno stipendio mensile per la durata della traduzione, così da convincere gli editori tedeschi. Ma poco dopo sopraggiunsero profondi cambiamenti all’interno della Mondadori, col risultato che Leonardo lasciò il suo posto e fondò la casa editrice Leonardo. E mentre questo succedeva, gli editori tedeschi decidevano di non accogliere la mia proposta: uno sosteneva che il rischio era troppo grande, dato che D’Arrigo era completamente sconosciuto fuori dall’Italia e il romanzo era troppo voluminoso; l’altro faceva riferimento alle critiche negative apparse all’epoca della pubblicazione in Italia, con nessun accenno a quelle positive che invece abbondavano, e poi scritte da persone di valore. A quel punto il mio progetto si fermò per ben ventitré anni, quando…

L’incontro con un nuovo editore
… quando, nel 2005, incontrai l’editore svizzero Egon Ammann, che mi offrì l’occasione di parlargli di questo romanzo e del suo autore. Dopo alcuni mesi di riflessioni, di consultazioni e di calcoli Ammann mi fece sapere che ci saremmo «imbarcati insieme in quest’impresa avventurosa». Concluse un contratto con la Rizzoli [che nel 2003 ha pubblicato una nuova edizione italiana di Horcynus, ndr.], e io nell’ottobre 2006 ho potuto riprendere il mio lento lavoro di traduzione, trasformazione, assimilazione, acquisizione al tedesco.

Ammann e sua moglie erano i fondatori e gestori della Ammann Verlag, una piccola casa editrice di Zurigo, ma molto prestigiosa. Da sempre lui e la potente S. Fischer Verlag facevano grandi progetti insieme, Ammann le edizioni hardcover, S. Fischer le edizioni tascabili. Nel 2010 lo stato di salute di Ammann si è aggravato a tal punto da costringerlo a chiudere bottega. Io all’epoca ero nel pieno della traduzione e ho temuto il peggio per il mio lavoro. Ma Ammann mi ha tranquillizzato assicurandomi che il progetto Horcynus sarebbe passato direttamente alla S. Fischer Verlag. Ammann, invece, avrebbe continuato ad affiancarmi nel ruolo di editor. E così è stato.

Tradurre Horcynus come se fosse un testo greco
La traduzione procedeva molto lentamente, a volte con belle trovate, ma più spesso con gravissimi dubbi sulla tonalità che stavo cercando di dare al testo tedesco. Intanto D’Arrigo non c’era più, perciò non potevo rivolgermi a lui per chiedere delucidazioni o ottenere incoraggiamenti. Perciò il mio lavoro procedeva a tentoni.

A D’Arrigo si sostituì Stefano Lanuzza, un suo conterraneo, un uomo molto dotto e colto che abita e insegna a Firenze: ha scritto un saggio dal titolo Scill’e Cariddi – Luoghi di “Horcynus Orca”, pubblicato nel 1985, che D’Arrigo aveva molto apprezzato. Quando, dopo anni di lavoro, arrivavo a un punto di totale esaurimento, quando non trovavo più la mia strada all’interno dei periodi sintattici di D’Arrigo, era lui, Stefano Lanuzza, che mi salvava in continuazione e mi rimetteva sulla giusta strada.

Improvvisamente mi è stato chiaro
che il siciliano porta con sé un’eredità greca

In una di queste occasioni ho cominciato a riflettere sull’idioma siciliano, sulla sua storia e sul suo sviluppo nei secoli e millenni. E improvvisamente mi è stato chiaro che il siciliano porta con sé una eredità greca non indifferente. Quando me ne sono reso conto, ho cominciato a tradurre l’Horcynus come se fosse un testo greco, senza più trovare difficoltà nei grovigli sintattici quando si presentavano. È stata come una carica di ossigeno per il mio testo. E così ho portato avanti il lavoro. Ovviamente più tardi, in fase di revisione, ho dovuto adattare i vecchi strati della traduzione alle nuove conquiste linguistiche.

La comparatista Isabella Horn ha scritto un saggio su come e con quali tecniche ho trasformato il testo italiano in tedesco (consultare Google!). Qui osserva che, nonostante certe libertà, ho mantenuto alla perfezione lo spirito e il ritmo darrighiano del linguaggio e della narrazione.

Eppure, a lavoro concluso, non ero ancora contento, c’erano molte pagine da riconsiderare, alcune anche da riscrivere, certe espressioni non mi sembravano riflettere sufficientemente l’intenzione di D’Arrigo. Quindi mi sono messo per due anni a ritoccare, e per ben nove volte, l’intera traduzione.

Quasi dieci riscritture 
All’inizio di settembre 2014 avevo rielaborato la nona versione, ma per un ennesimo scrupolo volevo dare un’ultima, veramente ultima occhiata a tutto il testo. Passò a trovarmi Ammann. Mentre gli preparavo un espresso mi chiese cosa stavo facendo in quel periodo. Gli risposi che mi preparavo a revisionare l’Horcynus per la decima volta, giusto per essere sicuro che fosse tutto a posto prima della consegna all’editore. A quel punto Ammann mi abbracciò e disse con calma che dovevo preparare una valigetta col necessario. Quando gli chiesi perché, mi rispose con un largo sorriso che era giunto il momento di ricoverarmi in un reparto psichiatrico: «Nove versioni sono al limite ancora accettabili, ma dieci fanno un caso patologico».

Il rilancio del romanzo in Italia, e altrove
Sono stato a Cagliari alla fine di febbraio 2016. Sono entrato nella libreria più importante della città. Ho chiesto notizie dell’Horcynus e il libraio mi ha detto che, stranamente, le richieste da parte dei lettori erano aumentate dopo anni di oblio. Non so se sia dovuto al successo in Germania, ma so che alcuni giornali e riviste italiani ne avevano scritto e forse avranno creato un’eco che ha influito. Sarebbe augurabile. Vediamo cosa avverrà quando, alla fine del 2017, verrà pubblicata la versione francese del romanzo, curata da Monique Baccelli e Antonio Werli; e poi tra qualche anno anche quella spagnola curata da Miguel Angel Cuevas, e quella americana curata da Stephen Sartarelli. Forse allora gli italiani capiranno che Horcynus Orca è un monumento della loro cultura, e ne saranno fieri.

La Germania conquistata da un’opera del sud. Un’altra Europa è possibile
Sono del parere che non solo un’altra Europa sarebbe possibile, ma addirittura un altro mondo, se solo la cultura fosse portata sempre al centro dell’attenzione di tutti i popoli e se questi fossero più potenti dei politici che formano una casta dannosa, poco affidabile e di bassa cultura. I soli campi che, dopo tutto, non conoscono frontiere, nazionalismi, odio religioso o razzismo sono quelli della cultura, dell’arte, della scienza: cioè il meglio dell’umanità. Quindi: più cultura significa più comprensione e rispetto e più pace. Ma la cultura ha pochi sostenitori tra coloro che hanno il potere di decidere sul suo finanziamento. Loro, purtroppo, calcolano il «rendimento» e l’«utile» non secondo criteri genericamente sociali, ma in base a categorie prevalentemente economiche. In questo senso la cultura non ha un futuro roseo, perché richiede per forza degli investimenti in modo che il beneficio perduri per secoli e millenni e renda grande una civilizzazione, cosa che i politici d’oggi non sono neanche lontanamente in grado di fare e tanto meno di capire.

Chi è Moshe Kahn
Sono nato nel gennaio 1942 da genitori che da due generazioni non erano più ebrei, ma che i nazisti hanno considerato ebrei lo stesso; fuggirono in Svizzera, dove sono cresciuto e dove ho frequentato il liceo classico. Poi, da adolescente, mi sono convertito alla religione dei padri, sotto la guida del rabbino Robert Raphael Geiss, un allievo di Franz Rosenzweig; seguirono studi in orientalistica antica, filosofia e giudaistica. Dopo gli studi mi sono occupato di teatro lirico e di prosa in qualità di aiuto regista. Nel 1966 sono venuto a Roma per starci per sempre; dopo alcuni anni di pratica teatrale e televisiva, mi sono ritirato «dalle scene» per dedicarmi alla traduzione (assieme a Marcella Bagnasco) della prima grande scelta di poesie di Paul Celan in italiano, per la quale Celan ci aveva scelto personalmente tra tutti gli altri che si cimentavano; la raccolta venne pubblicata nella collana Lo Specchio, ma sparì dopo l’ultima ristampa, perché Mondadori non volle farsi concorrenza all’interno dopo la pubblicazione delle poesie di Celan curate da Giuseppe Bevilacqua. Comunque, ricevetti una breve lettera di Eugenio Montale nel 1977, scritta di suo pugno, con la quale si complimentava con noi per la bellezza del nostro lavoro che per lui rappresentava «l’incontro poetico più importante degli ultimi trent’anni» della sua vita.

Da allora mi sono dedicato alla traduzione in tedesco di grandi autori italiani, tra i quali Andrea Camilleri, Primo Levi, Pier Paolo Pasolini, Roberto Calasso, Luigi Malerba, Fenoglio – per nominare solo alcuni – fino all’Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, in tutto circa cento titoli. L’ultimo, ma non ancora pubblicato, sono i Racconti di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nella nuova edizione critica della Feltrinelli, curata da Nicoletta Polo e Gioacchino Lanza Tomasi. In futuro pubblicherò ancora due mie traduzioni: le poesie di Stefano D’Arrigo dal titolo Codice siciliano e il romanzo Cima delle nobildonne. Poi più niente. Mi dedicherò esclusivamente alla pubblicazione di libretti lirici di opere del Settecento (Mozart) e dell’Ottocento prevalentemente italiano, in versione Text Score – un sistema di «partiture dei testi» da me inventato e sviluppato per tutti coloro che non possiedono un’acuta nozione musicale, ma molta passione per l’arte della lirica –. Le partiture saranno disponibili sulla app Operafans of Text Score Systems.

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5 Commenti

  1. Un bravo Stefano Lanuzza che per lunghi anni ha collaborato con Moshe Kahn e prima ancora (da sempre) grande amico di D’Arrigo. Scrittore, il Lanuzza, originalissimo e di notevole spessore. Da scoprire.

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davide orecchio
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Vivo e lavoro a Roma. Libri: Lettere a una fanciulla che non risponde (romanzo, Bompiani, 2024), Qualcosa sulla terra (racconto, Industria&Letteratura, 2022), Storia aperta (romanzo, Bompiani, 2021), L'isola di Kalief (con Mara Cerri, Orecchio Acerbo 2021), Il regno dei fossili (romanzo, il Saggiatore 2019), Mio padre la rivoluzione (racconti, minimum fax 2017. Premio Campiello-Selezione giuria dei Letterati 2018), Stati di grazia (romanzo, il Saggiatore 2014), Città distrutte. Sei biografie infedeli (racconti, Gaffi 2012. Nuova edizione: il Saggiatore 2018. Premio SuperMondello e Mondello Opera Italiana 2012).   Testi inviati per la pubblicazione su Nazione Indiana: scrivetemi a d.orecchio.nazioneindiana@gmail.com. Non sono un editor e svolgo qui un'attività, per così dire, di "volontariato culturale". Provo a leggere tutto il materiale che mi arriva, ma deve essere inedito, salvo eccezioni motivate. I testi che mi piacciono li pubblico, avvisando in anticipo l'autore. Riguardo ai testi che non pubblico: non sono in grado di rispondere per mail, mi dispiace. Mi raccomando, non offendetevi. Il mio giudizio, positivo o negativo che sia, è strettamente personale e non professionale.
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