mater (# 6)
di Giacomo Sartori
Adoravi i risotti
adoravi i risotti
il prosciutto di Parma
i formaggi cremosi
i bianchi secchi
i rossi leggerini
la frutta gonfia di succo
e i dolci
tutti i dolci
morbidi o crostosi
i cioccolatini
il torrone burroso
piluccavi avidi bocconcini
becchettatine d’uccello
mimetizzate nelle arguzie
spigliate o analitiche
(guai all’ingordigia
solo il volgo
s’abbuffa e strafà)
detestavi i buongustai
e chi mangia d’appetito
se sceglievo un buon posto
decriptavi il menù
stringendo le guance
e poi chiedevi del pollo
normale pollo arrosto
indignata del disservizio
(davvero non servite pollo?)
Mi raccontavi
mi raccontavi
ch’avevi sbagliato tram
poi scordato la borsetta
sul tram giusto
o perso la coincidenza
ogni giorno qualche guaio
scendere in città
o solo alla cooperativa
una spedizione ormai ardita
così vecchina e fragile
(altro che frenetici circuiti
e scorribande in cinquecento)
ma non era solo questo
eri sempre stata confusa
razionalmente illogica
ponderatamente sbadata
noi lo sapevamo
io stesso son così
(perché allora fingere?)
narravi le tue odissee
affranta per te stessa
ma anche franando
in una gaiezza
interrata da strati di vita
(reperti cristallini
di frenetiche risate
tra sorelle)
guardando nel piatto
sorridevo benevolo
(paterno!)
Non capivi quello che dicevo
non capivi
quel che dicevo
non cercavi
d’abbordare il baratro
assentivi distratta
incoraggiante e assente
(come nei salotti)
glissando ad altro
solo disquisendo di politica
m’era dato avvincerti
La tua eleganza
la tua eleganza
con pretese di distinzione
e rigidità di gran dama
aveva grazie impacciate
di bambina non bella
(sotto sotto vergognosa)
Quand’ero malato
quand’ero malato
o insomma fragilizzato
avvertivo l’oppressione
(pure a distanza!)
sul tuo torace
d’anziana ragazzina
i tuoi occhi annaspavano
la notte non dormivi
a modo tuo
eri una mamma
(ti facevo pena)
se le cose
m’andavano bene
o alzavo la cresta
m’attaccavi
e m’umiliavi
(lo scotto anche
delle sconfitte)
non sopportavi
che fossi felice
come perdonarti
d’essere come me?
Tutto era bello
il tuo salone
del tardo Rinascimento
(tredici per sette)
col cotto sbilenco
il camino monumentale
era un antro fatato
(più che accogliente!)
tutto era bello
prezioso o raro
sontuosi pezzi da museo
flirtavano con
sgargianti ciarpami etnici
e oggettini correnti
in scialo di grazia
e ecumenico disprezzo
di qualsiasi declinazione
della pedissequità
Anche un po’ di criterio
Ruth 1915
Mica 1916
Lumo 1918
Piuma 1921
le quattro furiose Lange
foriere di scandali
e suicidi d’amore
Ruth 1994
Mica 2005
Lumo 2013
Piuma 2016
per l’arrivederci
lo stesso ordine
della partenza
nell’impudica insubordinazione
(nel seguito sedimentata
in eccentrica rispettabilità)
anche un po’ di criterio
Ciò che non sopportavo in te
ciò che non sopportavo in te
e m’orripilava
lo ritrovo ora in me
(è anzi il fulcro?)
l’impossibilità d’amarti
è l’incapacità d’amarmi
Temo che le tue righe corte siano assai migliori della persona descritta. Leggerezza, arguzia, amore, attenzione, uso sfavillante della sillaba e dell’accento… Le persone non sono mai perfette. Le tue parole, purtroppo, si. Semplicemente una gioia. Quindi grazie.