Gianni Montieri. Auto-antologie-5
di Gianni Montieri
Risparmi
Io sto al sud proporzionalmente
appartenenza più che somiglianza
porto tracce degli umori, la durezza
-certi sguardi-
(ci allenavamo a sognare
davanti alla chiesa di San Giovanni
certi che Dio non sarebbe passato
ma questo ci ha reso tenaci
indossiamo una pazienza
non concessa altrove)
se non fai attenzione
nei miei occhi non vedrai le briciole
di una purezza conservata a stento
sotto strati di maglioni a fibra mista
dicono che non ho l’accento
particolare privo d’importanza
le parole tronche, questo conta
sono tutti i miei risparmi
(all’una tornavamo a casa
l’appuntamento per la partita
il pomeriggio di nuovo urla, risate
altri sogni).
*
Stagione di concerti
È un rarefarsi lento d’aria livida
un colpo battuto in terra di nessuno
questo sintomo di vento umido
che non scompone foglie
su noi non lascia traccia
non piove in segno di rispetto
in memoria di un’estate troppo breve
di nuotate in vasca corta
mentre è già stagione di concerti
di code ai botteghini.
*
Restyling
Di questi tempi è pieno di gru
la città si espande verso l’alto
da ottomila al metro quadro
(non ci sfioriamo, non ci parliamo
gli extracomunitari puzzano
la 90 prendila tu)
anche Marta va in analisi
non cena mai al cinese
“vai a sapere che ci mettono in quei fritti”
Milano sarà perfetta, in tempo per l’expo
piazza Duomo ripulita ancora più rettangolare
-via i piccioni, via i neri e i braccialetti-
stamattina ci siamo salutati
ti ho detto ciao, mi hai dato un bacio
io uno zaino, tu una borsa
io Londra, tu altrove
cos’ha Milano che non va?
*
Abitudini
Non saranno più le scarpe fuori posto
un nome al suono della sveglia
fra qualche tempo sapremo dirci: è giusto
che abbiamo avuto tanto
io, io non lo so davvero
se saprò dare un senso
alle porzioni monodose, alla cottura crisp
addormentarmi voltato dal tuo lato
senza tremare, senza farci caso.
Da Futuro Semplice, Lietocolle, 2010
Milano mi somiglia, non il fiume
che l’attraversa all’ora dell’aperitivo
l’aprire e chiudere il giornale,
il doppio giro al collo
che fa la sciarpa in pieno inverno
nemmeno stasera che è bello
e me ne vado in bicicletta verso casa
a volte è il grigio che disegna la Ghisolfa
o il suono secco della parola Lambro.
Cose che si tengono da parte
come vestiti che non vuoi buttare.
Mi somiglia nei pomeriggi estivi
quando stiamo zitti entrambi
stupefatti dal colore che fa verso le sei
il sole, quando piomba in fondo al viale.
*
Invecchiare così, da adesso in poi
contarsi le rughe sulla fronte
i passi, le varianti di ogni sorriso
lo scricchiolare umido delle ossa
dicono che un posto valga l’altro
e invece no, è questo solo questo
il tempo nostro, riflesso addosso
nello specchio d’acqua
che rimanda l’intreccio di due mani
soltanto due: la mia, la tua.
*
Sant’Angelo all’alba, guardo Rialto
e saluto il solito signore coi baffi
mi hai detto “ciao” da dentro il sonno
e “torni presto?” poi un bacio
mentre l’1 scivola sul Canal Grande
mi guardo indietro a San Silvestro,
a Ca’ d’oro, ti ripenso quando dormi
appoggiata ai vetri del vaporetto
le gocce d’acqua che sbattono contro
la morte, mai stata così lontana.
*
La Madonna viola ha un pugnale nel petto
più sotto una dark scatta una fotografia
il metallo della lama, degli anelli, dei piercing
tra i banchi un uomo prega al cellulare
la schiena di un Cristo, palme sulle braccia
trans in borghese fanno spesa al market
ragazzini crackati la fanno tra la spazzatura
eccoli dormire ripiegati sotto le luci di Sampa
città infinite – una dentro l’altra –
sottoterra cinque linee della metropolitana
e una più sottile di candele accese
rosario che divide la vita dalla morte.
*
Tutto quello che ti è cucito sul cuore
tutto il metallo, il ferro arrugginito
il ricamo irregolare lungo il tessuto
del muscolo, tutti i vestiti raccolti
in fondo all’armadio, i medicinali
scaduti, il cappello che hai regalato
a tuo padre, l’inutilità perpetua
di un ottavo di Coppa Italia, i quattro
quarti musicali che non hai mai capito
il tempo tolto all’amico perduto
l’amore (questa parola e non un’altra)
salvo, già salvato, ancora da salvare.
*
Dalla seconda parte: (sud) in caso di morte
*
I
Gli spararono in faccia
che tutti sapessero, che tutti ricordassero
la sera stessa in piazza
commenti da stupidi ventenni
stabilivamo con una birra in mano
il grado di importanza di una morte
(chi lo conosceva, quanti colpi
se c’era tanto sangue, quanta polizia)
qualcuno stava zitto, qualcuno parlava
pochi minuti per tornare all’ordinario:
la biondina in jeans tagliati a chi la dava
il centravanti squalificato, il motorino truccato.
*
III
Ai funerali di mio nonno non ho pianto
e tutti a chiedersi: ma come lui non soffre?
Domanda lecita, pare fossi il nipote preferito
da noi se non piangi, non urli, non ostenti
vuol dire che non t’importa
ora vivo al nord, il dolore qui è privato
la sua mancanza che non racconto
che non dichiaro.
*
VII
Le vecchie sedute fuori dai cortili
sulle spalle scialli fatti a mano
il pettegolezzo mischiato alla preghiera
assolvere o benedire ogni passante
tessevano ricami delicati, uncinetti
uccidevano una donna in tre parole.
*
XII
Io morivo, naturalmente
fingendo fosse sacrificio
ma se si muore è per pigrizia
per omessa volontà
si muore per cazzeggio.
*
XXII
Per esempio mia nonna
era il punto più distante
dalla morte. Nonna era il bianco
quella che restava in piedi
sulle macerie, tra le briciole
(sempre poche) da spartire.
Lei era di un altro Sud
sorrideva, non moriva.
*
XXVIII
Se posso telefonare a mia madre,
a mio padre, e chiedere da routine
come state? Che fate? Credimi
è per culo, se mia sorella sta bene
se riesce a uscire e a entrare da casa,
prendere suo figlio a scuola, convinciti,
è per culo. La terra dove lo tengono
il culo, quello vero, non è terra
è modificata da altro materiale,
scarto territoriale altrui, dal saldo
positivo su conti correnti sconosciuti.
Se passa l’autobus in orario, segnatelo,
è per culo, se la vicina quarantenne
muore troppo presto è chimica.
Arrivare in tempo al lavoro o non morire
hanno lo stesso numero di probabilità.
Restare vivi è culo, è matematica.
*
XXIX
Non pensare che fosse indifferenza
la nostra piuttosto un modo di vivere
le cose così come si vivono:
tutte insieme, una per volta.
La sparatoria dietro l’angolo,
la partita di calcetto i compiti da fare,
poi uscire la sera il bar, la storia di tutti,
tutti tornavamo a casa per cena.
Da Avremo cura, Zona, 2014
Alcuni testi inediti da un libro in costruzione: “Sui segni” (titolo provvisorio)
*
Il palmo della mano
esteso, teso, verso l’alto,
una sola spanna tra il gesto
e il soffitto, dove va a morire
l’aria, una sola azione
si produce dal letto al sonno,
tra il fiato e il niente.
*
Non sapere come sia andata
immaginare la mano che forma
il cappio con un tessuto,
il braccio che tira verso l’alto
e provoca uno strappo,
qualcosa si scuce:
c’era un difetto nella trama.
*
Un corpo morto s’abbraccia
a una madre, c’è vita
in questa doppia morte
così l’acqua dello Stretto
appiccica col sale, non separa
ciò che è stato vivo
due volte, chi ha tentato
disperato la terza via.
*
Pollice e indice, li unisco,
poi li separo, e così dico.
Il resto del mio peso
è una carcassa che mostro
come ultima protesta.
*
Hanno girato un video:
più di ottanta ore, pensate
la durata, pensate la stanchezza
dell’operatore, nel filmato
ci sono io legato a un letto,
mani e piedi al mio morire;
soffro anche ora che non sono,
mentre guardo la mia mano
che tenta l’allungo al comodino,
al cibo portato dall’infermiere,
anche nel replay dell’azione
la mano non arriva, e prima
che io muoia ritirano il vassoio.
*
Un gesto quando arriva
e si sistema, le ginocchia
sulla borsa, giù dall’Accademia,
l’altro quando allunga
il bicchiere vuoto di Grom
ad aspettare le monete,
la testa bassa sui masegni
ma quello non è un gesto,
è soltanto un segno.
Nota.
Ho scelto di inserire in questa breve nota poesie tratte da Futuro Semplice e Avremo cura, e alcuni inediti che, con ogni probabilità, contribuiranno a formare la prima parte di un libro in costruzione. Se penso ai due libri editi, mi pare ora chiaro che i discorsi del luogo, del tempo e della memoria abbiano sempre fatto parte della mia idea di scrittura; ciò che è cambiato nei quattro anni trascorsi tra le due pubblicazioni è il modo in cui si sono concretizzati. I luoghi del sud, ad esempio, prima erano racconto, ma come di un altro, qualcosa di accaduto ma distante, addirittura da dimenticare. In Avremo cura sono tornati ad essere ciò che erano, scansione perfetta della memoria, testimoni e complici di nascita e vita, personale e collettiva. Il tempo ha fatto la sua parte, il tempo ha misurato e ha deciso quando si poteva far pace, quando quella realtà poteva essere misurata e messa in poesia. Il passato, finalmente, guardato per quello che è, qualcosa che accade continuamente, nella ripetizione dei giorni e nei salvataggi della memoria, consente – ed è in quella direzione che va letto Avremo cura – il rimedio, l’attenzione e un’idea possibile di futuro. Tra il primo e il secondo libro ho capito che quello che ci riguarda davvero non si dimentica, si trasforma. Milano merita un discorso a parte, perché è la città che è stata riparo, rifugio, salvezza, crescita. Se non ci fosse stata Milano non avrei mai scritto una sola parola. Per quello che riguarda l’aspetto formale, credo che mi sia sempre interessata un’armonia generale, che a volte rispettasse la metrica, altre no, ma che sempre consentisse un suono il più diretto possibile e quindi più efficace. Per questo preferisco i testi brevi, ho bisogno di quell’accelerazione che solo la poesia consente. Questi temi non mi abbandoneranno mai, suppongo. Sempre mi riguarderanno le persone, il racconto della realtà passa attraverso l’uomo, a quello che fa o che sceglie di non fare. I testi inediti che ho scelto di inserire qui sono stati scritti dopo l’ascolto di un discorso fatto da Luigi Manconi al Festival dei Matti, a Venezia, nel maggio 2015; Manconi fece un bellissimo discorso sui segni e sui gesti, quando diventano l’ultima cosa che resta. Da quello sono partito per scrivere le nuove poesie, ovvero tentare di vedere con gli occhi di un altro, quando gli rimane poco o niente; immaginarmi, poi, in un altro e per entrambi pensare a quello che resta, dopotutto. Il libro futuro sarà – forse – un resoconto sulle rimanenze. Tutto quello che ho scritto è servito a far ordine e a non avere paura.
Gianni Montieri
Bio-bibliografia
Gianni Montieri è nato a Giugliano, provincia di Napoli nel 1971. Vive da molti anni a Milano.
Ha pubblicato: Futuro semplice (Lietocolle, 2010) e Avremo cura (Zona, 2014)
Suoi testi sono rintracciabili nei numeri sulla morte (VIXI) e sull’acqua (H2O) della rivista monografica Argo e sui principali siti letterari italiani.
Ha riscritto la fiaba Il pifferaio magico per il volume Di là dal bosco, Le voci della luna 2012.
Sue poesie sono incluse nel volume collettivo La disarmata, Cfr edizioni 2014.
È stato redattore della rivista monografica Argo. Scrive di calcio su Il Napolista.
È capo redattore del litblog Poetarum Silva e membro di Progetto Santiago.
[Auto-antologie prosegue con Gianni Montieri e il suo percorso poetico. Appartengono alla stessa rubrica gli spazi dedicati a Francesco Tomada , Vincenzo Frungillo , Francesco Filìa, Viola Amarelli, Eugenio Lucrezi e a Renata Morresi. Sul lavoro di Gianni Montieri è possibile leggere un mio intervento qui B.C.]
molto belli.
Futuro semplice l’ho riletto con piacere, ripercorrendone il tempo della scrittura; Avremo cura, l’ho letto con “cura”, quella della maturità che ti ancora alle certezze, cercando di dare un senso di utilità a fatti e cose, perché si sappia “che si può morire per cazzeggio”, ma anche il contrario.
Degli ultimi “segni” mi ha girato la lama nello stomaco, impietosamente, questa:
Un corpo morto s’abbraccia
a una madre, c’è vita
in questa doppia morte
così l’acqua dello Stretto
appiccica col sale, non separa
ciò che è stato vivo
due volte, chi ha tentato
disperato la terza via.
In cui il doppio della doppia morte che non si scolla, “appiccicando” nel rigore dalla salsedine “ciò che è stato vivo” in quell’attimo assoluto che ha assegnato, alla “pietà” del doppio, la terza via in questo Stretto che sgomenta nel suo triste ruolo di spartiacque di morti e sogni e separazioni imbarazzanti, umanamente, politicamente, razionalmente, cui siamo costretti ad assistere con una rassegnazione e un inquietante razzismo, ancora più terrificanti.
*rigore della salsedine
Grazie a Biagio, e grazie assaje pure a Natàlia. Un abbraccio
ciao Gianni, leggerti è per me sempre un vero piacere e stavolta poi anche di più. Grazie di queste continue memorie/immagini/pensieri. E grazie anche a Biagio, ovviamente.
caro Sparz, grazie mille, spero di vederti presto
[…] Un paio di giorni fa su Nazione Indiana è stata pubblicata una mia Auto-antologia, per la rubrica curata da Biagio Cepollaro. Nel post ci sono testi da Futuro Semplice, da Avremo cura e alcuni inediti; inoltre c’è un testo in cui spiego un po’ della mia poetica e l’idea molto concreta, ormai, del libro che verrà.Trovate tutto a questo link: Autoantologia/Nazioneindiana […]