mater (# 5)
di Giacomo Sartori
Il tuo fascismo
il tuo fascismo
era la voluttà della neve
l’asprigno di resina
(pino mugo e larice)
l’aria grezza nei capelli
la disciplina dell’alpinismo
le risate interclassiste la sera
(eterno brio di giovinezza)
il tuo fascismo
era la nostalgia
d’un dandy
appena intravisto
dei dettami e delle norme
che non t’aveva lasciato
(neppure per interposta persona)
il tuo fascismo
erano le libidini
del tuo corpicino
indomito e ligio
i severi precetti
che gli imponevi
la tua perseveranza
il tuo fascismo
era la febbre
delle forme
della bellezza
dei vestiti
dei mobili antichi
della distinzione
il tuo fascismo
era la tua dispatia
il sentirti superiore
al volgo e ai cafoni
alla gentucola
lo sprezzo della debolezza
inclusa la tua
(figuriamoci la mia)
il tuo fascismo
erano le escursioni
in alta montagna
a ottant’anni
l’ultima sciata
a novanta
le marce d’allenamento
i passini sovraumani
aggrappata al deambulatore
scheletrica e tremante
all’ospedale
(indomita maschera
di dolore)
il tuo narcisismo
sintetizza la terapeuta
Sei un vuoto
sei un vuoto
leggero e gaio
ma anche inquieto
(un tantino angosciante)
com’eri tu
Incedevi leggera e precisa
incedevi leggera e precisa
(in equilibrio su un attrezzo
da ginnastica artistica?)
con falcatine sicure
per non dire autoritarie
poi gli ultimi anni
correggevi le bordate
avanti e indietro
con ancheggi da sciatrice
(una scioltezza
ormai consustanziale)
birillino circospetto
passetto dopo passetto
sorridendo divertita
come chi avanza
sul ponte d’una nave
Se t’avessi proposto
se t’avessi proposto
di partire seduta stante
per la Sicilia
o la Cornovaglia
in aeroplano
o meglio in auto
m’avresti detto
adesso mi preparo
sono subito pronta
Pranzavi da sola
pranzavi da sola
ben seduta alla tavolona
impeccabilmente imbandita
(pur sempre gaia
d’amaranti e turchesi)
tu stessa in ghingheri
manco attendessi
la regina d’Inghilterra
o chissà che ospiti
(con estro certo iconoclasta)
se sbarcavo
drizzavi la testa
e sorridevi
(il tuo sorriso
un po’ esagerato
fasullo e anche vero)
Dimenticavi gli occhiali
dimenticavi gli occhiali
la borsetta
le pastiglie
gli appuntamenti
le date
i dettagli del passato
le stesse fondamenta
(come faccio io)
t’imponevi allora
di non sbagliare niente
(come gli altri!)
triplicavi le attenzioni
ti premunivi mentalmente
con occhi ansanti
di schizofrenica:
uno sforzo per te eccessivo
e struggente
(come il mio)
poi invece
ricordavi inezie
per te essenziali
sferravi spavalde
sintesi sinottiche
per non dire deliri
(faccio uguale)
Mi proponevi d’andare al cinema
mi proponevi
d’andare al cinema
come un monello
esige un gioco
(ne ha diritto!)
io rispondevo forse
tu sapevi bene
che voleva dire
ero preso
dalle mie cose
dal mio egotismo
dal mio bisogno
di tenerti a distanza
non me ne volevi
Non si può dire che mi manchi
non si può dire che mi manchi
è anzi un sollievo
(come dopo tante parole
si preferisce il silenzio)
mi manca
la mancanza
d’averti mancata
una rapida incursione..leggeró con calma….commosso idem quasi aux larmes per la restitutio…si alla Vita….dirti bravo é assolutamente banale….ma cos’é la vita quando dopo…un’altra vita nella dissolvenza dei particolari….bravo perché ridai ragione allo scrivere…..ragione che posso far mia…..ragione per trovare certe ragioni (mie)…..grazie Giacomo ben oltre le paratie del semplice pathos, ben oltre…
e c’era il rischio di ripetere o ripetersi….
invece no….una recherche…..diversa?…..una recherche nuova?…..tante cose….con parole poche….diritte all’essenza…..