mater (# 5)

di Giacomo Sartori

dsc_0662_rit_rid_sep

 

Il tuo fascismo

il tuo fascismo

era la voluttà della neve

l’asprigno di resina

(pino mugo e larice)

l’aria grezza nei capelli

la disciplina dell’alpinismo

le risate interclassiste la sera

(eterno brio di giovinezza)

 

il tuo fascismo

era la nostalgia

d’un dandy

appena intravisto

dei dettami e delle norme

che non t’aveva lasciato

(neppure per interposta persona)

 

il tuo fascismo

erano le libidini

del tuo corpicino

indomito e ligio

i severi precetti

che gli imponevi

la tua perseveranza

 

il tuo fascismo

era la febbre

delle forme

della bellezza

dei vestiti

dei mobili antichi

della distinzione

 

il tuo fascismo

era la tua dispatia

il sentirti superiore

al volgo e ai cafoni

alla gentucola

lo sprezzo della debolezza

inclusa la tua

(figuriamoci la mia)

 

il tuo fascismo

erano le escursioni

in alta montagna

a ottant’anni

l’ultima sciata

a novanta

le marce d’allenamento

i passini sovraumani

aggrappata al deambulatore

scheletrica e tremante

all’ospedale

(indomita maschera

di dolore)

 

il tuo narcisismo

sintetizza la terapeuta

 

 

dsc_0668_rit2_rid

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sei un vuoto

 

sei un vuoto

leggero e gaio

ma anche inquieto

(un tantino angosciante)

com’eri tu

 

 

Incedevi leggera e precisa

 

incedevi leggera e precisa

(in equilibrio su un attrezzo

da ginnastica artistica?)

con falcatine sicure

per non dire autoritarie

 

poi gli ultimi anni

correggevi le bordate

avanti e indietro

con ancheggi da sciatrice

(una scioltezza

ormai consustanziale)

birillino circospetto

passetto dopo passetto

sorridendo divertita

come chi avanza

sul ponte d’una nave

 

 

Se t’avessi proposto

 

se t’avessi proposto

di partire seduta stante

per la Sicilia

o la Cornovaglia

in aeroplano

o meglio in auto

m’avresti detto

adesso mi preparo

sono subito pronta

 

 

Pranzavi da sola

 

pranzavi da sola

ben seduta alla tavolona

impeccabilmente imbandita

(pur sempre gaia

d’amaranti e turchesi)

tu stessa in ghingheri

manco attendessi

la regina d’Inghilterra

o chissà che ospiti

(con estro certo iconoclasta)

 

se sbarcavo

drizzavi la testa

e sorridevi

(il tuo sorriso

un po’ esagerato

fasullo e anche vero)

 

 

Dimenticavi gli occhiali

 

dimenticavi gli occhiali

la borsetta

le pastiglie

gli appuntamenti

le date

i dettagli del passato

le stesse fondamenta

(come faccio io)

t’imponevi allora

di non sbagliare niente

(come gli altri!)

triplicavi le attenzioni

ti premunivi mentalmente

con occhi ansanti

di schizofrenica:

uno sforzo per te eccessivo

e struggente

(come il mio)

 

poi invece

ricordavi inezie

per te essenziali

sferravi spavalde

sintesi sinottiche

per non dire deliri

(faccio uguale)

 

 

Mi proponevi d’andare al cinema

 

mi proponevi

d’andare al cinema

come un monello

esige un gioco

(ne ha diritto!)

io rispondevo forse

tu sapevi bene

che voleva dire

ero preso

dalle mie cose

dal mio egotismo

dal mio bisogno

di tenerti a distanza

 

non me ne volevi

 

 

Non si può dire che mi manchi

 

non si può dire che mi manchi

è anzi un sollievo

(come dopo tante parole

si preferisce il silenzio)

 

mi manca

la mancanza

d’averti mancata

 

dsc_0556_rid_rid

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. una rapida incursione..leggeró con calma….commosso idem quasi aux larmes per la restitutio…si alla Vita….dirti bravo é assolutamente banale….ma cos’é la vita quando dopo…un’altra vita nella dissolvenza dei particolari….bravo perché ridai ragione allo scrivere…..ragione che posso far mia…..ragione per trovare certe ragioni (mie)…..grazie Giacomo ben oltre le paratie del semplice pathos, ben oltre…
    e c’era il rischio di ripetere o ripetersi….
    invece no….una recherche…..diversa?…..una recherche nuova?…..tante cose….con parole poche….diritte all’essenza…..

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Nessuno può uccidere Medusa

Marino Magliani intervista Giuseppe Conte
Io lavoro intorno al mito dagli anni Settanta del secolo scorso, quando mi ribellai, allora davvero solo in Italia, allo strapotere della cultura analitica, della semiologia, del formalismo, una cultura che avevo attraversato come allievo e poi assistente di Gillo Dorfles alla Statale di Milano.

Dogpatch

di Elizabeth McKenzie (traduzione di Michela Martini)
In quegli anni passavo da un ufficio all’altro per sostituire impiegati in malattia, in congedo di maternità, con emergenze familiari o che semplicemente avevano detto “Mi licenzio” e se ne erano andati.

Euphorbia lactea

di Carlotta Centonze
L'odore vivo dei cespugli di mirto, della salvia selvatica, del legno d'ulivo bruciato e della terra ferrosa, mischiato a una nota onnipresente di affumicato e di zolfo che veniva dal vulcano, le solleticavano il naso e la irritavano come una falsa promessa. Non ci sarebbe stato spazio per i sensi in quella loro missione.

Un’agricoltura senza pesticidi ma non biologica?

di Giacomo Sartori
Le reali potenzialità di queste esperienze potranno essere valutate in base agli effettivi risultati. Si intravede però un’analogia con la rivoluzione verde, che ha permesso l’insediamento dell’agricoltura industriale nelle aree pianeggianti più fertili, e ha devastato gli ambienti collinari e/o poveri.

Pianure verticali, pianure orizzontali

di Giacomo Sartori
I viandanti assetati di bellezza avevano gli occhi freschi e curiosi, guardavano con deferenza i porticcioli e le chiese e le case, ma spesso anche le agavi e le querce e le rupi. Sapevano scovare il fascino anche dove chi ci abitava non lo sospettava, per esempio nell’architrave di castagno di una porta decrepita o nell’acciottolato di un carrugio.

RASOTERRA #2

di Elena Tognoli (disegni) e Giacomo Sartori (testi)
A Mommo gli orti e i campetti sono striminziti, in un secondo zampetti da una parte all’altra. E sono in pendenza, perché lì sul fianco della montagna non c’è niente che non pencoli in un senso o nell’altro, anche le case e le strade e i prati si aggrappano saldamente per non scivolare a valle.
giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: