La macchina perfetta
(Alessandro Gioia Chiappanuvoli è stato ad Amatrice. Ha scritto un resoconto che reputo importante leggere. Qui di seguito ve ne copio una parte, il resto, foto comprese, lo trovate sul suo sito. G.B.)
Il primo pensiero è stato devo andare. E come sette anni fa, sono andato.
Quel che di buono sono riuscito a fare non è importante. Quel che avrei potuto fare in più è un rimpianto che porterò sempre con me.
Ogni singola persona che ho incontrato la mattina del 24 agosto merita di essere lodata anche solo per aver avuto il coraggio di esserci. Non a loro è rivolta la rabbia con cui scrivo questo testo. La ricostruzione che faccio della prima fase dell’emergenza è frutto solo della mia osservazione diretta, ma condivisa con molte altre persone che quel giorno c’erano, e quindi spero, fortemente spero, del tutto sbagliata.
Sono arrivato tra le 5.30 e le 6.00. Entrato in paese, le parole del Sindaco Pirozzi, «Mezzo paese è crollato», mi sono subito sembrate un nulla: Amatrice non c’era più.
Per capire come muovermi, ho fatto un breve giro di perlustrazione durante il quale ho incontrato, oltre agli abitanti di Amatrice e a parenti e amici accorsi da Roma, solo una squadra del Soccorso Alpino aquilano munita di cane (3 persone), un paio di poliziotti, una manciata di Guardie Forestali e alcuni medici giunti dall’Aquila.
Verso le 7.00 sono cominciate ad arrivare le prime squadre di Vigili del Fuoco e delle Protezioni Civili locali, almeno nella zona dove mi trovavo. Lungo il corso, invece, c’erano quattro o cinque capannelli di persone al lavoro, a occhio, non più di cinquanta, cento unità ma a grande maggioranza civile. Molti gli aquilani, e non sarebbe potuto essere altrimenti.
A metà mattinata, attorno alle 10.00-10.30, c’erano diverse squadre di Carabinieri, Finanzieri, militari, poliziotti, Soccorso Alpino, Soccorso Speleologico, Unità Cinofile (ne ho incontrate almeno 6 o 7), Croce Rossa, gruppi di operai d’imprese edili, oltre ai VVFF e ai volontari della PC. E tanti, tanti civili. Una forza lavoro non sufficiente, ma finalmente degna di nota, nell’ordine di qualche centinaio di persone.
I primi mezzi meccanici, bobcat di ditte private in particolare, li ho visti quando era già mezzogiorno. Le strade potevano essere liberate e i soccorsi potevano muoversi con più rapidità. Da allora in avanti, a quasi otto ore dal sisma, mi sento di dire che la macchina dei soccorsi era in piena efficienza. O meglio, sarebbe potuta essere in piena efficienza. Perché non è una mera questione di numeri, lo sottolineo con forza, bensì di come il lavoro di soccorso è organizzato. Mi spiego. La finalità di quanto scrivo è che vorrei che si potesse imparare dagli errori, una buona volta; e non emettere una mera sentenza che lascia il tempo che trova.
(il seguito potete leggerlo qui)
Mi ha impressionato il coraggio italieno.
Una lezione per noi.
Sono contento di leggerti Alessandro, anche se nella peggiore delle occasioni. Sono contento perché dici una cosa importante, perché lo dici per esperienza diretta, e perché anche trovi un tono adeguato. Probabilmente non esistono macchine dei soccorsi perfette in casi simili. Pero’ sembra di riconoscere un copione che attraversa le situazioni più diverse in Italia, da quelle estreme che hai raccontato, a quelle più banali e quotidiane: energie in quantità, ma sprecate, slanci generosi, ma senza chiaroveggenza, volontà e desiderio di fare, ma senza coordinamento.
Ti ringrazio, Andrea. Chiunque abbia modo, cerchi di avviare una discussione costruttiva sulla cosa.