Tolstoj, la storia e la promenade des Anglais
di Antonio Sparzani
Guerra e pace non è soltanto la complessa storia della bella Nataša, del principe Andrej, del conte Pierre Bezuchov e del loro rutilante contorno di aristocrazia russa, è anche in molte occasioni una riflessione sui più svariati temi della cultura dell’epoca e in particolare sulla storia in generale, che Tolstoj introduce descrivendo e ripercorrendo le vicende dell’esercito russo comandato da Kutuzov durante la disastrosa campagne de Russie intrapresa da Napoleone nel 1812.
L’inizio della parte terza del terzo libro dell’opera suona così «La mente umana non riesce a concepire l’assoluta continuità del moto», che sembra un’affermazione a metà tra meccanica e psicologia, ma che fornisce all’autore lo spunto per una riflessione, tra l’altro non priva di risvolti matematici, sulla questione discreto/continuo che a quel tempo (Guerra e pace usci per la prima volta completo nel 1869) era attivamente dibattuto negli ambienti della matematica tedesca: Richard Dedekind pubblicò nel 1872 il primo sistematico risultato di questo dibattito, sistemando finalmente in maniera precisa la questione della continuità.
Tolstoj (vedi già un accenno qui) certamente aveva sentito parlare e anzi in qualche misura appreso i progressi dell’analisi, come si capisce anche da quanto aggiunge poche righe dopo quell’inizio citato; eccolo:
«Questa nuova branca della matematica, sconosciuta agli antichi, nel momento in cui ammette, a proposito dei problemi del moto, grandezze infinitamente piccole come quelle in cui si ripristina la condizione principale del moto (cioè l’assoluta continuità), corregge l’errore che la mente umana commette inevitabilmente quando esamina singole unità del moto invece del moto continuo.
Nella ricerca delle leggi degli avvenimenti storici accade esattamente la stessa cosa.
Il movimento dell’umanità, essendo l’espressione di un numero infinito di volontà umane, si compie in modo continuo.
Impadronirsi delle leggi di questo movimento è lo scopo degli storici. Ma per afferrare le leggi del movimento continuo costituito dalla somma di tutte le volontà umane, la mente dell’uomo utilizza unità arbitrarie e discontinue. Il primo passo di ogni ricerca storica consiste nel prendere una serie arbitraria di avvenimenti continui e nell’esaminarli separatamente dagli altri; mentre nessun avvenimento ha, né può avere, un principio a sé, giacché ogni avvenimento scaturisce, senza soluzione di continuità, dall’altro. Il secondo passo consiste nell’esaminare l’azione di un uomo, re o condottiero, come una somma di volontà umane, mentre la somma delle volontà umane non si esprime mai nell’attività di un solo personaggio storico.
La scienza storica, nel suo evolversi costante, esamina unità sempre più piccole, e per questa via tende ad avvicinarsi alla verità. Ma, per quanto piccole siano le unità che essa prende in considerazione, noi sentiamo che valutare un’unità separatamente dall’altra, o ammettere che sia possibile il principio di un qualsiasi fenomeno, è falso così come è falso ammettere che la volontà di tutti gli uomini si esprima nelle azioni di un solo personaggio storico.
Ogni deduzione della storia si sfalda come polvere al minimo sforzo critico, senza lasciare nulla dietro di sé, per il solo fatto che la critica scelga come oggetto d’osservazione un’unità discontinua maggiore o minore. cosa che può sempre fare, dal momento che l’unità assunta dalla storia è comunque arbitraria.
Solo sottoponendo all’osservazione un’unità infinitamente piccola, un differenziale della storia, vale a dire le tendenze omogenee degli uomini, e riuscendo ad integrare, cioè ad esprimere la somma di questi valori infinitamente piccoli, noi possiamo sperare di comprendere le leggi della storia». (Lev N. Tolstoj, Guerra e pace, trad. it. di P. Zveteremich, Garzanti, Milano 1982, pp. 1237-39)
Significativamente Tolstoj dice «possiamo sperare di comprendere le leggi della storia», non dice che si possa arrivare a farlo. E anzi, sembra a me che tutto il suo ragionamento tenda a far capire come sia in verità impossibile raggiungere questo risultato.
Ammesso naturalmente che esistano queste misteriose “leggi della storia”.
Anche perché, e qui vorrei arrivare a riflettere sul tipo di “informazione storica” cui siamo quotidianamente esposti nella nostra epoca, nella quale sembra che “tutte” le informazioni facciano il giro del globo in pochi secondi: l’altro fattore che impedisce una vera conoscenza storicamente affidabile è proprio che queste informazioni son ben lontane dall’essere “tutte”: l’informazione che abbiamo, mediamente, è frammentaria, parziale, deformata, labile, e anche, inevitabilmente, controllata. Ed è questo che, terribilmente, produce ignoranza, talvolta ingenua, talaltra arrogante.
Guardiamo i fatti che consideriamo rilevanti della nostra epoca, le guerre, i colpi di stato, i fanatismi estremi dai quali siamo ormai circondati: qualcuno sa chi davvero progettò l’assassinio di Kennedy? Forse c’è ancora qualcuno che lo sa, ma, una volta morto lui, nessuno più ne avrà idea. O le torri gemelle? Oppure quest’ultima ignominia della Promenade des Anglais? Certo i “servizi” trovano telefonate, messaggi, appunti, contatti, ma sapremo mai davvero chi e perché ha armato la mano del killer di turno? Sappiamo, o sapremo mai, chi e con quali mezzi ha organizzato il cosiddetto colpo di stato in Turchia?
Abbiamo molte ipotesi, congetture, ogni tanto si scopre qualche nuovo documento che “getta nuova luce” su avvenimenti del passato, il che è bene, naturalmente, significa che magari ci approssimiamo di più a qualcosa che non sapevamo, ma se guardiamo alla mole di avvenimenti anche solo della storia moderna, c’è di che disperarsi: nel nostro particulare basta pensare a tutta la “strategia della tensione” che ha fatto centinaia di vittime qui da noi e sulla quale ancora nessuna “piena luce” è stata fatta.
È come un grande mare pieno di onde: vediamo le onde e ciò naturalmente è molto utile per poterci navigare un po’. Ma sotto le onde ci sono le correnti, le maree, un complesso di movimenti dell’acqua che mai perfettamente conosciamo. Qualcuno che conosce le correnti sottomarine, almeno localmente, ci sarà certo, ma questa è la conoscenza che non si propaga.
Accade come nella scienza: le vecchie teorie spariscono e vengono soppiantate da altre perché muoiono i loro migliori sostenitori. Nella storia invece muoiono quei, pochi, che sanno davvero cosa è successo perché l’hanno fatto succedere loro.
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Se non sfiducia, sana diffidenza nei confronti della storia… e dell’informazione (leggi disinformazione). Per la serie: sono gli altri che mi informano, ma sono io che voglio conoscere. Una sana diffidenza promuove e rafforza il buon senso. E c’è poco che valga di più del buon senso (non del senso comune). Ovviamente, bisogna fare attenzione anche all’eccesso opposto, a paranoie e dietrologie varie, alle manie del complottismo ecc e queste sono altre storie. Un passo in più verso la finzione totale. Vai a vedere che alla fine è tutto un problema di morale!
Il ragionare di Tolstoj valeva se valeva per quel tempo e quei tempi. Oggi tutti o quasi seguiamovia via le sequenze che ci presenta lo smartphone all the day long. In piú l’aggeggio funge da Biblioteca Centrale Universale. In questa contemporaneitá del tutto, circoralitá,ubiquitá,onnipresenza virtuale a tratti ossessiva possiamo trovare certe ragioni per il reiterarsi di certi tragici avvenimenti. Quasi fosse uno scotto da pagare per. Ma é forse finita per le analisi sociologiche e forse per ogni tipo di analisi e ruolo (intellettuale). Che lo si voglia o no ci circonda ovunque una sorta di no man’s land. Ma non senza speranza.
Credo di averne già discusso con te, Antonello: la storia, guardata a ritroso, sembra mostrare un senso; ma quando ci si trova di fronte alla storia “da fare” (come adesso: come rispondere al terrorismo?)allora tutto sembra caotico. Se la storia sia continua o discreta non lo so, ma resto convinto che la storia si fa da sé e tutti i tentativi dei Napoleoni di turno di tirarla dalla loro parte sono come elastici che si possono tendere fino a un certo punto ma prima o poi tornano alla loro dimensione naturale.
A me sembra Antonello che in questo tuo pezzo tu sollevi due problemi importanti, ma differenti. Il primo riguarda “le leggi della storia”, ossia perché accadono, in certe condizioni, certe tipologie di eventi. L’altro problema riguarda le responsabilità di certe azioni realizzate nel corso della storia. Di fronte a quanto sta accadendo oggi mi sembra che il problema principale nasca dal tentativo di comprensione del perché accada cio’, non dalla difficoltà di definire chi è il responsabile di quanto accade. Personalmente, non credo esistano “leggi della storia”, ma credo che esistono tentativi più o meno soddisfacenti di fornire intelligibilità agli eventi, cosi come esistono tentativi più o meno soddisfacenti di identificare i veri responsabili di certi atti. Il continuo mettere in dubbio la possibilità di stabilire i responsabili di certi atti rischia di sfociare alla lunga nel complottismo. Prendiamo il caso italiano. Cio’ che oggi sappiamo della strategia della tensione è sufficiente a situare in un quadro intelligibile la stagione delle stragi, e a spiegare perché certe cose sono avvenute e hanno potuto ripetersi per tutta una stagione, senza che fosse possibile avere una risposta poliziesca e giudiziaria efficace. Possiamo avere dubbi sulle responsabilità individuali, sul grado di coinvolgimento di certuni, possiamo ignorare dei complici o dei responsabili singoli, ma sul disegno generale e le forze in gioco non c’è più alcun mistero.