Overbooking: Barbara Giangravè
Nota a piè di pagina
di
Francesco Forlani
A dieci anni dalla pubblicazione di Gomorra, il fatto che vi siano molti giovani autori alle prese con tematiche sociali, ecologiste, politiche, mi sembra innanzitutto un segno di grande vitalità da non sottovalutare; inoltre il fatto che il libro denuncia di Roberto Saviano abbia suggerito ai più giovani, un “modo” e uno stile possibili per raccontare il reale, interessarsene, provare a trasformarlo, non può che confortare un’idea di letteratura, la nostra, secondo cui la frattura e distanza tra oggetto letterario e mondo vada ricucita. In fin dei conti il romanzo d’inchiesta è un elemento che appartiene alla nostra tradizione da molto prima di Gomorra e la storia raccontata da Barbara Giangravé si inscrive in essa allo stesso modo di altri giovani scrittori siciliani come il nostro Giuseppe Schillaci che con L’Età definitiva aveva raccontato le paure, le incertezze, il coraggio, i sogni di una generazione scossa dai terribili attentati a Falcone e Borsellino del 1992.
La scrittura di Barbara Giangravé, intensa e allo stesso tempo, narrativamente parlando, fluida, incalzante, racconta le vicende di Gioia Lantieri, giovane siciliana che dalla grande città in cui si era trasferita per lavoro, ritorna alle radici del proprio viaggio, al paese di diecimila anime in cui è nata, per affrontare se stessa. Una serie di eventi anche tragici occorsi negli anni precedenti si illuminano improvvisamente di luce diversa e per quanto la protagonista si renda conto della dimensione labirintica della propria ricerca, è perfettamente cosciente del fatto che niente e nessuno potrà fermarla nella ricerca della verità.
Inerti non lo sono affatto i rifiuti industriali sepolti sotto una terra che fa ammalare di cancro giovani e anziani; inermi sono invece le vittime di tale scempio organizzato dai poteri locali collusi con le nuove mafie innanzitutto economiche. L’inchiesta si avvale di una dimensione corale, attraverso i racconti e le storie dei molti personaggi che se ne fanno attraversare, ed è qui che risiede a mio avviso la forza del libro.
Infatti, quasi indipendentemente, quasi, dalla caratura morale, restano impresse tanto le figure “negative” del giudice, dei responsabili Asl, del sindaco corrotto quanto della magnifica coppia che ha adottato Gioia, del libraio o dell’amico Fabio e della stessa zia.
Dal punto di vista delle atmosfere resta difficile non sovrapporle in tanti momenti a quelle di Sciascia, viste però con l’occhio di Petri, e come in A ciascuno il suo, anche l’affaire di Gioia rimane irrisolto, per quanto si abbia la percezione della non rinuncia alla verità; non la verità che lei sa e che tutti sanno, ma quella che deve essere sancita perché diventi giustizia.
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