Bracciate # 5 – Manuel Maria Perrone

Il quinto racconto della rubrica  Bracciate è «Il polpo in insalata», testo vivo e fresco di Manuel Almereyda Perrone, svizzero di origine napoletana, di stanza a Marsiglia, dove ha fondato l’Agence de l’Erreur (www.lerreur.fr), con cui sviluppa i suoi progetti teatrali e cinematografici.

 

Il polpo in insalata

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Mia nonna non la chiamo tutte le domeniche.

E quando la chiamo, so che prima devo fare stretching, rilassare la respirazione, sorridere allo specchio, dopodiché prendo la cornetta, compongo, dico “ciao-nonna-sono-io-Manuel” tutto d’un fiato e ascolto, per dieci buoni minuti, un flusso ininterrotto di lamentele.

Sono momenti in cui mi sento responsabile dei mali del pianeta, anche se i mali in questione sono solo quelli di mia nonna.

“Tu non chiami mai. ”

Sto chiamando- penso.

“Tu mi fai morire! ”

Strana forma di omicidio l’assenteismo- penso.

“Pensa alla buon’anima di tuo padre! ”

Ancora? Son venticinque anni che è morto, è vero non lo chiamo mai neanche lui, ma c’è un perché.

“E di tuo nonno !”

Ci sto pensando e mi viene il magone e un sentimento di colpa anche per cinque milioni d’ebrei, gli armeni, i curdi, i palestinesi, e tutti gli oppressi del pianeta.

“Mi sono fatta vecchia vecchia, na vecchiarella”

A occhio e croce conosco mia nonna da quando sono nato, tolti alcuni anni di coscienza informale da bebè, sono una trentina d’anni che la conosco e che sta inesorabilmente diventando vecchia vecchia: quanto può durare l’invecchiamento? Una vita intera?

“Ho fatto solo la quinta elementare, però l’educazione la so.”

Su questo non me la prendo: lo so che ha diritto a vendicarsi su di me per aver lasciato i quaderni per la zappa a dodici anni.

“Non sono intelligente ma la so.”

Mi dispiace che mia nonna confonda istruzione con intelligenza: vorrei presentarle tutta una serie di professori e luminari perché chiarisca questo qui pro quo.

A questo punto in genere si rilassa, mi racconta i cancri delle sorelle con un piacere morboso per i dettagli, la cecità di Velia, la sua preferita che vive in Inghilterra da sempre, e che la chiama due o tre volte al giorno

“Uh quanto chiama quella, ma non ha niente da fare? Mi fa morire! ”

Ma come: anche lei? Ma si sa: gli estremi si toccano.

Poi, in apnea, continua per altri dieci minuti sulla vita, morte e miracoli degli abitanti del paese – per fortuna che è uno di quei paesi quasi fantasma di vecchi e bambini in cui quasi tutti sono emigrati da tempo – e alla fine mi fa ridere con i suoi proverbi e le sue dicerie che mi fanno capire che in fondo tutto funziona uguale da sempre.

Ho trovato una tecnica, per schivare questa sua inclinazione a incriminarmi di tutte le nefandezze del pianeta, che funziona anche quando non la chiamo da mesi.

“Nonna – dico subito- sto cucinando. Mi chiedevo… i calamari meglio chiuderli con lo spago o con uno stuzzicadenti? Sì, non li riempio troppo, certo, se no esplodono.”

Come per magia in quei casi non esiste nient’altro, nessun conflitto ci separa e anzi una sottile linea si disegna e ci ricongiunge nel tempo e nella distanza: non siamo più rivali ma diventiamo complici, gomito a gomito, davanti ai fornelli.

Se una ricetta si interpone tra di noi tutto il resto scompare.

Mi è successo vivendo a Buenos Aires, a diecimila chilometri e cinque fusi orari di distanza. Mi succede anche in Francia. È successo così per il polpo in insalata.

 

Purtroppo, o per fortuna non so, l’ho chiamata giusto quando Elvira, la sua vicina – amica e nemica del cuore – era passata a trovarla.

“Passa sempre quella”

“Meglio, no?”

“Meglio cosa? Viene qui per controllare.”

“Controllare cosa?”

“Quello che cucino, poi torna a casa e lo fa pure lei.”

Mia nonna da poco ha messo una telecamera di sorveglianza sopra il portone.

Anni di Raiuno riescono a convincere l’ultimo dei sottoproletari che condivide gli stessi problemi di un Rockefeller.

E la telecamera, a circuito chiuso, si affaccia su un monitor, che lei può riuscire a controllare anche mentre cucina. È così che ha scoperto chi da anni le fa lo scherzo del campanello; chi suona e poi scappa.

Si: Elvira… Ma non le darà mai il gusto di dirle che lo sa.

Penso che sia amore il loro. Amore vero.

Comunque ai tempi di questa telefonata ancora non aveva la telecamera e Elvira era lì.

E quando ha sentito mia nonna dire “polpo” le ha strappato la cornetta di mano e ha preso i comandi della conversazione.

“Per ogni chilo di polpo tu ne metti il doppio di patate. Dopo aver bollito le patate, le metti sul fondo e le copri col polpo e il suo succo, che vedi che prendono il sapore e poi tutti ti dicono che buono e mangiano le patate credendo che è polpo! ”

Ha riso: era contenta. Fiera di quell’intelligenza meridionale che trasforma un problema in una soluzione. Quella stessa intelligenza che fa si che per una stessa zucchina o melanzana esistano centinaia di pietanze diverse.

Ho ringraziato, mi ha ripassato mia nonna, che ha borbottato qualcosa, stranamente taciturna, e ho appeso.

 

Un paio d’ore dopo mia nonna mi ha richiamato in panico.

“Lo fa per umiliarmi.”

“Ma cosa?”

“Le patate.”

“Che patate?”

“Come che patate? Quelle del polpo. Ti ha detto così per trattarti da straccione, per umiliare me.

Tu non devi mettere così tante patate che se no sembra che sei un morto di fame.

Non avrebbe mai detto una cosa così ai suoi di nipoti ! Mai ! Ma me, mi voleva umiliare.”

“Ma nonna….”

“Niente ma. Le patate non devono mai essere più del polpo. Se no che figura ci fai?”

L’ho rassicurata che avrei immediatamente cambiato la ricetta, adattandola alla verità che mi aveva appena rivelato: non potevo deluderla e l’ho sentita contenta.

Però io le patate le avevo già messe e già le avevo ricoperte di polpo, non potevo più tornare indietro.

Non so se era vero: se Elvira l’aveva detto per umiliarla o se era solo un complesso di mia nonna. Però devo dire che era buono, e alla gente è piaciuto.

Da allora l’insalata di polpo continuo a farla così.

Le polpette, la parmigiana, le lasagne, le zucchine alla scapece, i calamari ripieni, i peperoni al forno, i cannelloni, la pasta fresca: tutto, tutto glielo devo a mia nonna e alle nostre conversazioni telefoniche.

Il polpo in insalata no, quello è di Elvira.

 

 

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