Ho ucciso l’Anticristo

di Matteo Pascoletti

l43-cagliari-mostra-marco-130613182501_bigQuando Luciano decise di rubarmi i pensieri avevo diciotto anni e lui quaranta. In paese l’ammiravano tutti perché faceva il chirurgo, ma siccome non poteva aprirmi la testa e prendermi i pensieri dal cervello, trovò un’altra via. Eravamo poveri, così una domenica mattina andò al campo, da mio padre, a dirgli che voleva sposarmi, e lui acconsentì. Quella sera, a cena, quando dissi che non volevo, perché Luciano era vecchio e gli puzzava l’alito, mio padre mi prese a schiaffi davanti a mamma impietrita. Allora mi piegai.
Da sposati, Luciano prese a frugarmi i pensieri. La prima volta provai paura, ribrezzo e dolore, e infatti persi sangue; poi solo paura e ribrezzo. M’invadeva e cercava, sbrigandosi: quando trovava un mio pensiero lo sradicava e fuggiva, lasciando dentro i propri, come immondizia abbandonata di notte per strada. I suoi erano pensieri sudici, perché poi mi diceva sempre “vatti a lavare”. Solo che, per quanta acqua e sapone usassi, lo sentivo che mi restavano dentro. E se provavo a resistere Luciano mi prendeva a schiaffi e pugni, e se picchiava troppo forte e finivo all’ospedale, un suo collega scriveva che ero caduta per le scale o inciampata. E quando uscivamo in paese e parlavamo con le persone, Luciano mi prendeva in giro dicendo che ero maldestra.
Dopo un anno trascorso a rubarmi i pensieri, ho capito cosa sarebbero stati quelli di Luciano dentro di me: sarebbero diventati l’Anticristo. Così sono andata in Chiesa per chiedere aiuto a Gesù, ma lui non ha detto nulla, e nemmeno suo padre. Mi raccoglievo sul legno freddo della panca, piangendo li imploravo che scacciassero l’Anticristo prima che mi deformasse la pancia, altrimenti non avrei più potuto nasconderlo a Luciano. Ma loro niente, e intanto Luciano continuava a nutrirlo coi suoi pensieri sudici. Allora ho parlato col prete, ma lui m’ha cacciata via dicendo che aiutarmi non sarebbe stato esorcismo, ma omicidio. Tornata a casa Luciano era ancora all’ospedale, così ho usato i pensieri rimasti per preparare da me l’acquasanta, e l’ho bevuta. Ma l’Anticristo ha iniziato a lottare dentro il mio corpo: mentre si dibatteva ho sentito le fiamme nella gola e nello stomaco, ho avuto paura di morire e ho chiesto aiuto. I vicini sono arrivati e hanno chiamato l’ospedale, così Luciano ha scoperto che avevo ucciso l’Anticristo. Insieme ad altri maschi, dottori come lui, m’ha chiusa in un carcere a forma di reparto, da cui non si poteva uscire.
In carcere noi detenute avevamo la divisa bianca, come un sacco coi buchi per la testa e gli arti. Le guardie semplici avevano la divisa verde, mentre le guardie capo avevano la divisa bianca come noi detenute, ma aperta davanti. Le detenute e le guardie erano tutte femmine, gli unici maschi ammessi erano i parenti da fuori, durante le visite. Mio padre è venuto una volta sola, con mamma. Quando l’ho visto gli ho sputato in faccia e non è più tornato, e nemmeno mamma.
I capi venivano a visitarmi tutte le mattine, mentre un pomeriggio a settimana lo passavo discutendo con un capo solo, che mi chiedeva “Lo sa perché è qui, Bruna?”, e io dicevo “perché ho ucciso l’Anticristo e mio marito è Satana”, e lei mi guardava severa, anche se era femmina. Da principio non capivo il motivo, poi ci sono arrivata. Era un trucco: solo noi detenute eravamo femmine, infatti usavamo un bagno diverso dalle guardie, che in quei giorni ci guardavano con disgusto, come fanno i maschi. Le guardie e i capi si travestivano da femmine per raggirarci: infatti le detenute che stavano lì da più tempo o parlavano poco, o per niente, o dicevano frasi senza senso. Perciò avevo sbagliato a dire la verità sull’Anticristo: rischiavo informassero Luciano, e non volevo sapesse che m’erano rimasti dei pensieri. Così un giorno, a colloquio privato con la guardia capo, gli sono saltata addosso, a quel truffatore, aggrappandomi alla parrucca riccia. Poi l’ho graffiato per strappargli la maschera da femmina, però le sue urla hanno fatto arrivare le altre guardie. M’hanno presa di forza e buttata in una cella senza sbarre o letto, con le pareti che sembravano cuscini. Addosso avevo una divisa diversa: sempre bianca, ma con le cinture che si allacciavano dietro. Non potevo muovermi bene, avevo paura che Luciano entrasse da un momento all’altro, così ho iniziato a gridare, ma poi mi sono stancata e ho smesso. Non so quanto tempo è passato, però a un certo punto mi hanno riportata nella camera e legata al letto; anche lì ho avuto paura, perché da immobile se veniva un maschio e provava a rubarmi i pensieri mica potevo difendermi. Così appena avevo fiato gridavo “ladri, vigliacchi”. Allora le guardie semplici mi hanno messo uno straccio bianco in bocca e le parole le potevo solo pensare. Poi hanno iniziato a farmi le punture, e giorno dopo giorno mi sono resa conto che le punture mi facevano sparire i pensieri.
Così il carcere funziona che prima provano a rubarti i pensieri, e poi se non ci riescono te li ammazzano uno a uno, come fossero mosche. Io però sono riuscita a prendere questo pensiero e a nasconderlo bene, dove nessuna siringa e nessuna guardia potrà trovarlo, e nemmeno Luciano. Quando muoio lo do alla Madonna, perché è femmina.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Pratolini poeta. Un mannello dimenticato

di Marco Nicosia
«Sono fregata, Casco, la morte non è un sollievo, è un’imboscata.»

Un bon élève

di Simone Redaelli
Ma questa è una menzogna. Nulla nel mondo ha di queste sensazioni. Tutto continua a girare: gli esseri umani procedono indisturbati, gli alberi generano foglie, i muri continuano a reggersi.

“A man fell”, dell’eterna diaspora palestinese

di Mariasole Ariot
Un'esistenza che sanguina da decenni e protesa a un sanguinare infinito, finito solo dal prosciugamento di sé stessa.

Amelia Rosselli, “A Birth” (1962) – Una proposta di traduzione

di Marco Nicosia
Nel complesso, la lettura e la traduzione esigono, come fa l’autrice, «[to] look askance again», di guardare di sbieco, e poi di nuovo scrutare e ancora una volta guardare di traverso

Sopra (e sotto) Il tempo ammutinato

di Marco Balducci
Leggere queste pagine-partiture è in realtà un perdersi nei suoni: suonano nel ritmo delle sillabazioni, nelle pause degli spazi bianchi

L’occhio di Dio

di Silvia Belcastro
Dal mio corpo escono tubi da mungitura perché devo allattare la notte, devo mettere al mondo le sue creature: su un nastro trasportatore sfilano, a distanza regolare, i miei fantasmi contornati di luce.
mariasole ariot
mariasole ariothttp://www.nazioneindiana.com
Mariasole Ariot ha pubblicato Essendo il dentro un fuori infinito, Elegia, opera vincitrice del Premio Montano 2021 sezione opera inedita (Anterem Edizioni, 2021), Anatomie della luce (Aragno Editore, collana I Domani - 2017), Simmetrie degli Spazi Vuoti (Arcipelago, collana ChapBook – 2013), poesie e prose in antologie italiane e straniere. Nell'ambito delle arti visuali, ha girato il cortometraggio "I'm a Swan" (2017) e "Dove urla il deserto" (2019) e partecipato a esposizioni collettive.  Aree di interesse: letteratura, sociologia, arti visuali, psicologia, filosofia. Per la saggistica prediligo l'originalità di pensiero e l'ideazione. In prosa e in poesia, forme di scrittura sperimentali e di ricerca. Cerco di rispondere a tutti, ma non sempre la risposta può essere garantita.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: