Overbooking: Zena Roncada
Qui come altrove, c’è la donna che ruba il tempo e se lo mette via.
Le piace rubare quello del mattino, quando nel letto c’è la quiete delle cose e la giornata è lenta ad avviarsi. Allora può stirarsi e sentire il corpo che si sveglia: sono i momenti dell’esserci in pigrizia, coi pensieri in attesa di un approdo.
Le piace anche guardare l’acqua che si scalda: nel giro della pentola, aspettare che le bolle scoppino in sommosse, per acquietarsi con la pasta a pioggia, rovesciata. Altro non c’è da fare che dare tempo al tempo.
La sera si trova a ripassare quei momenti vuoti di ogni cosa, da riempire con quello che potrebbe. Con il soffio di fughe e scorribande, con lana di un altrove ancora da scoprire, dentro la mappa del guanciale.
Nota
di
Effeffe
Ci sono autori, autrici, il più delle volte però accade alle donne, che sebbene abbiano vissuto di lettura, accompagnato creazioni artistiche, esercitato un ruolo importante per ostinate e coraggiose comunità letterarie, delle grandi città o delle province, il più delle volte però nelle periferie del regno, restano di poche parole. Poche parole e giuste. Poche parole sufficienti a tessere racconti pieni di grazia; si tratta di voci allo stesso tempo energiche e discrete, per lo più discrete, poco esibite, appartate. Qui come altrove pubblicato da Effigie, si compone di cinquantasei voci, storie, dotate di quel raro dono per certe narrazioni, di essere universali e straordinariamente locali, territorialmente definite e concrete. Anni fa mi è capitato di compiere un viaggio insieme all’autrice e ad alcuni altri giovani autori proprio partendo da casa sua a Sèrmad. Ricordo la particolarità della luce del mantovano, l’aria rarefatta, e lo strano modo in cui il cielo avvolge figure e cose. Andammo a vedere una mise en scène dei dialoghi con Leucò di Cesare Pavese in una fabbrica dismessa. Quando ho letto le cinquantasei storie e pagine di questo nuovo lavoro, il gioco di sguardi tra il qui ed altrove, tra i mestieri di uomini e donne per lo più attraverso il fiume che attraversa le loro vite e quello ancora più intenso e sofferto che si svolge negli interni delle case, dove i mestieri si fanno, ho sentito quella stessa forza insieme mitica e dimessa di quello che considero il più bello tra i libri di Cesare Pavese. E più particolarmente alla battuta che chiude il dialogo tra Ulisse e Calipso.
CALIPSO Lo sarai, se mi ascolti. Che cos’è vita eterna se non questo accettare l’istante che viene e l’istante che va? L’ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. Cos’è stato finora il tuo errare inquieto?
ODISSEO Se lo sapessi avrei già smesso. Ma tu dimentichi qualcosa.
CALIPSO Dimmi
ODISSEO Quello che cerco l’ho nel cuore, come te
Qui come altrove, c’è l’uomo della barca, che è lunga e scura come l’anima di Po, quella segreta. Dell’uomo e della barca si sono persi i nomi: per chiamare il primo basta un verso, un richiamo d’anatra di passo, l’altra è di tutti e di nessuno.
Selvatici, possono sparire e riapparire senza scandali d’assenza: al modo delle canne che bucano il terreno o della zucca ricciuta che sale lungo il tronco del salice impiccato, ma poi ricade senza più un sostegno.
L’uomo della barca ama l’estate, perché cuoce l’umido del legno e secca il remo, fino a renderlo affilato. Ama le notti, perché accendono le rive di grilli acidi e rane ubriache in sottofondo. Allora prende la barca e va verso l’isola, dove le cappe camminano al mattino in spirali di sabbia sotto traccia.
Nel tratto senza ombre la luna è grande e gialla, dentro l’acqua: tremula in righe orizzontali. L’uomo la rincorre e la rompe con il remo, per far tacere la malinconia della bellezza.
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E’ raro trovare scritture che si nutrano con lo stesso equilibrio di leggerezza e precisione, di pienezza e di assenza. Zena è, anche Qui (come Altrove), garante di un mondo che non c’è più e che tuttavia continua a essere reale e vero finché qualcuno lo racconta, finché qualcuno lo dice. E uomini e donne che riparano sogni, che vendono anni usati e ascoltano la voce delle stoffe, sono ancora tutti qui, non perduti, non andati. Si potrebbe parafrasare un altro grande cantore di esistenze dicendo che, qui come altrove, Tutti, tutti dormono lungo il fiume.
F
Effe, pensavo a te (a voi) quando ho parlato di comunità
francesco
Effeffe (pare ci sia l’eco), l’altro giorno, all’oscuro di tutto, nel viaggio lungo l’autostrada che dalla città sabauda si allunga verso oriente, all’altezza del paese che non è Sesto né Ottavo, ho pensato all’Uomo col cappiello, e quasi ne ho visto la falcata a scavalcare le barriere, figura simbolica che ti si addice sempre.
F
no comment. Tutto il resto è retorica.
Dialoghi con Leucò (aggiornamenti e sviluppi)
https://www.youtube.com/watch?v=Fqk_ZonWuWQ