Lucrezio – De rerum natura -1-101
Trad. di Daniele Ventre
O genitrice d’Eneadi, delizia di uomini e dèi,
Venere lieta, che sotto gli erratici segni del cielo
il mare corso da navi, le terre che portano frutto
fai brulicare, poiché per te di creature viventi
nasce ogni genere e sorge a vedere i raggi del sole:
te, dea, te anche il vento rifugge e te i nembi del cielo
e il tuo avanzare, per te la dedàlea terra soavi
fiori fa crescere, a te sorridono i piani del mare,
rasserenato risplende il cielo di luce soffusa.
Già, poiché appena il tepore vernale del giorno si schiude,
s’apre e ha vigore la brezza del rigenerante favonio,
prima nell’aria gli uccelli di te, del tuo incedere, dea,
dànno significazione, percossi nel cuore al tuo impulso.
quindi le fiere e le greggi percorrono i pascoli ameni,
passano i fiumi impetuosi: rapita così dalla grazia,
segue bramosa ogni vita te ovunque ti spingi a guidarla.
Ecco che poi per i mari e i monti e nei rapidi fiumi
e le dimore frondose d’uccelli e le verdi campagne
a tutti quanti nei petti instillando tenero amore,
fai propagare secondo le specie le generazioni.
Ecco perché, poiché sola tu domini sulla natura
e nulla mai senza te alle chiare sponde di luce
sorge, né nulla di lieto o amabile mai si produce,
la mia alleata vorrei fossi tu, nel tessere versi,
questi che io sto attentandomi a scrivere sulla natura
per il Memmiade nostro, che tu, dea, in ogni stagione
sempre hai voluto eccellesse ornato di tutte le doti.
Tanto di più, dea, al mio dire, concedi perciò la tua grazia.
Fa’ che al momento le prove terribili della milizia
per tutti i mari e le terre s’acquietino, trovino requie;
certo tu sola ai mortali potresti concedere pace
placida, già, ché le prove terribili l’armipotente
Marte le domina, lui, che sovente sopra il tuo grembo,
vinto com’è da ferita eterna d’amore, si giace,
e nel guardarti dal basso, posando il suo collo tornito,
pasce i suoi cupidi sguardi d’amore, a te, dea, sospirando,
pende il respiro del dio resupino dalle tue labbra.
Tu su di lui, mentre sopra il tuo corpo santo riposa,
chinati, dea, ad abbracciarlo, soavi parole dal labbro
spandi, o gloriosa, ai Romani implorando placida pace;
compiere l’opera in questa età così atroce alla patria
io non potrei di buon animo e il seme glorioso di Memmio
alla salvezza comune non può in questo tempo sottrarsi.
È necessario difatti che ogni natura divina
goda di vita immortale insieme alla pace perfetta,
tanto è remota dai nostri affanni e del tutto disgiunta;
già, poiché priva di tutti i dolori e priva di rischi,
forte del proprio potere qual è, né di noi bisognosa,
né per i meriti è resa benigna, né all’ira è soggetta.
Come che sia, tu le orecchie ben sgombre ed un animo attento
e dagli affanni disgiunto rivolgi alla vera dottrina,
sì che i miei doni disposti per te con impegno fedele
poi non li lasci spregiati già prima d’averli compresi.
Sì, poiché io del supremo sistema del cielo e dei numi
comincerò a dissertare, dirò dei principi del mondo,
da cui natura produce e crea e alimenta ogni cosa
e in cui le cose natura di nuovo risolve e dissolve,
proprio gli stessi che noi soliamo chiamare materia,
se la dottrina esponiamo, e poi corpi generatori
d’ogni realtà, quegli stessi che pure nell’uso chiamiamo
corpi primari, poiché da quei primi nasce ogni cosa.
Quando l’umana esistenza agli occhi appariva vilmente
vinta, soggetta com’era in terra a una fede oppressiva,
che dagli spazi del cielo veniva ostentando il suo volto
e sui mortali incombeva con terrificante sembianza,
ecco che un Greco da prima osò sollevarle di contro
gli occhi mortali e così per primo resisterle contro,
l’uomo che né diceria sugli dèi, né fulmini o cielo
dal mormorio minaccioso oppressero -e tanto più l’aspra
forza dell’animo accesero in lui, sì che volle per primo
frangere i saldi serrami alle porte della natura.
Dunque per vivo vigore dell’animo ha vinto, e più oltre
anzi s’è spinto, al di là delle fiammee mura del mondo,
e ne riporta per noi, vittorioso, quel che può darsi,
quel che non può, come infine ha per suo criterio ogni cosa
sia potestà definita sia termini ben ancorati.
La religione, perciò, sotto i nostri piedi, a sua volta
giace abbattuta e ci fa pari al cielo tanta vittoria.
In tutto questo pavento però che per caso tu pensi
d’avvicinarti alle basi d’un’empia teoria e incamminarti
lungo la via del delitto. Invece per contro più spesso
la religione creò scellerati ed empi misfatti.
Sì, così appunto anche in Aulide a Trivia la vergine l’ara
orribilmente col sangue insozzarono di Ifianassa
i condottieri dei Danai eletti, i più forti guerrieri.
E non appena la benda le avvolse i virginei ornamenti
ed in eguale misura le scese su entrambe le guance,
ella sentì che suo padre infelice presso l’altare
s’era levato e al suo fianco celavano il ferro i serventi,
e i cittadini alla vista di lei si profusero in pianto,
muta all’orrore piegò le ginocchia accasciandosi a terra,
e non poteva giovarle, infelice, in tale frangente,
che con il nome di padre chiamasse per prima il sovrano;
no, sollevata da mani d’eroi, tremebonda all’altare
fu trascinata, non già per poter seguire il glorioso
canto d’Imene, compiuta l’usanza solenne dei riti,
ma per un crimine impuro lei pura all’età delle nozze,
mesta doveva cadere per mano del padre, immolata,
solo per dare alla flotta una rotta fausta e felice.
Tanto delitto poté suggerire la religione!