La Romagna di Baldrati

di Mauro Baldrati

245_cover_fuga_DEFINITIVANel fiume Lepre c’è la “buca di Filippi”, un punto dove l’acqua è profonda e si può nuotare. Qui siamo sempre una ventina di bambini e di ragazzi già sviluppati tutto il giorno a fare bagni, lotte, immersioni, tuffi, a pescare “a manaccia”. Ci sono due posizioni per i tuffi, un grosso sasso che sporge dall’acqua per mezzo metro e un punto della sponda alto un metro e mezzo. Noi ragazzini ci tuffiamo dal sasso, mentre i ragazzi già sviluppati, e anche quelli abbastanza sviluppati, si tuffano dal punto più alto. E’ raro che un ragazzino si tuffi dal punto più alto, e se lo fa si butta sempre coi piedi. I ragazzi sviluppati, invece, si buttano anche dal sasso. I ragazzi sviluppati comunque, a parte qualche eccezione, si tuffano sempre di testa.
Noi ragazzini guardiamo spesso i pipiricchi dei ragazzi sviluppati. Guardiamo la loro sacchetta scura, i peli folti sul pube. Poi controlliamo i nostri piccoli pipiricchi senza l’ombra di un pelo, o nel migliore dei casi qualche pelucco isolato.  C’è qualcuno a cui stanno spuntando i primi ciuffi, ma la sacchetta non è ancora diventata scura. Noi questi bambini-ragazzi non li invidiamo, perché fanno i gradassi ma sono ancora molto indietro nello sviluppo. Invece giriamo intorno ai ragazzi completamente sviluppati, che sono i padroni assoluti del territorio. Tra di loro ci sono dei prepotenti, dei violenti, ma in complesso ci lasciano stare perché noi siamo molti, e loro pochi. Sono e restano i padroni, possono mandare via un ragazzino da un sasso se vogliono tuffarsi, mandarlo via se gli interessa il suo posto al sole, ma alla fine ci lasciano vivere, non sono dei tiranni. Alcuni sono dalla nostra parte, ci proteggono dagli attacchi esterni. Se per esempio alla buca di Filippi arriva qualche ragazzo sviluppato particolarmente prepotente, in vena di maltrattare qualcuno di noi senza motivo, se la deve vedere con qualche ragazzo sviluppato nostro protettore, che è disposto a lottare anche duramente per mantenere il controllo del territorio.
Tra i ragazzi sviluppati che vengono da fuori c’è il Corsarino, che è chiamato così perché i suoi genitori gli hanno comprato un Moto Morini Corsarino e lui ne va particolarmente fiero. E’ un tipo duro, solido, muscoloso. Ma è anche piccolo di testa, sembra che si trovi meglio con noi che con gli altri ragazzi sviluppati come lui. Fa lo sbruffone, ma si sente che è un po’ stupidottero. Non gode di molta stima, ma è temuto perché ha un fisico muscoloso, più potente degli altri ragazzi sviluppati. Potrebbero prenderlo in giro perché è più debole dentro, ma non lo fanno perché è forte fuori.
Il Corsarino non viene quasi mai alla buca di Filippi perché il suo ritrovo è la buca di Lolli, dall’altra parte del fiume rispetto al paese. E’ un posto che a me non piace perché il fondo è fangoso con le alghe mentre qui alla buca di Filippi c’è la sabbia.
Io il Corsarino non lo sopporto. Anzi, lo odio. Un giorno ero alle giostre e c’erano dei ragazzi che parlavano di certe belle ragazze. C’era anche il Corsarino che si è inserito nella discussione e a un certo punto salta su e fa: “C’è della gente che se ne è fatte un sacco e una sporta di gnette pensando a una sposa imperiale che va a fare la spesa da Gucci”, e si mette a guardarmi fisso. Io allora ho capito senza ombra di dubbio che stava parlando di mia madre. Infatti la mamma va sempre a fare la spesa da Gucci il droghiere. Mi sono sentito esplodere di rabbia e di impotenza. Il Corsarino ha rincarato la dose, ha detto: “C’è della gente che quando la vede passare questa sposa diventa matta e va subito a farsene un bigoncio così.” Per fortuna gli altri non hanno capito niente, ma io avrei voluto distruggerlo, bruciarlo vivo, ma cosa potevo fare contro quel gigante che mi avrebbe disfatto come un calzino? Me ne sono andato con lo stomaco pieno di pezzi di ghiaccio, distrutto per la mia vigliaccheria mentre il Corsarino, a voce alta, continuava a ripetere le sue nefandezze.
Arriva col suo motorino, si mette subito nudo e scende baldanzoso la sponda del fiume. Si ferma nel punto da tuffi alto, lancia occhiate spavalde intorno a sé e dice: “Allora? Dov’è che ci si tuffa qua? E’ lì?” e indica un punto alla sua destra. Io sono in acqua e sembro immerso fino alle orecchie, in realtà sono seduto sul ciglio della buca. Il punto che ha indicato il Corsarino è basso, l’acqua arriva appena sopra al ginocchio. D’altronde il fondo non si vede, perché l’acqua del Lepre è sempre torbida. Il Corsarino dice: “E’ lì che ci si tuffa, no?”, e guarda me. Io sono l’unico in bagno da quelle parti, gli altri stanno nuotando nella buca, o sono stesi sulla sabbia a prendere il sole. Annuisco, gli dico che il punto è quello. Allora Il Corsarino alza le braccia come un campione di tuffi, dice “vai” e si butta di testa. Plana sull’acqua, entra con le braccia, si sente il tonfo e il Corsarino si abbatte con le mani e con la testa sul fondale basso di sabbia. Vedo il suo corpo, che non è entrato in acqua neanche per metà, che rimbalza quando la testa colpisce il fondo. Il Corsarino scalcia, si contorce poi galleggia inerte sull’acqua, con una gamba che si muove e l’altra no. Un paio di bambini e di ragazzi, che hanno assistito alla scena, indicano il corpo e scoppiano in una risata. Ma qualcuno balza in piedi e corre verso Il Corsarino con la faccia sott’acqua. Io non mi muovo, lo guardo galleggiare con la gamba che scalcia alzando piccoli spruzzi.
Lo tirano a riva e lo rivoltano a pancia in alto. E’ svenuto, ha la bocca aperta e continua a muovere la gamba. I bambini e i ragazzi continuano a ridere, si buttano a terra e si tengono la pancia con le mani mentre ridono. Ma gli altri, alcuni ragazzi sviluppati in particolare, sembrano preoccupati. “Sei matto” dice uno, “gli hai detto di tuffarsi nell’acqua bassa.” Io guardo il Corsarino e penso che forse è morto, o forse no. La gamba scalcia, gli esce acqua dalla bocca. Il ragazzo dice “te Toni sei matto”, e lo tocca sul collo. Gli altri ridono e si tengono la pancia. Forse il Corsarino rinviene, si muove, apre gli occhi. Geme, si lamenta. Io non ho fatto nulla. Era lui che voleva buttarsi in quel punto, continuava a dire “è quello il punto, no?” E io gli ho detto che il punto era quello. Che ne sapevo che si sarebbe buttato di testa? Noi da lì ci buttiamo sempre di piedi!
Lo guardo che rinviene, geme, sputa acqua, viene da ridere anche a me e mi tuffo nella buca a nuotare.

 

NdR: questo riportato è  il capitolo “Tutti al fiume” di “Avventure di un teppista”, di Mauro Baldrati, Transeuropa, 2016

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. La buca di Filippi mi ricorda il mio “Incastro” una buca di marrana, così si chiamano a Roma i fossi e gli scoli di borgata. Bella la scrittura, come piace a me. Leggerò il libro.
    Lorenzo

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Nessuno può uccidere Medusa

Marino Magliani intervista Giuseppe Conte
Io lavoro intorno al mito dagli anni Settanta del secolo scorso, quando mi ribellai, allora davvero solo in Italia, allo strapotere della cultura analitica, della semiologia, del formalismo, una cultura che avevo attraversato come allievo e poi assistente di Gillo Dorfles alla Statale di Milano.

Dogpatch

di Elizabeth McKenzie (traduzione di Michela Martini)
In quegli anni passavo da un ufficio all’altro per sostituire impiegati in malattia, in congedo di maternità, con emergenze familiari o che semplicemente avevano detto “Mi licenzio” e se ne erano andati.

Euphorbia lactea

di Carlotta Centonze
L'odore vivo dei cespugli di mirto, della salvia selvatica, del legno d'ulivo bruciato e della terra ferrosa, mischiato a una nota onnipresente di affumicato e di zolfo che veniva dal vulcano, le solleticavano il naso e la irritavano come una falsa promessa. Non ci sarebbe stato spazio per i sensi in quella loro missione.

Un’agricoltura senza pesticidi ma non biologica?

di Giacomo Sartori
Le reali potenzialità di queste esperienze potranno essere valutate in base agli effettivi risultati. Si intravede però un’analogia con la rivoluzione verde, che ha permesso l’insediamento dell’agricoltura industriale nelle aree pianeggianti più fertili, e ha devastato gli ambienti collinari e/o poveri.

Pianure verticali, pianure orizzontali

di Giacomo Sartori
I viandanti assetati di bellezza avevano gli occhi freschi e curiosi, guardavano con deferenza i porticcioli e le chiese e le case, ma spesso anche le agavi e le querce e le rupi. Sapevano scovare il fascino anche dove chi ci abitava non lo sospettava, per esempio nell’architrave di castagno di una porta decrepita o nell’acciottolato di un carrugio.

RASOTERRA #2

di Elena Tognoli (disegni) e Giacomo Sartori (testi)
A Mommo gli orti e i campetti sono striminziti, in un secondo zampetti da una parte all’altra. E sono in pendenza, perché lì sul fianco della montagna non c’è niente che non pencoli in un senso o nell’altro, anche le case e le strade e i prati si aggrappano saldamente per non scivolare a valle.
giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: