les nouveaux réalistes: Mario Schiavone
B come Batman, K come Ken il Guerriero
di
Mario Schiavone
Oggi, giorni miei: Aversa.
Alcuni giorni vado da un bravo orologiaio che di professione aggiusta le lancette che segnano l’ora buona o cattiva nell’anima delle persone. Un giorno, questo bravo dottore dalla testa calva liscia e luccicante come quella del Professor Charles Xavier (Padre degli X Men), fissandomi con i suoi occhi lucidi e pungenti ben piazzati sul suo volto glabro mi ha guardato a lungo e con aria attenta; prima di farmi una domanda precisa:
C’è un incubo ricorrente che lei fa quando sta male?
Io l’ho guardato negli occhi, prima di muovere altrove lo sguardo. Qualche attimo dopo l’ho immaginato levitare nell’aria, mentre mi sentivo come un allievo mutante della Scuola-Casa Xavier per Giovani Dotati degli X-Men. Solo lasciando le mura dell’edificio X-Men (Graymalkin Ln, Westchester County 1407 North Salem, NY 10560) sono riapprodato con la mente nel suo studio medico per rispondere alla domanda.
Certo, dottore. Anche io faccio incubi, un po’ come tutti… però ora le chiedo scuso, davvero non ricordo l’incubo più frequente.
L’orologiaio non mi ha creduto ed è rimasto di nuovo in silenzio a guardarmi, cercando di leggermi nel pensiero. Io invece avevo la testa altrove, precisamente dalle parti in cui la mia mente ha conservato parte dell’immaginario onirico relativo al mio ultimo incubo notturno. Un vero e proprio film drammatico. In qualità di giovane “ospite” di un manicomio civile, un Joker travestito da medico legale(con quel sorriso marcio largo largo sulla bocca che tagliava la sua faccia colorata) mi leggeva il mio referto medico. Diceva qualcosa come: Il corpo qui presente è spirato in seguito a sopraggiunto infarto.
Poi la sua voce s’interrompeva e risate forti accompagnavano il resto del mio viaggio con il mio corpo che sottoforma di vapore usciva dalla finestra di quella casa di matti quasi volando come uno spirito. Me ne andavo girando per una città che non conoscevo, fino a fermarmi davanti a un piccolo cinema. Lì ridiventavo umano e vestito da spiderman, costume completo ma con piedi scalzi, entravo senza fare il biglietto come unico spettatore di una grande sala cinematografica in cui veniva proiettato il mio funerale.
Le immagini mostravano una bara con dentro la mia salma vestita da boy scout, mentre le grandi mani di Hulk in persona fissavano le viti del coperchio che stava per essere chiuso (si trattava di Joe Fixit, Hulk in versione grigia). Subito dopo ben quattro dei miei super eroi preferiti a trasportarla sulle spalle, durante la processione dalla chiesa al cimitero: L’Uomo Ragno e Flash, nei loro costumi stirati e luminosi, a reggere la parte in cui posavano i miei piedi e Superman e Batman dietro dalla parte delle spalle a portarmi con tanto di mantelli che sventolavano al vento. Poi, quella notte, qualche ingranaggio si rompeva, la proiezione si bloccava ed io mi risvegliavo nel mondo reale tutto sudato, con il cuore che faceva quindicimila chilometri l’ora pulsando come il motore di un’astronave supersonica.
Anche se all’orologiaio-dottore non l’ho mai detto, fin da piccolo ho sempre creduto nell’esistenza dei super eroi.
Giorni di ieri l’altro, ormai trascorsi: Agropoli.
Tutto ha avuto inizio con la scoperta dell’Uomo Ragno verso i cinque anni, poi c’è stata una virata religiosa con San Francesco a dieci anni (agli scout ci avevano spiegato che parlava agli animali e alle piante e per me uno così non poteva che essere un vero super eroe) e a quindici anni l’amore rinvigorito per i “super eroi” giapponesi, prima con il muscoloso Ken Il Guerriero di Tetsuo Hara e Buronson e in seguito con l’astuto e preciso Jotaro Kujo di Hirohiko Araki.
Giorni di ieri, a me più vicini: Torino
Superato il momento del fascino per gli scontri corpo a corpo, i veri turbamenti dell’anima sono arrivati intorno ai venti anni quando ho scoperto un’edizione italiana del Batman di Frank Miller “reinventato” (e tratto dall’edizione usa degli anni ottanta) nell’albo che presentava il ciclo a fumetti il “Ritorno del Cavaliere Oscuro”.
Una storia in cui, come molti sanno, Batman perde tutto e ricomincia da capo la sua lotta personale. Da lì in poi, da quell’albo così speciale, ho preso a immaginare tante volte di incontrare (e parlare) con quel Batman diviso fra il bene e il male; non più capace di ogni gesto, pur di affrontare le ingiustizie di questo mondo, ma di essere un Cavaliere Oscuro pensante e “gettato nella vita” come l’uomo heideggeriano.
Anni fa quando abitavo a Torino, e vivevo un periodo davvero difficile per un comune mortale, nelle mie passeggiate solitarie lungo il fiume Dora, a lungo ho conversato con il Cavaliere Oscuro-Filosofico intrattenendo con lui amabili (e poco amabili ) discorsi sull’importanza di non sentirsi soli al mondo quando non si ha una famiglia alle spalle.
Giorni intermedi dopo Agropoli, Torino e Berlino: quartiere di Tor Pignattara, Roma.
Per qualche anno,vivendo a Roma nel quartiere Tor Pignattara, ho fatto incontri miracolosi e osservato da vicino super eroi metropolitani capaci di compiere gesti divini.
In una calda sera primaverile, verso l’ora del tramonto molto cara ai super eroi che si preparano per l’uscita notturna, ho conosciuto la doppia vita di Aurelio (così si faceva chiamare) il super eroe di origini indiane che aveva sei dita per mano. Di giorno usava le sue dita in più per riempire a gran velocità i sacchetti di frutta che le casalinghe, con tanta fretta e poco garbo, gli chiedevano nel negozio in cui lavorava. Di notte, quando indossava il suo costume, lavorava in una officina meccanica in cui assemblava motori rombanti da montare su bolidi dai colori sgargianti. Ero venuto a conoscenza della doppia vita di Aurelio in una lavanderia a gettoni col pavimento a scacchi e le pareti rosse. In quel luogo magico alcuni suoi assistenti, indiani anche loro, avevano messo a lavare il suo grembiule da fruttivendolo, la sua tuta da meccanico e dei guanti speciali che mostravano sei dita per mano. Considerati i miei orari di lavoro (sveglia alle cinque del mattino e rientro all’ora del tramonto) non era stato difficile osservare Aurelio e scoprire il divenire della sua vita segreta in orari insoliti.
Un giorno si era presentato di persona in lavanderia, a ritirare i suoi abiti asciutti e a controllare le condizioni di alcune giacche da poco stirate.
Io avevo guardato le lavatrici, per finta, cercando di spiare lui per davvero.
Dopo una sua strizzata d’occhio furtiva, imbarazzato, avevo detto qualcosa come:
-Ma quanti lavori fai tu, che ogni volta lavi tutti questi abiti?
Lui mi aveva guardato senza dire niente. Si era avvicinato per rispondermi a bassa voce:
-Io come fratellino di quello che vola come pipistrello. Fare tanti lavori per aiutare famiglia mia molto grande.
-Fratellino di Dracula?
-Scemo che sei. Dracula è cattivo. Io come fratellino di Batman, quello che si chiama Robertino.
Giorni senza tempo, perché lunghi e pericolosi: Agropoli.
Squilla il cellulare in piena notte.
-Pronto.
-Pronto, ma sei tu? Vieni subito in ospedale.
-Ma chi sei?
-Sono Giusy, la mamma del tuo amico forzuto.
-Scusami Giusy, che succede?
– Il tuo Capitan America ha avuto un serio problema all’intestino, a causa di un incidente sul lavoro. Vieni, corri subito in ospedale. Ti aspettiamo al pronto soccorso.
Quando arrivo all’ospedale il mio Capitan America è a letto in una stanza singola riservata solo a lui. In attesa, mi spiegano i suoi familiari, di un intervento d’urgenza allo stomaco.
Saluto la madre Giusy e il fratello Fabio, poi mi avvicino e prendo la mano destra di Capitan America per stringerla nella mia. Mi viene quasi da piangere a vedere il mio amico, dopo anni di palestra e doppia vita segreta, ricoverato in un letto d’ospedale. Lui0 mi fa segno di avvicinarmi, poso l’orecchio dalle parti della sua bocca e con un filo di voce mi dice:
-Non dire mai a nessuno il tuo segreto. Siamo tutti speciali, ma nessuno capirebbe. Se campo stavolta mollo lo scudo e continuo solo a fare le pizze.
Giorni colmi di un tempo fatto di scoperta: 10 Maggio 2008, Ginevra.
-Stiamo per dimetterla. Vedrà che si troverà bene fra la gente comune. Non dovrà fare altro che pensare a quanto è speciale e fortunato. Non diverso, se lo ricordi bene.
-Dottore è sicuro di quanto sta dicendo?
-Il nostro gruppo di lavoro ha avuto l’onore di incontrarla e aiutarla in un momento molto difficile. Crediamo di aver fatto un ottimo lavoro con lei. Ora può tornare lì fuori, e combattere ogni giorno. Solo una cosa ancora.
-Mi dica. Che c’è?
-Mantenga il segreto.
Tempo che vola via veloce: qui e ora; Aversa.
Oggi, dopo tutti i super eroi amati da piccolo, dopo quelli incontrati intorno ai vent’anni e dopo l’incidente del 2008 a Berlino, con conseguente ricovero a Ginevra, davvero non posso svelarvi il mio segreto. Negli anni, per custodirlo gelosamente, ho cambiato più volte casa e città. Gettato via mantelli; e zainetti pieni di invenzioni speciali. Ho provato a rinnegare – per difendermi e non avere problemi di privacy- i contatti con ogni super eroe incontrato. Da quelli fatti di carta (americani o giapponesi) a quelli di carne e nervi (i veri super eroi che operano dalle mie parti). Ho dovuto seguire terapie riabilitative in Italia e all’estero. Ho incontrato medici che fino all’ultimo mi hanno dato per inguaribile. Solo negli ultimi tempi è pervenuta la diagnosi definitiva. Non è grave: stabilisce che io ho un super potere.
I commenti a questo post sono chiusi
Possa Ororo lottare sempre al tuo fianco, fratellino
grazie di cuore. (anche da parte di Batman)