Attesa, apparizione, scomparsa. Un Fort/Da di Sophie Calle
[Questo articolo è tratto da Le Attese – opificio di letteratura reale /2, seconda pubblicazione dell’Opificio di letteratura reale, gruppo di ricerca nato in seno all’Università degli Studi di Napoli Federico II, creato e diretto da Francesco de Cristofaro e Gianni Maffei. Il volume, curato da Elisabetta Abignente ed Emanuele Canzaniello (Napoli, ad est dell’equatore, 2015), contiene testi di: Arrigo Stara, Elisabetta Abignente, Daniela Allocca, Pasquale Bellotta, Antonio Bibbò, Vincenzo Birra, Emanuele Canzaniello, Annalisa Carbone, Francesco Chianese, Mirta Cimmino, Federica Coluzzi, Bruna Corradini, Enza Dammiano, Francesco de Cristofaro, Giovanni De Leva, Giuseppina Dell’Aria, Paola Di Gennaro, Brigida Di Schiavi, Alberta Fasano, Carmine Ferraro, Luca Ferraro, Marianna Ferriol, Fernando Fevola, Carmen Gallo, Stefano Genua, Ida Grasso, Valeria Gravina, Fausto Maria Greco, Mara Imbrogno, Michela Iovino, Giovanni Maffei, Anastasia Manna, Natalia Manuela Marino, Marilisa Moccia, Elena Munafò, Gianluca Nativo, Alfredo Palomba, Dominique Pellecchia, Viviana Pezzullo, Francesca Piccirillo, Jacopo Pignatiello, Isabella Puca, Annarita Rendina, Andrea Salvo Rossi, Chiara Salierno, Maria Chiara Sassano, Gennaro Schiano, Assunta Claudia Scotto di Carlo, Giulia Scuro, Francesco Serao, Ernesto Severino, Gabriella Sgambati, Francesco Sielo, Laura Staiano, Nicole Suppa, Ornella Tajani, Mariangela Tartaglione, Marco Viscardi. o.t.]
di Ornella Tajani
De tout consultant, quel qu’il soit, j’attends qu’il me dise :
« La personne que vous aimez vous aime et va vous le dire ce soir »
Si fa assumere come cameriera in un albergo veneziano e fotografa le tracce del passaggio dei clienti nelle varie stanze. Trova una rubrica sul marciapiede e contatta tutte le persone delle quali è indicato il recapito con l’obiettivo di ricostruire, partendo dai loro racconti, un ritratto del proprietario. Chiede a dei non vedenti dalla nascita di raccontarle quale sia la loro immagine della bellezza. In vari musei, domanda ai visitatori e allo staff di descriverle i quadri che mancano perché temporaneamente esposti altrove, o fotografa le pareti vuote lasciate dai quadri rubati. Fa installare, sul Pont du Garigliano, una cabina dotata di un telefono al quale lei sola può telefonare per dialogare con i passanti che avranno voglia di rispondere. Invita centosette donne a commentare, sulla scia delle rispettive specialità professionali, la lettera con la quale il suo compagno l’ha lasciata. Dedica più di un lavoro alla madre defunta.
Basta una rapida e sommaria panoramica delle performance che strutturano il lavoro di Sophie Calle per notare una costante: le sue operazioni artistiche ruotano spesso intorno alla dicotomia apparizione/scomparsa; del resto alcuni suoi titoli, come Les Anges, Fantômes, Last seen, Disparitions, lo confermano in maniera esplicita.
Nel 2013, invitata a partecipare alle ricerche dell’Opificio di Letteratura reale sul tema dell’attesa d’amore, Sophie Calle ha inviato un testo di sua scelta, inedito in italiano, tratto da Où et quand ? Lourdes (Actes Sud, 2009), secondo volume di una trilogia. In quest’opera Calle coniuga apparizione e scomparsa – già parzialmente evocate nel titolo, che racchiude il miracolo – con il binomio attesa/ricerca.
Non sono poche le figure dei Fragments d’un discours amoureux di Barthes, testo di riferimento per i nostri lavori sull’attesa d’amore, che possono farsi indicazioni teoriche del percorso artistico di Sophie Calle. D’altronde la stessa scrittura in frammenti è tipica di alcuni autori che, nel corso della loro carriera, hanno giocato con quella che nei Cahiers de la photographie veniva definita «photobiographie»: Roland Barthes in La chambre claire, Sophie Calle in tutte le sue opere e il loro comune amico Hervé Guibert, scrittore e magnifico fotografo, sono alcuni dei nomi interessati da questa pratica scrittoria, come racconta Magali Nachtergael nel suo articolo Photographie et machineries fictionnelles.
Al di là di questi punti in comune, è chiaro che c’è un legame affascinante, per quanto incongruo, tra i membri di questo trio improbabile formato dallo scrittore, il critico e l’artista. Il loro frequente utilizzo della fotografia, il gusto per le piccole storie e per il frammento finiscono per mettere in scena dei «soggetti autobiografici» le cui strade si incrociano, a volte anche nella vita quotidiana,
scrive Nachtergael (Nachtergael 2010. Trad. mia). Mettere in scena dei «soggetti autobiografici»: nelle gallerie che ospitano i lavori di Sophie Calle, quella di cui lo spettatore fruisce è sempre, prima d’ogni altra cosa, una autobiografia frammentata. Sta in questo utilizzo della modalità-frammento il primo punto di contatto tra Calle e Barthes.
Tornando ai Fragments, lasciando da parte la figura che il semiologo dedica all’attesa, ce n’è un’altra che si presta meglio come ouverture a un commento di Où et quand ? : è quella intitolata La dernière feuille e dedicata alla magia.
Magia. Nella vita del soggetto amoroso, non importa a quale cultura esso appartenga, non mancano mai le consultazioni magiche, i piccoli riti segreti e le azioni votive (Barthes, 1977: 132).
Questo lavoro su Lourdes inizia, come il precedente volume della trilogia, con la consulenza che l’artista chiede a Maud Kristen, famosa medium francese. La domanda che apre la lettura delle carte è sempre la stessa: «Dove e quando?» – un quesito, lo si nota subito, tutt’altro che estraneo all’innamorato che aspetta. Tuttavia, nel momento in cui lo si rivolge all’ignoto, la scena si cristallizza nell’attesa di un accadimento che non si conosce e si declina in maniera diversa rispetto alla Erwartung classicamente intesa: si trasforma cioè in qualcosa di più simile a una ricerca. Seguendo Barthes in La dernière feuille individuiamo una leggera ma ben codificata distinzione grammaticale che conferma quanto detto:
Per poter interrogare il destino, c’è bisogno d’una domanda alternativa (Mi amerà/Non mi amerà), di un oggetto suscettibile di una modificazione anche semplice (Cadrà/Non cadrà) e di una forza estrinseca (divinità, caso, vento) che contrassegni uno dei poli della modificazione. Io faccio sempre la stessa domanda (sarò amato?) e questa domanda è alternativa: o tutto o niente […]. Io non sono dialettico (ibid.).
In realtà, al cospetto di un indovino, la «question alternative» di cui parla Barthes, ossia l’interrogativa disgiuntiva, si trasforma spesso in una interrogativa totale: mi ama? La risposta può essere soltanto affermativa o negativa, non ci sono vie di mezzo: je ne suis pas dialectique. Invece, la domanda di partenza della Calle è qui un’interrogativa parziale: dove e quando? – domanda per la quale «Lourdes» rappresenta un sottotitolo, più che una risposta.
In questo volume chi pone la domanda iniziale non è una donna innamorata, bensì qualcuno che desidera «andare incontro al futuro, batterlo sul tempo», come l’autrice dichiara sin dall’incipit. In questo sta la prima e fondamentale differenza tra la Calle e il sujet amoureux di cui parla Barthes, al quale al contrario questo genere di gioco con il tempo è precluso, poiché egli non è in alcun modo in grado di dominarlo.
Come mai dunque l’autrice, sollecitata a prendere parte a un lavoro sull’attesa d’amore, ha scelto proprio un estratto di questo volume, se non è specificamente d’amore che il volume tratta? Vediamo il testo:
Come si saranno incontrati gli altri, quelli che si amano ancora? I luoghi. Le date. Le parole dette… Li avrei imitati, mi sarei messa in uno stesso posto, a una stessa ora. Avrei aspettato. E visto se il miracolo poteva ripetersi.
Ieri, d’un tratto, così, senza motivo, sono andata sul Pont du Garigliano, alle otto, e ho aspettato di incrociare un uomo con un giubbotto di pelle, com’era successo a Jeanne tre anni prima, un bell’uomo di quarantadue anni, bruno, un uomo di cui aveva sentito parlare spesso perché facevano lo stesso lavoro, ma che non aveva mai incontrato, un uomo che aveva fatto le ore piccole e tornava a casa a dormire in quel mattino ventoso.
Avrebbe sorriso, avrebbe rallentato il passo, mi avrebbe chiesto se ero proprio io quella donna di cui anche lui conosceva l’esistenza. E il vento forte ci avrebbe spinti a rifugiarci nel caffé più vicino, all’uscita del métro Balard.
Ieri c’era vento, ma nessuno mi ha sorriso. Sono passati due mendicanti con un carrello del supermercato, senza guardarmi. Un ciclista si è voltato verso di me, ma ha proseguito. Alle nove ho rinunciato. Nessun miracolo. Però mi piaceva. Simulare altri incontri, andare a sperare altrove… Se questo progetto andrà in porto, lo intitolerò Lourdes.
(Calle 2009: 19. Trad. mia per tutte le sue cit.).
In questo frammento ci troviamo di fronte a un singolare tipo di attesa d’amore (o meglio dell’amore). Calle non prova alcun tipo di delirio, non ha la possibilità di dire: «Je suis celle qui attend. L’autre n’attend jamais», poiché l’altro non esiste, o non ancora. Nel constatare l’assenza dell’altro, lei non pensa: «je suis moins aimée que je n’aime». Piuttosto, si tratta di una sfida: è come se l’artista sperimentasse l’attesa in via preventiva, con la speranza che un objet aimé si manifesti, si materializzi di colpo. Calle riutilizza la scenografia dell’attesa di amori altrui, sperando che il miracolo dell’incontro possa compiersi una seconda volta.
L’attesa «che qualcosa accada» è il fil rouge dell’intera operazione messa in scena in Lourdes, all’interno della quale Calle si trasforma in una sorta di semiologo non dissimile da quello che, nei Fragments, Barthes identifica con il sujet amoureux. Una volta nella città santa – dove, su indicazione dei tarocchi, è andata a cercare qualcosa che non conosce, forse una rivelazione – l’artista studia i segni. Il 23 gennaio, ad esempio, annota sul suo diario che, passeggiando per strada, ha trovato un’insegna con il suo nome, Sophie: «pista sbagliata», commenta immediatamente. Poco dopo si ritrova davanti all’hotel Sainte Monique, e Monique è il nome della madre: un altro segno? Qui Calle svela qualcosa in più, usando una citazione: «tutte le scorciatoie iniziano a convergere sulla tua ossessione» (Calle: 113). L’ossessione di questo volume è proprio la madre morente, Rachel Monique, come da titolo di un’altra sua opera. L’artista parte per Lourdes già sapendo che la madre è in fin di vita: il volume si apre con un ironico autoritratto in cui lei si mostra con il capo coperto da uno scialle fucsia e il trucco sciolto, come una madonna Kitsch, e si conclude con un’istantanea che Calle si scatta dietro prescrizione telefonica della veggente; in questa ultima fotografia l’artista appare stanca, pallida, provata. «Torni subito» (Calle: 143), recita infatti la didascalia.
Al termine del libro, il lettore scopre di aver accompagnato l’autrice durante una sorta di attesa luttuosa e al contempo purgatoriale, poiché la morte rappresenta in ogni caso una liberazione. Al centro del volume sono poste sessantasette pagine di carta velina, semitrasparenti, in bianco e nero, sulle quali figurano i nomi delle malattie miracolosamente guarite dalla Madonna di Lourdes. Nella lista compare soltanto per imbroglio dell’artista il male di sua madre, inserito in maniera posticcia e truffaldina, certamente con un intento esoterico e bene augurante.
«Ciò che lei sta andando a cercare a Lourdes è di ordine guerriero. Un modo di celebrare il suo lutto in grande» (Calle: 97), predicono le carte prima della partenza. Il termine deuil è qui carico di due significati: il lutto è certamente quello, imminente, della madre, ma è anche l’attente-deuil barthesiana; un’attesa del lutto, in questo caso. Sophie Calle non è nuova a esperimenti di manipolazione del tempo, nei quali gioca con la ripetizione (Les dormeurs), la durata (Douleur exquise) o l’incompiutezza della fine (En finir). Alla manipolazione si aggiunge qui il gioco fantasmatico dell’alternanza tra apparizione e scomparsa, cui l’artista si riferisce esplicitamente in più di un caso: «una scomparsa comporta un’apparizione» (ibid.), annota prima di partire, quasi si trattasse di un mantra.
In effetti, in Lourdes si può pensare che l’autrice dialoghi con l’attesa, la scomparsa, le coincidenze attraverso un personalissimo gioco del Fort/Da di stampo freudiano. Analizzato nel secondo capitolo di Al di la del principio di piacere, il cosiddetto «gioco del rocchetto» è quello osservato da Freud nel nipotino di diciotto mesi, consistente nel gettare oltre la culla un rocchetto con uno spago, per poi recuperarlo, accompagnando il tutto con i due vocalizzi «o-o-o/a-a-a», che Freud identifica con i due termini «Fort» (via, lontano) e «Da» (qui, ecco). Nella lettura freudiana, per il bambino il rocchetto rappresenta la madre, laddove l’altalena fra i due fonemi è il simbolo della possibilità della sua perdita.
Come ben sintetizza lo psicanalista Jacques Sédat, Freud propone due diverse interpretazioni del gioco:
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Il bambino, da passivo che era, abbandonato dalla madre, diviene attivo mettendo in gioco una «pulsione di appropriazione» […] che consiste nel «rompere» in qualche modo l’oggetto, in mancanza del potere di elaborare la sua assenza.
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Attraverso la duplice sequenza Fort e Da, il bambino può fare a meno dell’oggetto senza doverlo distruggere, costituendolo al di fuori come oggetto perduto; egli cioè elabora psichicamente l’assenza dell’oggetto separandosene, mediante un’operazione in cui l’oggetto materno è privato della sua onnipotenza e in cui, in effetti, egli acquisisce la possibilità di assentarsi da esso (Sédat 1998).
Il primo caso rappresenta l’opzione semplice del gioco, ossia quella che prevede soltanto il “Fort”. Invece, il caso della Calle è evidentemente il secondo: l’artista si allontana dalla madre morente (Fort) per recarsi a Lourdes, quasi a caccia del miracolo che possa salvarla (Da). Mentre è in viaggio commenta: «Il mio riflesso nel finestrino del treno appare e svanisce continuamente. Inizio a scorgere ciò che sono venuta a cercare. La scomparsa» (Calle: 101), il che riconduce nel dominio del Fort. Tuttavia, l’ultimo suggerimento della veggente è: «Torni subito […]. Non ci sono segni. Tutto resta nella scomparsa» (Calle: 141). Nella città santa si resta nella scomparsa: è esattamente questo il motivo per il quale occorre tornare subito a Parigi (Da), dove la madre sta per morire.
Apparizione, scomparsa, attesa vissuta come un rito da compiere per accelerare il destino, per «andargli incontro»: è questo il triangolo intorno al quale si muove la Calle in Où et quand ? – domanda che alla fine resta inevasa. Il sottotitolo Lourdes non è altro che la traccia più evidente dell’«idéal féminin maternel» che l’artista continuamente insegue e rifugge, e intorno al quale finisce per girare disordinatamente, ma con costanza, perché esso rappresenta una delle sue più possenti ossessioni. È per questo che la dinamica del Fort/Da mi è parsa prestarsi particolarmente bene come chiave interpretativa di questo lavoro. Del resto, Catherine Mavrikakis aveva già fatto riferimento alla medesima analisi freudiana in occasione di altri lavori della Calle, come Les Aveugles:
Se Sophie ha scritto sui non vedenti e se ha lavorato sulla cecità, è evidente che il fulcro del suo lavoro è la necessità di essere vista, pedinata, fotografata, filmata. Ha bisogno di giocare con la sparizione in un fort-da freudiano che governi l’assenza e la presenza e che le metta in scena, senza che sia sempre possibile sapere se è la presenza o l’assenza a essere rappresentata, senza che sia possibile pensare l’apparizione senza la scomparsa (Mavrikakis 2006: 133. Trad. mia anche per la succ.).
Il movimento dialettico è ormai chiaro: avvicinamento/allontanamento, apparizione/scomparsa. Al suo interno, l’attesa diventa così un tentativo di giocare con il tempo: allontanando l’evento negativo che si sta aspettando, come in Lourdes (Fort); o cercando di «attirare» gli accadimenti desiderati (Da), come nel caso del frammento d’argomento più «amoroso» con il quale la Calle ha scelto di partecipare ai lavori dell’Opificio. Queste due diverse declinazioni di uno stesso esperimento di manipolazione del destino, delle coincidenze e del passato sono le coordinate di quella «volontà di creare una presenza spettrale, […] di restituire il mondo alla vita» (Mavrikakis: 136) che costituisce una delle cifre artistiche di Sophie Calle.
Bibliografia
Barthes, Roland, Frammenti di un discorso amoroso, Torino, Einaudi, 2001 (1979)
Calle, Sophie, Où et quand ? Lourdes, Arles, Actes Sud, 2009
Freud, Sigmund, Tre saggi sulla teoria sessuale. Al di là del principio di piacere, Torino, Bollati Boringhieri, 2012
Mavrikakis, Catherine, Quelques r.-v. avec Hervé. Quand Sophie Calle rencontre encore Hervé Guibert, in «Intermédialités : histoire et théorie des arts, des lettres et des techniques / Intermediality: History and Theory of the Arts, Literatures and Technologies», n. 7, 2006
Nachtergael, Magali, Photographie et machineries fictionnelles. Les mythologies de Roland Barthes, Sophie Calle et Hervé Guibert, «Épistémocritique», VOL. VI – Hiver 2010
Sédat, Jacques, Pour introduire l’amour en Psychanalyse, in F. Perrier, L’amour, Paris, Hachette, 1998