Hai sentito il terremoto. Memorie dal sottosuolo
di Davide Orecchio
– In Italia 25mila persone, attraverso un sito web, descrivono terremoti. Compilano questionari. Alcune di loro rendicontano la paura, le sensazioni che hanno provato, l’intensità delle oscillazioni sismiche, gli effetti sulle case che abitano. I racconti si sedimentano in un archivio digitale che va oltre la sismologia, si fa memoria e fonte dei sismi. –
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Si potrebbe cominciare dalla notte. E da una ragazza. Sei anni fa. All’Aquila. Esce dalla Casa dello studente. È aprile. La primavera già lenisce il freddo e il buio dove s’incammina quando le appare “un fenomeno molto strano”, e lo ricorderà, e lo riporterà: verso Coppito affiora la luce intensa di un colore blu, ma una luce “che non viene dall’alto”, come un fulmine che sgorghi dalla terra, rovesciato. Eppure non piove. Non c’è temporale. La ragazza vede il lampo, però. Non l’ha sognato. Lo manda a memoria. S’allontana dalla Casa che poche ore dopo deve crollare, e deve uccidere studenti. Una luce blu.
Altrove, non distante nel tempo ma nello spazio: un appartamento, un uomo solo. Mentre il sisma piega l’abitazione ai gesti di un personaggio che prende vita e paura prima di morire forse, prima di abbattersi al suolo forse, e comanda le finestre a scuotersi, le ante a oscillare, gli scaffali a inclinarsi, l’uomo si concentra solo sull’assito e gli pare che il gres sia mutato in ghiaccio. L’uomo percepisce ghiaccio. L’uomo scivola due volte su un pavimento che “sembra ghiaccio” e lo ricorderà, e lo riporterà: “Non riuscivo a restare in piedi”.
“Ho provato confusione totale. La terra è bollente.
Piccoli insetti volano bassi e tutti insieme”
Un altro invece dorme. Poi le scosse lo svegliano assieme alla compagna. Cosa ricorda? Cosa riporta? “Ho provato confusione totale”. Ma resta calmo: “Per proteggere mia moglie”. Il letto sbatte “da avanti a dietro”, s’impenna “dalla schiena, non so di quanto, forse 30 centimetri”. Gli armadi grandi attorno non cadono. Solo quelli piccoli (“scarpiere, librerie”). Finiti i sussulti esce per strada. Fuma una sigaretta. Ha l’impressione che le nuvole si siano avvicinate alla terra. E la terra, quella, “è bollente”, il contrario del ghiaccio, e “piccoli insetti volano bassi e tutti insieme”. Mentre i gatti restano immobili con le code raccolte, negli angoli di un cortile terremotato.
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Queste memorie hanno dei custodi. Tre geologi e un webmaster dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) – Patrizia Tosi, Paola Sbarra, Valerio De Rubeis e Diego Sorrentino – curano un sito (www.haisentitoilterremoto.it) che nel corso degli anni è diventato punto di riferimento e incontro tra la comunità scientifica e i cittadini. È qui che i quattro ricercatori hanno archiviato, e continuano ad archiviare, segnalazioni, testimonianze personali, informazioni. “Il sito – leggo nel disclaimer – è nato per monitorare in tempo reale gli effetti dei terremoti italiani e per informare la popolazione sull’attività sismica. La sua realizzazione è resa possibile grazie al contributo di ogni persona che, compilando il nostro questionario macrosismico, descrive la propria esperienza”.
Sì, c’è un questionario da compilare. Pone domande molto precise. Dove ti trovavi quand’è avvenuto il terremoto? In un edificio? A quale piano? Stavi all’aperto? In un mezzo di trasporto? Cosa facevi: dormivi, eri fermo, oppure eri in movimento? Le risposte alimentano un database immenso che, filtrato ed elaborato dai computer, ha consentito al gruppo di ricercatori di pubblicare studi e statistiche innovative sulla percezione dei sismi e di dimostrare, tra l’altro, che l’attività dell’osservatore incide più della sua posizione sull’intensità con cui avverte la scossa. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ad esempio, una persona ferma all’aperto percepisce il terremoto più chiaramente rispetto a una in movimento, ma chiusa nel piano alto di un edificio.
Ma non finisce qui. La homepage del sito espone una cronologia di cartine. Sono le “mappe dei risentimenti dei terremoti avvertiti dalla popolazione”, elaborate utilizzando i dati dei questionari. Fino a oggi haisentitoilterremoto.it ha raccolto più di 700 mila questionari, ha rappresentato oltre 9 mila terremoti e conta su una rete di 24 mila 500 “corrispondenti fissi”. Ogni volta che la sala di sorveglianza sismica dell’Istituto segnala un terremoto, mi spiega Patrizia Tosi, “il nostro sistema invia una mail ai corrispondenti geolocalizzati nell’epicentro e oltre la stretta zona epicentrale, fino a lambire la zona del ‘non avvertito’”. Tutta l’area, infatti, è d’interesse scientifico. Inoltre, prosegue Tosi, “dal punto di vista sociale è importante far comprendere che un terremoto (o meglio i suoi effetti) non è confinato nella stretta area epicentrale, non è quindi solo causa di tragedie, ma si esprime senza soluzione di continuità dalle intensità più alte fino alle più impercettibili vibrazioni”. Le risposte inviate dai corrispondenti aggiornano automaticamente le mappe on line: “Non solo ci forniscono dati scientificamente utili, ma anche informazioni preziose per comprendere la situazione e organizzare i primi soccorsi”. E se non arrivano risposte? “È un segnale grave”, risponde Patrizia. All’Aquila nel 2009, nelle prime ore, andò così. C’era un buco di silenzio. L’epicentro taceva. Anche quella, anzi soprattutto quella, fu un’informazione.
L’Ingv si trova a Roma, sulla via Laurentina, vicino all’Eur. Quando arrivo, vedo sul confine dell’area parcheggi, oltre una rete, un gregge di pecore pascolare tra un prato e un boschetto di canne. “Qui accanto c’è un istituto agrario”, mi spiega Valerio De Rubeis sorridendo. Poi mi accompagna dentro; in questa storia. Valerio e Patrizia non sono solo compagni di ricerca. Lo sono anche di vita. “Già eravamo fidanzati ai tempi dell’università, a Geologia”, mi spiega lui mentre completiamo la visita di rito all’Ingv. “Abbiamo studiato assieme. Ci siamo corretti e migliorati a vicenda”. Adesso condividono una famiglia, dei figli adolescenti, un progetto scientifico, una stanza piena di computer.
La rete mondiale dei sismometri nasce con la guerra fredda
Entriamo nella sala di sorveglianza sismica. Qui è dove controllano 24 ore su 24 le scosse in Italia. Un orologio atomico scandisce il tempo. Dodici schermi su una parete intera di metri quadrati rilevano i segnali dalle stazioni sismiche e dai sensori. Ogni simbolo sugli schermi rappresenta una stazione sismica. La magnitudo varia sulla mappa in sfere di colori diversi. Il rosso è il più grave. C’è anche un telefono rosso, e uno bianco: servono per comunicare col ministero dell’Interno e la Protezione civile. Da questa mattina sono avvenuti già tredici terremoti, in poche ore, non percepiti da nessuno probabilmente. Valerio mi indica il quattordicesimo. Succede proprio adesso: uno schermo brilla all’altezza di Modena, la magnitudo è inferiore a 2. La rete mondiale dei sismometri – spiega Valerio – nasce con la guerra fredda. Presero a fare i test nucleari sotto terra, e a camuffarli nelle zone sismiche, dentro le onde sismiche. Così, per avere intelligenza gli uni degli altri, e dell’altrui potenza nucleare, svilupparono la scienza dei sismometri, e la tecnologia che ci resta.
Usciamo. Sulle scale Valerio si ferma e asserisce: “La verità è che i terremoti si collocano al centro esatto tra imprevedibilità e determinismo”. Mi sembra un luogo irraggiungibile, questo “centro esatto”, e caotico, e letale. Mi vengono in mente le immagini dell’Irpinia, di San Giuliano di Puglia, dell’Abruzzo. Ora entriamo nella stanza dov’è il resto del gruppo. Inizio a farmi spiegare. Loro, a differenza dei colleghi nella sala di sorveglianza, studiano gli esseri umani, il rapporto tra individuo e sisma, l’intensità, la percezione, non la magnitudo (o ampiezza) delle scosse telluriche. Alcuni considerano il loro campo obsoleto, “pre-strumentale”, ma tant’è, vanno avanti. Patrizia è – credo – la vera anima del progetto. Fu sua l’idea di creare il sito, nel lontano 1997 (con Fortran, nei labirinti dell’html). Nel 2007 l’hanno ristrutturato. Nel 2009, dopo l’Aquila, haisentitoilterremoto.it è diventato più importante e seguìto, una fonte di crowdsourcing dati e uno strumento di informazione pluridirezionale. Ancora Patrizia mi spiega che i sensori, le macchine certo sono più precise ma non basteranno mai a controllare tutta l’Italia; ce ne vorrebbero troppe. “Invece tante persone interagiscono con noi e danno sempre informazioni esatte. Anche la descrizione della paura è esatta. Non è mai sproporzionata rispetto all’intensità del sisma. Si comportano come strumenti. Sono accelerometri umani”. Il sito, in cambio, ‘libera’ i corrispondenti dall’esperienza del terremoto come un evento puramente distruttivo, un cataclisma dal quale non si torna indietro; sollecitando descrizioni, interazione, racconto, li aiuta a convivere col “fenomeno naturale”, a comprenderlo, e rinsalda anche un legame di fiducia tra gli ‘esperti’ e le persone.
“Stiamo raccogliendo le testimonianze.
Molte sono davvero suggestive”
“Da qualche tempo – aggiunge Valerio – abbiamo affiancato ai questionari un’area di compilazione libera. Qui gli utenti possono caricare i loro testi, descrizioni, storie, senza limitarsi a rispondere alle domande. Stiamo raccogliendo moltissime testimonianze. Molte sono davvero suggestive”. I ricercatori non hanno ancora deciso che uso fare di questi materiali, ma sono convinti che l’esperienza del sito, nata da motivazioni scientifiche, si stia allargando sempre più a un piano sociale ed etico.
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Si potrebbe parlare di una madre. E di sua figlia che, preoccupata, la racconta. Abita in una grande città, la signora, al terzo piano di un condominio, e non s’è accorta del terremoto. Eppure, durante la notte, “ha avuto tachicardia inspiegabile, con vampate di sudorazione atipiche per lei”. La figlia chiede: cosa significa? Devo preoccupami? Poi preme il tasto di invio.
Un uomo usa un linguaggio tecnico che si nutre di “onde non sinusoidali” non della stessa intensità ma che cambiano “con accelerazioni e decelerazioni”. Descrive poi “una sensazione di nausea e un effetto acustico onnidirezionale. Evidentemente [il terremoto] era sotto la soglia dei 200Hz, con spostamenti da destra verso sinistra”.
“Vedo la casa come una trappola.
Andare a dormire è angosciante,
temo per me e per i miei figli, ho paura dei crolli”
Una donna scrive dal sud. Confessa: “Vedo la casa come una trappola”. Abita in un palazzo degli anni sessanta, in cemento armato, ma ha paura lo stesso. Vive a un piano alto. Non rincasa più volentieri. “Andare a dormire è angosciante, temo per me e per i miei figli, ho paura dei crolli. Chissà quanta gente vi scrive con queste angosce”. Scrivere dal sud. Scrivere da una zona qualsiasi d’Italia dove non si fa più manutenzione. Neppure quel minimo che serve a non avere paura. Cosa teme davvero la donna: il terremoto o chi ha costruito la casa? Ipotizza di prendere calmanti. “La tv”, aggiunge, “non aiuta”, “trasmette in continuazione e su tutti i canali scene terribili”. Manda servizi che dicono: alla prossima scossa il centro storico della città crollerà in venti minuti. Una donna scrive dal sud: “Perché non controllano tutte le case quando il terremoto non c’è?”. Perché non ci salvano prima?
“Una grande lenta spinta come quando a un lungo treno fermo si aggancia un nuovo vagone e noi siamo all'altra estremità; ma molto meno brusca”
Si potrebbe parlare di un uomo che ha deciso di descrivere tutto. Quasi un diario di bordo. Un prodigio della memoria. Gli è sembrato “di udire qualcosa di abbastanza simile a un leggero fruscio, molto lieve, come una folata di vento; subito dopo c’è stata non una oscillazione, ma uno spostamento, come se l’edificio intero avesse ricevuto una sorta di ‘spinta’ secondo una direzione approssimativamente est-ovest”. Trattenere e rilasciare osservazioni. Prima di premere il tasto invio. “Una grande lenta spinta come quando a un lungo treno fermo si aggancia un nuovo vagone e noi siamo all’altra estremità; ma molto meno brusca”. Testimoniare. “Poi è iniziata una sorta di oscillazione moderata. Il cambio di direzione era relativamente brusco, con una ‘frenata’ netta. Quindi non un’oscillazione pendolare, in cui verso l’estremità la velocità rallenta”. Venti secondi. Poi tutto finisce. Ma il diario prosegue: “Non particolarmente impressionante sul piano emotivo perché si è trattato di uno scuotimento regolare, che non peggiorava di ampiezza e ritmo (dunque non dava la sensazione di poter evolvere in modo grave)”. Nel 1980 (Irpinia) lui viveva già qui, in questa casa. Ricorda tutto. “Rammento benissimo”. E oggi “l’oscillazione residua dei lampadari è stata assai meno ampia, ma il ‘cambio di direzione’ in ogni oscillazione nettamente più ‘secco’ e ‘bruscamente frenato’”. Clic.
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Nell’ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki, Si alza il vento, c’è una scena indimenticabile e terribile. Raffigura il terremoto del Kantō (1923): una forza si solleva dalla terra, travolge un treno, campagne, villaggi, sembra che mugugni mostruosamente, volge verso Tokyo con le sue onde cantilenate e la devasta. Chiedo ai ricercatori dell’Ingv se sia una scena realistica e Paola, la più giovane dei tre, annuisce: “Quando passano le onde sismiche, la terra è come un grande altoparlante”.
Beppe Sebaste, uno scrittore che s’è innamorato di questo progetto, ha scritto: “Difficile non ammettere che il terremoto sia percepito dal senso comune come un disastro, un deragliamento dai binari”, come un evento “ostile, alieno”, “una sorta di capriccio venuto da una Natura ‘matrigna’. Oppure ancora come se si trattasse di un imperdonabile atto terroristico da parte di ignoti incarnati dalla Natura stessa”. “Uno dei primi importanti effetti del questionario – prosegue Sebaste – è abolire questa distanza, far acquisire una familiarità con la natura dei terremoti, creare delle relazioni naturali tra i moti della terra e i moti dell’anima umana (andare, in un certo senso, all’origine stessa di questa parola, di questa metafora, di questo paradigma)”.
Mentre li ascolto, mi convinco che questi geologi, coi loro metodi tra la teoria e l’empiria, con l’uso del web e delle parole, stanno reinventando la sismologia, la portano nella sociologia, nell’antropologia e, giorno dopo giorno, archiviano la storia stessa dei sismi percepiti dagli italiani.
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“Avete notizia di altri casi simili al mio?”
Da una casa. Da un computer. Un uomo avvisa che il suo corpo potrebbe essere un mezzo, uno strumento che percepisce e prevede. Il terremoto. Mette le mani avanti, però. Si vergogna: “Ho una certa età. Non vorrei diventare un fenomeno da baraccone. Sicuramente ci sono altre spiegazioni a queste mie sensazioni premonitorie”. Eppure le dice, le scrive. C’è un dolore “tra coscia e inizio ginocchio” che a volte gli scuote le gambe e si trasforma in “scossette”. Ha notato che, durante la sua permanenza nella città di X, “a seguito di queste sensazioni avvenivano delle scosse telluriche, a distanza di poche ore”. Una notte, di nuovo, il dolore alla gamba gli diventa uno spasmo muscolare: “I soliti ‘sintomi’ che provo prima del sisma. Di lì a cinque, sei ore, ecco che si è verificata la scossa”. “Avete notizia di altri casi simili al mio?”. Clic.
“Dormivo e mi sono svegliata pensando
di essere in una culla, così oscillava il letto.
Sembrava di essere in mare”
Vive in una grande città, in un vecchio palazzo, al quarto piano. Anche lui ha un problema, e lo riporta: “Riesco a percepire lievi movimenti del pavimento che, in seguito a controlli, ho scoperto essere riflessi degli spostamenti tellurici”. Vuol’essere preciso: “Per intenderci, se viene registrato un terremoto di 2,5 gradi Richter, io, non so perché, riesco ad avvertirlo. Sono quasi dieci giorni che avverto oscillare il pavimento”. Spera di non essere diventato pazzo, eppure avverte le scosse anche quando cammina per strada “e le altre persone non percepiscono nulla”. Sente “come delle onde, delle oscillazioni”. È così: spesso sentono onde lievi, oscillazioni. Specialmente se si trovano lontani dall’epicentro, se l’intensità è bassa, se l’ampiezza è minima. Una donna racconta: “Dormivo e mi sono svegliata pensando di essere in una culla, così oscillava il letto. Sembrava di essere in mare”.
Spesso. Non sempre.
Un uomo ricorda tutta un’altra esperienza. E la riporta:
“Per rendere l’idea della sensazione che ho provato, immaginate un elastico teso. Un elastico che, improvvisamente, si spezza”.
Clic.
(Pubblicato su Pagina 99, Anno III, n. 3, 16-22 gennaio 2016).
(Immagine: Gibellina vecchia, il Cretto di Alberto Burri).