Aiace paranoico

Ajax_suicide

 

di Alfredo Palomba

Così come lo dipinge Sofocle nella tragedia omonima, l’eroe Aiace reca in sé tutti i segni della paranoia e può essere preso a modello esemplificativo e caso-limite per rappresentare come la condizione paranoica agisca sull’individuo, sia esso antico o contemporaneo, empirico o narrativo. La tragedia sofoclea si apre a fatto già compiuto: beffato da Atena, che ha suggerito «immagini fallaci alle sue ciglia» (Sofocle; v. 62), Aiace ha compiuto una strage di greggi e pastori, convinto invece di aver sterminato l’esercito degli Achei. Il pomo della discordia è costituito dalle armi del defunto Achille, reclamate da Aiace in virtù della sua forza, ma assegnate ad Odisseo: le voci più grosse della giuria sono infatti quelle di Menelao e Agamennone, alleati del figlio di Laerte. Il migliore dei greci è dunque l’abile Odisseo, non il forte Aiace: non ne possiede, quest’ultimo, la complessità, le sfaccettature, le doti ‘femminili’ di intelligenza e pragmatismo. Il suo unico interesse, l’unico, pulsante intento che lo muove è, come ci conferma Luigi Zoja, dimostrare al mondo di essere l’eroe più potente:

Avendo un solo interesse, esistendo solo in quell’interesse, il suo modo di vita è la solitudine. Aiace si nutre di pensieri solitari. Ma il vuoto di persone e di interessi è contrario alla natura della psiche, che reagisce riempiendolo. Pian piano le presenze rifiutate nella realtà riappaiono nella mente. Rigettate come realtà, riappaiono come incubi e ossessioni. È il ritorno vittorioso di quel che si voleva negare. La vita mentale di Aiace è sospetto pronto a esplodere. (Zoja, 2011; 9)

Aiace è un solitario. Non chiede aiuto agli dèi, sente di non averne bisogno. Tale tracotante ostinazione, unita a una convinzione semplice e sfacciata di sentirsi nel giusto, lo rendono inviso ai numi, che non tollerano l’indifferenza. Aiace, pur sempre umano, si sente onnipotente e ciò lo mette di fronte a rischi gravissimi. Zoja riflette su come pensiero tragico e pensiero paranoico non siano compatibili, anzi:

Sono due opposti. La tragedia non voleva solo intrattenere, ma educare: insegnare che la vita è contraddittoria: l’uomo vuole il bene ma contribuisce al male, la volontà è niente perché non sa cosa vuole davvero.

Aiace non sbaglia perché sbaglia, ma perché, cedendo alla paranoia, è dominato da un’unica idea, sorda alla complessità umana. Da quando quella idea fissa gli si è rivelata, crede di aver capito l’essenziale. (Zoja, 2011; 10, 11)

Quest’unica idea lo isola dal mondo, lo spoglia del sostegno di dèi e compagni, lo mette in competizione con gli altri guerrieri. E le armi di Achille sono state negate proprio a colui al quale spettavano di diritto. «Poco alla volta, la mente di Aiace non vede più alternative. Le armi di Achille non sono più un premio, una possibilità, sono una necessità. Le armi sono tutto. E le armi si riscattano con le armi» (Zoja, 2011; 11). L’enormità della sua ossessione è tale da farlo sentire circondato da nemici che hanno complottato contro di lui e da non permettergli più di aspettare. Infatti, tra tutti i nemici che il soggetto paranoico vede intorno a sé, uno dei più infidi è l’impersonale tempo. Una volta concepita la sua idea il paranoico non può attendere, deve attuarla subito: «Come non accetta spazi vuoti nel pensiero, così non li accetta nel tempo. Non vuole rinviare» (Zoja, 2011; 12).

Così Aiace esce nottetempo dalla tenda per uccidere Agamennone, Menelao e l’odiato Odisseo, ed è solo grazie alle immagini false di Atena che l’ira viene sviata e la strage evitata. «La sua trappola è stata l’autoinganno di chi troppo si affida alla solitudine e al sospetto» (Zoja, 2011; 12). Già folle di rabbia e spintosi troppo in là nelle sue fantasie persecutorie, Aiace è stato ulteriormente ingannato: e la beffa è delle più crudeli. Il possente, tremendo eroe ha bagnato la terra del sangue di pastori e pecore. Il successore del prode Achille, il braccio armato della Grecia è stato ridotto, da Atena, a vile macellaio. «E rider d’un nemico è il più bel riso» (Sofocle; v. 95), sussurra la dea a Odisseo.

La paranoia rende ridicoli. Ma possiamo anche rovesciare la prospettiva: le risate degli altri risvegliano la paranoia dormiente. Chiunque può diventare ansioso, se gli altri ridono di lui e non sa perché. Il riso, infatti, contagia il gruppo proprio come l’aggressività. Spesso è aggressività trasformata. Quando il sospetto vede nemici, il nemico più atroce è quello armato non di spada, ma di una risata. Il sospetto, però, scopre nemici o li crea? […]

L’incapacità di ridere è il più antico indicatore di paranoia. La capacità di farlo è la più istintiva difesa contro questo male: non per niente è un tradizionale strumento di difesa per un popolo vittima di attacchi paranoici, quello ebraico. Il derubato che sa sorridere, ha detto Shakespeare, ruba a sua volta al ladro. (Zoja, 2011; 12)

Sostanzialmente vuota e refrattaria al riso, la mente di Aiace non può riempirsi d’altro che di sospetto e attesa di un nemico da sgominare; «chi vive in mezzo alla diffidenza non vive fra uomini, vive fra avversari. E il solo dovere verso gli avversari è sconfiggerli» (Zoja, 2011; 14). Quando la questione delle armi di Achille gli fornisce un movente per passare all’azione, egli è pronto. Tuttavia il mattino, che con la moglie Tecmessa ha portato la notizia della reale entità del massacro, non riserva oro ad Aiace, ma il sapore plumbeo della disillusione e l’orribile paura del pubblico scherno. Il «risveglio non lo libera, ma lo rinchiude nell’eterna prigione del rimorso» (Zoja, 2011; 14). L’unica via d’uscita dal dolore, per l’eroe, è quella di darsi una morte onorevole: dopo aver conficcato nella sabbia l’impugnatura della spada regalatagli da Ettore in cambio della sua cintura, Aiace le corre incontro e si lascia trafiggere: «fa, di quella spada, un uso capovolto. Il rovesciamento dei processi simbolici è una tragica ricorrenza nei paranoici di ogni tempo: nelle menti armate di sospetto la creatività dei simboli si trasforma in distruttività, il processo vitale in processo mortale» (Zoja, 2011; 17, 18).

Aiace può a ragione essere considerato un modello paranoico per la tendenza a creare un sistema chiuso di sospetti e immagini fasulle che si autoalimenta e costringe l’eroe tragico ad agire al di fuori della norma, ma conformemente a una norma che egli stesso ha creato e ritiene coerente e ‘giusta’. L’eroe rivela la propria folie raisonnante o folie lucide, delle molte denominazioni di “paranoia” quella più antica, usata in Francia già ai primi del diciannovesimo secolo. La paranoia, allora, appartiene sia al sistema di pensiero della ragione che a quello del delirio; essendo così ambivalente essa riesce a dissimularsi ed è, rispetto ad altri disturbi della personalità, molto più difficile da riconoscere. È un vero e proprio ‘stile sragionante’ che «non solo non si oppone alla ragione, ma finge di collaborare con lei» (Zoja, 2011; 20): passibile di colpire anche il più insospettabile tra gli uomini e da considerarsi sempre più come possibilità che come malattia. Possibilità che colpisce in genere un soggetto di età media e intelligenza media o superiore alla norma, tendenzialmente insicuro e propenso a proiettare all’esterno le ragioni di insuccessi e frustrazioni personali, capace di offrire informazioni minuziose, se atte a convincere l’interlocutore delle proprie ragioni, ma attento a non esporsi troppo perché consapevole della facilità con cui gli altri potrebbero fraintenderlo. Un soggetto che, come Aiace, si isola dal mondo. «Poco alla volta perde i sentimenti, mentre si raffina come macchina, fino a costruire un sistema razionalmente plausibile, che ha al suo centro un complotto organizzato contro di lui da una coalizione crescente di nemici» (Zoja, 2011; 24).

Questa sua solitudine, che è causa ma anche conseguenza della sospettosità, è spezzata dalla fantasia di essere al centro dell’interesse di tutto il mondo. Il motivo per cui le persone non gli riconoscono alcun merito non risiede nella sua effettiva carenza di qualità, ma in una coalizione dovuta alla gelosia altrui, che gli impedisce di riscuotere il successo ambito e dovuto. Il delirio di grandezza, in questo modo, non fa che crescere all’interno di un circolo autotelico e autoreferenziale che sempre più esclude il paranoico dalla società e da una onesta presa di coscienza delle proprie reali capacità, attitudini, debolezze. È facile a questo punto incrociare «le componenti «laterali» più frequenti della paranoia: megalomania e invidia, che vengono attribuite ai rivali ma in realtà appartengono al soggetto» (Zoja, 2011; 24). La bipolarità del paranoico, quindi, pone lui da un lato e il resto del mondo dall’altro, in un regime di sospetto che alimenta se stesso radicalizzandosi e distorcendo sempre più il reale. Nei casi di paranoia estrema, da questo regime può scaturire la cosiddetta sindrome da accerchiamento accompagnata dalla convinzione che attorno a sé si stia architettando un complotto. E proprio come una bestia che si crede accerchiata, quando è convinto di aver subito un torto il paranoico agisce con sproporzionalità, con la replica esagerata ed esasperata di chi crede che quel torto sia solo la punta di un iceberg, l’inizio di una persecuzione.

Ogni forma di paranoia completa è una costruzione logica edificata a partire da un nucleo delirante e da un assunto di base falsificato. Col paranoico si può discutere la parte logica del suo pensiero, ma il nucleo centrale, anche se chiaramente falso, rimane indiscutibile e incorreggibile. Esso precede la logica. Non appartiene alla razionalità ma alla vitalità. […] [Il paranoico] Possiede una verità immediata che non richiede giustificazioni, ma che a sua volta tutto giustifica. (Zoja, 2011; 25)

Abbiamo visto come Aiace, caso emblematico di megalomania e delirio di persecuzione, faccia un uso allusivamente ‘capovolto’ della spada di Ettore, conficcandola nella sabbia per l’elsa e trafiggendo con la lama colui che è divenuto il suo peggior nemico, se stesso: l’inversione delle cause è infatti un elemento molto frequente nel soggetto paranoico. Se l’assunto di base è falsificato (o rivoltato), di tutte le prove che ne smantellerebbero la tendenziosa interpretazione viene fatto un uso a sua volta opposto: esse non riportano il soggetto alla realtà tramite l’evidenza e la logica, ma ancor di più lo isolano, radicandolo nelle proprie convinzioni. Le prove al contrario alimentano il circolo vizioso della paranoia, accumulandosi e trasformando il sospetto in evidenza. «Si attiva in tal modo un’altra caratteristica di questo male, l’autotropia: una volta posta in moto, la paranoia ha la capacità di alimentarsi da sola» (Zoja, 2011; 25). E il circolo vizioso tende vieppiù a chiudersi, perché i vari sintomi che lo sostanziano si trovano in rapporto di reciproca dipendenza e si tengono tra loro, incastrandosi e combaciando come i tasselli di un puzzle. Il paranoico, convinto delle macchinazioni ai suoi danni operate da altri o da un ‘Altro’, diventa riservato, tendente a non dichiarare a gran voce, in pubblico, le sue teorie. Egli circonda cioè di un segreto quasi religioso le sue convinzioni, che assumono i connotati di una ‘fede’ rivelata, coesa e funzionante alla perfezione.

Una variante del segreto è […] l’allusione (in inglese innuendo, espressione latina che significa «fare appena un cenno», anche senza parlare). Essa lascia in vita l’equivoco e aperte le interpretazioni. L’allusione paranoica, però, non si limita a «dire senza dire»: contiene anche una minaccia e una sfida. «Fra coloro che mi ascoltano», sottintende, «c’è il nemico. Egli sa che parlo a lui e che lo combatterò».(Zoja, 2011; 25, 26)

Il paranoico ha ben chiaro, in conclusione, il sentiero da percorrere, e può cominciare a percorrerlo con una certa lentezza. Tuttavia, abbiamo già visto come egli consideri il tempo uno dei suoi nemici: ha fretta e, guarda caso, il sentiero che decide di percorrere non è mai in piano, ma inclinato. Prima o poi la sua pendenza diverrà tale che egli, rigido e fragile al contempo, non potrà più controllare il suo passo, mutato in corsa e, infine, in caduta libera. Il paranoico, anti-autocritico, «logico e impossibile, coerente e contraddittorio, umano e disumano» (Zoja, 2011; 28), precipita lungo la strada imboccata più o meno consapevolmente, con la sua maschera da personaggio tragico, «che però non copre il volto di un eroe, ma quello di un essere radicalmente insicuro, che inganna anche se stesso» (Zoja, 2011; 28).

 

Bibliografia

  • Sofocle, Aiace, Venezia, Marsilio, 1999
  • Luigi Zoja, Paranoia. La follia che fa la storia, Torino, Bollati Boringhieri, 2011

 

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1 commento

  1. L’incapacità di ridere è il più antico indicatore di paranoia. La capacità di farlo è la più istintiva difesa contro questo male: non per niente è un tradizionale strumento di difesa per un popolo vittima di attacchi paranoici, quello ebraico.

    Che significa questa stringa?
    Gli ebrei sono vittime di attacchi paranoici endogeni, allucinano cioe avversione e complotti da parte dei goyim
    o significa invece che sono vittime di attacchi da parte dei goyim circostanti, che allucinano complotti ebraici
    ?

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Ornella Tajani insegna Lingua e traduzione francese all'Università per Stranieri di Siena. Si occupa prevalentemente di studi di traduzione e di letteratura francese del XX secolo. È autrice dei libri Tradurre il pastiche (Mucchi, 2018) e Après Berman. Des études de cas pour une critique des traductions littéraires (ETS, 2021). Ha tradotto, fra vari autori, le Opere di Rimbaud per Marsilio (2019), e curato i volumi: Il battello ebbro (Mucchi, 2019); L'aquila a due teste di Jean Cocteau (Marchese 2011 - premio di traduzione Monselice "Leone Traverso" 2012); Tiresia di Marcel Jouhandeau (Marchese 2013). Oltre alle pubblicazioni abituali, per Nazione Indiana cura la rubrica Mots-clés, aperta ai contributi di lettori e lettrici.
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