i poeti appartati: Ernesto Rascato
Poesie
di
Ernesto Rascato
Rho dicembre 1969.
Papà tornò a casa dicendo:
“Marì….hanno arrestato un mio collega
di Porta Garibaldi…
per la bomba dell’altro giorno….”
A scuola giravano
giornali e notizie.
Un profondo rancore
serbato per anni
era esploso
come lucida follia.
Come con l’Arno a Firenze
qualche anno prima
una piena
pareva aver raggiunto
e sommerso Milano.
#
Il padroncino.
Cocciuto li difendeva i suoi neri
dai giovani plebei
disoccupati in sosta
alla sala giochi.
Lavoravano
eccome se lavoravano
dal chiaro alle nove di sera.
Lo facessero loro
in quegli umidi stanzoni
dell’ex-fabbrichetta
in quel vicolo morto.
Mezzora persa per mangiare
un tozzo di pane
senza carne di maiale
La sua famiglia
stretta dalla crisi
alzava ancora il naso
a passeggio la domenica
che gli esattori riposavano.
Santi quei neri uomini
senza carte
che faticavano svelti e muti.
Clandestini
in quel buco nero
che tutti conoscevano
l’avrebbero portato fuori
dal tunnel.
Si sarebbero sposati
così anche i nipoti
che grandi diventavano.
#
Piccola città
Tra la via Appia
e la via Campana
Aversa non è un’isola
di cento chiese.
Amabile all’alba.
Città tarda,
immobile e indolente,
sorda e chiacchiericcia
che sconta pene antiche.
Città invisibile di Calvino,
città dei silenzi,
città distratta
città alla deriva di Tsirkas,
città dei cani di Llosa
e di sciacalli,
nocchiera e città cocchiera.
Bottegaia città dei pazzi.
Città in debito e d’anarchici.
Infedele e losca,
città in ginocchio.
Città rasa al suolo e vessata.
Città nubile e umiliata
e dal coito interrotto.
Città dal ventre molle
e aggregato di pietre e malta,
città sconnessa
e di fossi malcelati.
Dalle mille bocche scucite,
ostinata e ostentata e omissiva,
con afflati minimi.
Città degli odori.
ti salvi nei vicoli
e negli ingombri cortili.
Città di pirati e Pilati.
Città di amori sotto gli archi dei portoni.
Città di veleni, di salotti e logge,
ma anche di riti di passaggio.
Città medusa
evanescente e urticante,
città degli addii.
Buia città di tufo
e stucchi cadenti.
Città di preti,
nepotisti e pastori.
Città agra
e città a scacchiera
dove folli
a lato
di roghi di libri
accanto a falò
d’inizio d’anno,
vi cercano,
resistenti,
la speranza,
sotto i gridii beffardi
delle taccole
nei giardini
ormai
spariti
#
Agro liternese.
L’ostia arancio
affoga
nel nero
degli stagni
dei Mazzoni,
agro di veleni
e di faide
e malavita.
Le nevi
del Molise
scrutano
i pianori
da lontano.
Mani diacce
strizzano
mammelle
per latte grasso
di formaggi molli.
Visi severi
seguono
la caccia perpetua
di folaghe
e mallardi
e rospi
e serpi
mirando
le alte vigne
dell’Asprinio
acre e povero
come le contrade
di Terra di Lavoro.
I pioppi
disperati
in file
a tendersi
braccia
e filari
l’un l’altro
complici
d’azioni estreme
dall’inizio
dei mondi..
Questa
è la mia terra
dove
il diavolo lasciò
i figli
a disputarsi
il pane
e le ricchezze.
Luogo
dove da tempo
parto
senza valigie
per viaggiare
leggero e veloce
per recuperare
il tempo perso
nelle guerre
piccole.
Ostia rossa
mangiata
dai confini
dell’orizzonte,
terra cruda
e spostata.
Persa
nelle pozze
del Volturno
scavate dalle ere
rifugio di cicogne.
#
Gerani.
E i gerani sui balconi
stentano a crescere
nella striscia
di spiaggia di Gaza,
sul terrazzo
dell’edificio occupato
nel cuore di Berlino,
nelle pozze d’acqua oleose
di Bagdad City
dove l’alba
tossica d’uranio
riapre pagine
di ricordi
di quando si sciamava
ai lati dei carrugi,
delle calli,
nei quartieri a ringhiera,
la Sanità,
le Vallette
e la Vucciria,
case nostre,
nostra gente
a cui denunciavamo
le guerre
senza cedere
i nostri sogni
a nessuno.
Le immagini sono tratte dalla collezione La vite maritata al pioppo di Salvatore Di Vilio
I commenti a questo post sono chiusi
poesie sussurrate e per questo magicamente potenti….come l’autore e la bellezza (nascosta) della sua terra
Poesia appartata negli angoli meno chiassosi del web, dei luoghi d’incontro letterari e della vita quotidiana, poesia non urlata, in punta di fioretto; e proprio per questo il suo passo dal respiro elegante e delicato, che trasuda di lucida critica del reale, risuona dell’eco potente del “sogno di una cosa”, dell’invito alla lotta e all’immaginazione, con echi di Esenin, come con Majakowski e come i bei poeti nostri degli anni Cinquanta e Sessanta, Luzi Caproni Roversi e un po’ di Pasolini. Complimenti a Ernesto Rascato. E’ ora di uscire dalle cripte e di stare sul….mercato :)
come immagini semplici [ nell’ accezione realista e limpida ] possano rendersi reporters non solo poetici ma importanti e generatrici di notizie dalla realtà.
bellezza poetica efficace a mia personale lettura.
complimenti.
paola