Tutti i ragni 5 – Ragni sulla tela
di Vanni Santoni
Durante i primi anni di università mi trovo al centro di un’attività sessuale che, paragonata alle secche degli anni del liceo, mi appare considerevole al punto di dare luogo a fenomeni di maldestra vanità. Uno di essi è prendere il sole in giardino – si capisce che tali gesti sono resi possibili anche dalla disponibilità di tempo libero offerta dalla condizione di studente universitario, condizione che non molto tempo dopo si sarebbe tramutata in quella di cittadino che parte militare.
Fatto sta che passo molte domeniche d’estate in mutande, in giardino – o meglio nell’orto, essendoci solo un melo, due piante di zucca e un cespo di rosmarino. È un periodo felice nel quale l’Italia sta scoprendo i fumetti giapponesi, e quelli americani stanno vivendo una piccola, nuova, età dell’oro, e nel quale è dunque facile tornare dall’edicola con un paio di albi nuovi ogni giorno. Mi sorprende vedere quanto poco nuoccia alla mia attività sessuale coltivare passioni quali i giochi di ruolo e i fumetti, e del resto neanche potrei nasconderle dal momento che la camera dove porto le ragazze è un deposito di albi e dadi a venti facce, con quadri alle pareti raffiguranti Wolverine, Lobo, Slaine e alcune guerriere elfiche che mi sono fatto fare alla mostra di Lucca da un disegnatore della TSR.
Oltre dunque alla lettura di Slam Dunk, Sandman, JoJo, Hellblazer, Ken il guerriero, Savage Dragon, Dragon Ball, Marshall Law, Ushio e Tora, Swamp Thing, Dr.Slump & Arale, Spawn, Ranma 1/2, Preacher, Berserk, Judge Dredd, Maison Ikkoku, in quei vani pomeriggi al sole il mio passatempo principale è la pesca alle formiche. Allungo una mano dalla sdraio, ne pesco una da terra e la scaglio su una tela, in mezzo alla quale regna un ragno crociato, il classico ragno da giardino. Su tre formiche che lancio, una manca la tela, una la fora e una la prende nel modo giusto, ci si impiglia, sgambetta, la fa ondeggiare finché il ragno ha un primo scatto, uno iato, e poi parte, la aggancia, le piazza un paio di morsi, la ferma tra le zampette davanti e la fa vorticare come un fuso mentre le vomita addosso un cavo brillante, finché, terminato il bozzolo, se lo porta nell’angolo che fa da stiva. Una volta ho anche la fortuna di veder finire un’ape sulla tela, e il ragno è molto più cauto ma alla fine si imbozzola pure lei.
La tela nobilita il ragno. Trasforma il predatore dell’oscurità in un ingegnere cristallino, la cui impresa estetica e pitagorica legittima la crudeltà della trappola. Un giorno alla TV sento di una colonia di ragni di specie diverse, in un luogo degli Stati Uniti chiamato Tawakoni, che hanno realizzato una tela comune per migliorare le prestazioni di caccia di tutti. La tela conferisce qualità sociali al ragno, addirittura. Nel mio vecchio libro, che ancora a volte mi scopro a sfogliare, si parla tra gli altri del golden orb spider, un ragno australiano la cui tela è tanto solida da catturare anche gli uccelli. Tale mostro mi è sempre apparso come una creatura di grande nobiltà.
Il ragno sulla tela non turba, rilassa. Il suo campo d’azione è circoscritto, ed esclude l’osservatore. Definire le potenzialità del ragno non è più compito deputato alla fantasia, col suo continuo dar vita a salti, morsi, discese lungo la schiena, impigliamenti tra i capelli, ma è qualcosa di effettuabile per via sperimentale. Il ragno sta lì in mezzo e imbozzola quello che arriva sulla tela. Altro non fa: è scientifico.
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L’estate successiva, fresco di congedo e del tutto privo di idee su come debba essere il mio futuro, mi trovo in una città portuale del nord Europa, nella cui periferia si è svolta una festa techno. È mattina inoltrata e stiamo aspettando un autobus. Neanche sappiamo se la fermata, posta lì, in mezzo a una sterminata, piatta zona industriale, sia attiva o meno. Una delle ragazze che è con me, un’olandese di Eindhoven scossa da una costante frenesia, piazza le mani sul tetto della fermata e con uno strappo si porta sopra. Con la mano sulla fronte scruta l’orizzonte. Le vado dietro, ma appena comincio a tirarmi su, mentre contraggo le braccia e i dorsali e ruoto il bacino per sedermi accanto a lei, noto un tozzo cono di tela che ospita un ragno nero delle dimensioni di una moneta; ne noto due, tre, dieci. Mentre mi tiro su realizzo che quella fermata solitaria è infestata da una moltitudine di ragni, e che esistono delle persone, come la mia amica lì sopra, per le quali la vista di un ragno, o di una moltitudine, è un fatto irrilevante, come per me vedere un brulicare di formiche, e realizzo anche quanta della mia attenzione sia in ogni momento dedicata a percepire ragni, ma ormai è troppo tardi per fermare un movimento che è un singolo strappo: mi ritrovo seduto sul tetto infestato con le gambe penzoloni, e mentre l’olandese mi abbraccia mi rendo conto che nell’angolo formato tra la barra squadrata di metallo alla quale mi sono aggrappato e dove ho posato il culo, e la lastra di plexiglas che fa da tetto, pure ci sono decine di quelle tane di tela, ognuna un ragno (alcune due). Se non altro hanno la tela, penso, ma sono più tane che tele da caccia. Mi sollevo in piedi sulla barra. Il tetto ondeggia. La mia amica si gira una sigaretta. L’altra nostra amica, da sotto – possibile che lei pure non abbia visto, non veda i ragni? – dice che se faccio così farò crollare tutto. La scusa è buona. Mi abbasso e mi appendo, gli occhi chiusi, a un segmento di barra privo di tele; da lì mi calo giù. La fermata ondeggia, un paio di ragni cadono a terra, come in King of Dragons e poi zampettano veloci verso le pareti della fermata e da lì di nuovo sopra, mentre con la scusa del sudore mi tolgo la maglia e controllo la presenza di bestie su per la mia schiena e l’olandese in coffa grida l’arrivo di un autobus, anzi no, grida ancora, ha scritto sopra deposito.
[V – continua]
[…] altresì la pubblicazione su Nazione indiana della quinta parte di Tutti i ragni, e due appuntamenti fiorentini: domani (giovedì 14 aprile) h18:30, alle Murate, io e […]