les nouveaux réalistes: Attilio del Giudice
Dal profondo della notte
di
Attilio del Giudice
Miriam Celestini si è laureata il mese scorso, brillantemente. E’ stata sempre brava a scuola ed è l’orgoglio dei genitori, una ragazza seria, che non ha mai avuto grilli per la testa. E’ gentile con tutti ed è generosa con le amiche che l’adorano.
Miriam è scomparsa. Forse è stata rapita. In casa aspettano la richiesta di un riscatto. Il padre ha fatto un appello in televisione, non ha saputo trattenere le lacrime. La madre non sta bene, è stata ricoverata. Ieri è arrivata una lettera dalla Germania: “Cari genitori, lasciatemi libera. L’Italia è un paese che non posso amare. Non posso viverci. Quando mi sarò sistemata, vi farò sapere dove mi potrete raggiungere. Restate tranquilli! Vi amo. Miriam”
Certo la grafia era sua, ma non era credibile che avesse preso una decisione così importante da sola, senza parlarne alla madre, senza un motivo grave, un motivo plausibile.
No, certamente Miriam era stata costretta a scrivere la lettera. Si poteva desumere che era viva, questo sì, ma non si poteva escludere che l’avessero rapita per il mercato delle ragazze, un mercato che si stava espandendo a macchia d’olio negli ultimi mesi, e di cui si parlava ogni giorno nei telegiornali.
Leggevo queste notizie sulla cronaca del Messaggero, mentre ero nella metropolitana linea b, diretto alla stazione Euro Magliana, dove mi sarei incontrato con un tale per l’acquisto di un’ auto tedesca di seconda mano. Però ero informato della scomparsa di Miriam, che conosco da quando è nata, essendo un amico della famiglia Celestini da molti anni.
Sono sceso, mi sono guardato intorno. Un giovane alto, biondino, si è avvicinato e mi ha chiesto se ero quello della macchina.
“ Si, come ha fatto a capirlo?”
“ Non ne ero sicuro, ma ho visto che cercava qualcuno…”
“Dalla voce al telefono non la facevo così giovane.”
“ No, infatti al telefono non ero io, era mio cugino, che… è più anziano.”
“ Ah, ecco. E ora devo parlare con lui?”
“ Sì, l’accompagno. Sta un po’ fuori mano, ma ho la macchina. Venga!”
Aveva un suv straniero, enorme. Durante il percorso gli ho chiesto come mai non fosse venuto lui, il cugino, direttamente. Al telefono aveva detto:”ci vediamo alla stazione della metropolitana.”
“Non ha voluto dare tante spiegazioni. Lui non si può muovere facilmente, sta su una sedia a rotelle.”
“Ah, questo mi dispiace. E la Mercedes non è sua?”
“ No, no, è sua, solo che la guidiamo noi. Io o mio fratello.”
”Ho capito. Lei pensa che mi possa venire un altro po’ incontro col prezzo? Vede, pago in contanti e se le condizioni della macchina sono quelle descritte al telefono, la ritiro subito.”
“Magari una parola ce la metto, poi, lei mi fa un regalino”
“D’accordo. Facciamo così: su ogni 100 euro di risparmio che riesce a ottenere, le darò il dieci per cento.”
“ Facciamo il venti!”
“ Va bene, affare fatto.”
Siamo arrivati praticamente in aperta campagna tra catapecchie e tuguri da terzo mondo, di cui nessuno amministratore potrebbe giustificarne l’esistenza nella capitale. Ha fermato il SUV davanti a un capannone in mezzo ad alberi bruciati da un incendio recente, che sembrava aver colpito tutto il montarozzo, e ha detto. “Mio cugino sta qua. Scendiamo!”
Entrando nel capannone, quello che più dava nell’occhio era la sporcizia. Si capiva che ci dormivano, infatti c’erano tre brandine e ci cucinavano anche, lo si desumeva dai fornelli luridi, dalle pendole nello sciacquone e dai piatti sporchi e, soprattutto, dal fatto che si avvertiva un fetore di cibarie andate a male. Istintivamente stavo per fare marcia indietro e chiedere al biondino che mi riportasse dove mi aveva trovato.
Non si vedeva più il cugino e fuori il capannone non avevo notato nessuna Mercedes, solo, mi pare, una vecchia Bravo arrugginita, senza ruote.
Ma da una specie di sgabuzzino, che doveva essere il cesso, uscì con la sedia a rotelle un uomo deforme in maniera vistosa , con un braccio anchilosato e il naso orribile, come fosse stato rosicchiato fino all’osso da un animale.
“ L’aspettavamo. Lei è quello che vuole acquistare la Mercedes? L’ho mandata al lavaggio, la vedrà fra pochi minuti. S’accomodi, prego!”
C’erano tre sedie dietro un tavolo, due mi sembravano impraticabili, una terza dava più affidamento. Mi sono seduto, con i muscoli tesi, pensando che dovevo lasciare quel luogo il più presto possibile.
“ Forse – ho detto – sono stato troppo precipitoso. Forse è meglio che ci rifletta ancora un po’ e quando ho deciso, mi faccio sentire io. La ringrazio e mi scuso se…”
“ Per carità, prima di decidere bisogna pensarci bene!”
Il Biondino, che era improvvisamente ritornato, è intervenuto col fare di chi vuole mettere le cose in ordine: “Paride, il signore qua, vuole risparmiare almeno 200 euro. Se si può fare, paga subito.”
“200 euro non sono pochi, però, se paga alla consegna in contanti, facciamo uno strappo e l’accontentiamo.”
“No, guardi, io, in questo momento, prescindo dal risparmio, voglio pensarci. Abbia pazienza! Devo andare.” Mi sono alzato e sono andato quasi di corsa verso la porta. Appena ho aperto la porta, davanti a me c’era Miriam.
“ Miriam, che fai? Com’è che ti trovi qui? I Tuoi ti cercano disperatamente!”
“ Sta’ zitto! Io sono la Mercedes. Comprami e portami via!”
“ Miriam, fammi capire, come sarebbe che sei una Mercedes?”
“Non perdere tempo se mi vuoi salvare, comprami! Fai presto ti prego! Ti prego! Vai, vai dentro! Paga quello che ti chiedono!”
Sono rientrato e ho detto:“Ho visto la Mercedes. Va bene, la compro. Quanto devo pagare?”
“Quello che s’era concordato: dieci mila euro, meno i 200 che vuole risparmiare.”
Ho tirato fuori dal borsello il danaro e ho messo i dieci mila euro sul tavolo. “Ecco il danaro. I duecento, se li tenga, li dia al biondino!”
Ho aperto la porta e sono uscito sulla strada. Miriam era scomparsa.
Allora l’ho chiamata: “ Miriam, Miriam, dove sei? Miriam rispondi!”
L’avevano fatta sparire. Sono rientrato e ho gridato: “Dove l’avete nascosta?”
“Che cosa, signore?”
“Miriam, la ragazza! Stava qui fuori un minuto fa, dov’è adesso?”
“ Signore di chi parla? Io le ho venduto una Mercedes, lei ha detto che la ritirava subito.”
“Se non mi dite dove avete nascosto la ragazza, io vi denuncio, delinquenti, delinquenti assassini!”
Ho gridato così forte nel sonno che mi sono svegliato. Mia moglie era già sveglia e aveva ascoltato le mie grida. “Amore, hai avuto un incubo? Che hai sognato? Gridavi come un pazzo: delinquenti, assassini! Che è successo?”
“Dio mio! Si, un incubo terribile”
“Amore, sei tutto sudato, vado a prenderti un asciugamani.”
“ Ma che ore sono?”
“ Sono le cinque e venti”
“ Mi dispiace d’averti svegliata. Gridavo forte?”
“ Si, Amore, gridavi. Ma non ti preoccupare per me. Me lo dici che hai sognato?
“Si, te lo dico, ma prima voglio sapere una cosa: Miriam, quando l’hai vista l’ultima volta?”
“Ieri sera.”
“ Dove l’hai vista?”
“ Amore, ma che ti viene in mente? L’ho vista nel supermercato, questo sotto casa. Abbiamo parlato e siamo uscite insieme.”
“ E tu l’hai vista entrare nel portone di casa?”
“ Amo’, ma ti senti bene? Si, l’ho vista entrare. Non capisco dove vuoi andare a parare!”
“ Ascolta, fammi un favore, devo togliermi questo pensiero: Telefona ai Celestini e chiedi che tutto sia a posto.”
“ Ma tu sei pazzo? Telefono alle cinque e mezzo del mattino, per chiedere se sta tutto a posto? Sta tutto a posto da voi? Perché da noi mio marito non sta a posto con la testa…Amore, dai! Vuoi che ti prepari una tisana?.”
“No, no. solo un bicchiere d’acqua”.
Ero turbato. Non avevo mai fatto un sogno così preciso, così narrativo, con le sequenze concatenate come in un film. L’aria era pesante, l’afa già insopportabile. Andai in veranda per respirare meglio. La città lentamente si metteva in moto. Rivedevo tutte le scene del sogno e rivivevo il malessere, la nausea, quell’individuo mostruoso, la rabbia.
Alle nove chiamò al telefono la signora Celestini. “Come stai Antonia? Ti sei ripresa?”
“ Sto bene, in che senso mi sono ripresa?” – disse mia moglie.
“ Ieri Miriam ha detto che veniva da te per dare una mano, che avevi la febbre alta, che forse si sarebbe trattenuta a dormire da te. Ora che fa, dorme ancora? Se è sveglia, me la chiami?”
Allora la realtà coincideva con il sogno? Con quell’incubo atroce?
Antonia mi guardava spaventata. Non riusciva a parlare. Cercai di introdurre nel caos di emozioni e nella sensazione di essere preda di un mistero, qualche pensiero razionale, per esempio, non si poteva escludere un elemento statistico, vale a dire la probabilità, una su dieci mila, che le due realtà, quella della vita e quella del sogno avessero lo stesso tessuto narrativo.
Devo dire, però, che, per quanto mi sforzassi di introdurre questa idea, mi sembrava che la mente non la potesse accettare come balsamo a un dolore che ci coinvolgeva enormemente.
E se mi servissi del sogno per collaborare con la Polizia? Potrei descrivere con dovizia di particolari il luogo dove era stato commesso il crimine, dove, forse, tenevano prigioniera la ragazza,
dove le persone, forse, venivano vendute come auto usate. Ma il sogno, che mi era apparso lucido, dove le sequenze mi erano sembrate consequenziali le une alle altre in un racconto di tipo cinematografico, ora mi appariva pieno di contraddizioni e in un’aura surreale propria di oscuri fenomeni onirici. Come avrei potuto farlo accettare dalla polizia quale testimonianza inconfutabile, senza destare dubbi e perplessità?. Io stesso potevo essere sospettato di complicità, di voler depistare le indagini, quale connivente della criminalità. No, non avevo alcun supporto razionale, non potevo parlarne.
Tre giorni dopo, nella campagna romana, vicino Santa Marinella, quindi in un luogo lontano da quello del mio sogno, due donne, mentre raccoglievano la cicoria selvatica, trovarono il corpo di Mirian.
Le analisi della Polizia scientifica evidenziarono che la ragazza era stata oggetto di gravi violenze fisiche e abusi sessuali da parte di più persone e che la morte non l’aveva raggiunta in quel luogo dove l’avevano trovata le due donne, ma era avvenuta due o tre giorni prima in un altro posto.
Di tanto in tanto vado col pensiero a quell’incubo maledetto e, nell’inquietudine che si rinnova puntualmente, non posso evitare di interrogarmi sulla materia dei sogni e sui loro misteriosi messaggi.
I commenti a questo post sono chiusi
La tensione del lettore nella parte sognante è molto alta. Ci si scarica improvvisamente al risveglio del protagonista. Come in altri tuoi racconti,successivamente la realtà diventa surreale.Comunque non vorrei essere mai nei tuoi sogni.
Si dice sempre che i sogni fatti all’alba, sono quelli che si realizzano sempre. Quindi più che sogni potremmo chiamarli premonizioni e la terribile fine di Miriam lo conferma.
Un racconto con dei buoni coup de théâtre, prima il sogno e non la realtà, successivamente la realtà che, purtroppo non è più un sogno.
I colpi di scena sono sicuramenti intriganti e creno quella suspense che genera ansia e apprensione, il che rende il racconto ancora più coinvolgente ed interessante.
Bravissimo l’autore oltre che per la trama, anche per la forma scorrevole, chiara e accattivante.
Bel racconto, ben strutturato, ben narrato, che si legge con piacere e con grande interesse.
Si tratta di un sogno, anzi di un brutto incubo, che l’io narrante ci propone con una certa sofferenza, per l’incredibile riscontro da lui sperimentato, alla fine del racconto, nella realtà.
Sembra che i sogni siano messaggi provenienti dal nostro inconscio che ci giungono per immagini e, quindi, narrandoci dell’incubo spaventoso e angosciante, il sognatore ci confessa inconsapevolmente le sue nascoste emozioni e la sua aggressività.
Miriam, la sua vicina, brava a scuola, seria, gentile è scomparsa, e si teme che sia stata vittima di un rapimento; il sogno, sotto l’aspetto d’incubo, ci rivela invece e ci mostra la ragazza come merce di scambio,
come essere umano da stuprare, da vendere, da uccidere, rivelandosi alla fine una premonizione diventata realtà.
La metafora è evidente; il racconto avvince e suscita grande partecipazione emotiva.
Sogno e realtà non hanno più un confine, s’intersecano si avviluppano e sconvolgono il lettore. Domande affiorano spontanee, cos’è accaduto a Miriam, anche se è stato solo un brutto sogno? In realtà, Miriam è stata rapita e il suo corpo stuprato viene trovato dopo qualche giorno… L’incubo vissuto nel sogno si è fatto reale oppure la mente ha navigato nel torbido anche ad occhi aperti?
Resta, nel lettore, il dubbio che si possano manipolare i sogni fino a trasformarli accadimenti del reale.Quando di reale c’è solo la paura e l’ansia, mali dei nostri giorni…
Complimenti,Attilio…
d’un fiato come al solito con i racconti di Attilio. Ottimamente strutturato ti aggancia e ti lascia solo quasi “tramortito” ne vieni fuori tra sogno e realtà ma con la convinzione che questo intreccio si porti dietro più di una realtà e più di tante menzogne.
Il racconto piano piano avvince il lettore e lo coinvolge emotivamente. Si articola in due momenti. Il primo racconta di un normale, tranquillo viaggio per l’acquisto di una macchina.Ecco poi all’improvviso sensazioni prima di fastidio, poi di sofferenza e di paura, che rendono il ritmo movimentato. Il protagonista sta vivendo un sogno.
Nel secondo momento la realtà irrompe in tutta la sua drammaticità:il narratore sconvolto si tormenta e si arrovella inutilmente alla ricerca di una spiegazione di quello stano sogno premonitore. Molto piacevole la lettura di questo come di altri racconti dello stesso autore per la modernità dello stile narrativo.
Il racconto ti prende? Per quanto dura ti senti immerso in esso? L’ha scritto uno scrittore che conosce questo duro mestiere. Così accade con ” Dal profondo della notte” ,,.
Racconto ricco di suspense e di colpi di scena, in cui la realtà si mescola col sogno angosciante del protagonista; un incubo che diventa sogno premonitore. Ed è proprio la premonizione che pone l’interrogativo finale del racconto: è giusto, pur senza basi scientifiche, che avvalorino i sogni premonitori, fatti da persone diverse, quasi con telepatia, dare importanza a questo tipo di sogni senza correre il rischio di essere giudicati pazzi? Per questo interrogativo il racconto potrebbe aprire un serio e lungo dibattito sulla sfera spirituale della vita umana.
Prendete una notizia di cronaca, l’acquisto di una macchina usata, due conoscenti, un sogno e la dura realtà. Poi affidate questi elementi nelle sapienti mani di Del Giudice e ne verrà fuori “Dal profondo della notte”, un piccolo capolavoro.
Struttura agile, linguaggio diretto e finale con sorpresa; tre elementi perfetti per un racconto breve e dai risvolti inquietanti: quando il pensiero onirico si fonde con la realtà? Possiamo interpretarlo e trarne vantaggi? Cosa dobbiamo sapere sui sogni e sulle premonizioni? Cosa possiamo classificare come coincidenza?
La forza di un racconto breve è tutta negli spunti di riflessione che trasmette al lettore, nelle domande che resteranno nella sua testa e che lo proietteranno oltre la storia narrata. Del Giudice è uno specialista di questo genere e chi ama la buona letteratura sa che scrivere testi simili non è per nulla facile, lo sapeva bene il compianto G.G. Marquez che affermava: “Scrivere un libro di racconti è molto più difficile che scrivere un romanzo, perché ogni volta che cominci un racconto devi iniziare tutto daccapo”.
Bello, il ritmo veloce fa passare il sogno nella realtà senza scarto, e la realtà ( anche nei racconti) è sempre peggiore.
Il noir e la psicanalisi, il ricercato ed abile intreccio tra realtà e fantasia, gli scorci sul degrado urbano e su quello umano, ma soprattutto il ritmo narrativo, incalzante ma imprevedibile, che ti inchioda alle tue responsabilità di lettore.
Lasciandoti una forte emozione dentro.
Lo stile minimalista, essenziale della scrittura, restituisce un racconto forte ed incisivo.
Bravo, papà.
LA VOCE DEL SOGNO
La dimensione onirica è terra sospesa tra mistero e simboli,così come il suo linguaggio è catalizzatore di emozioni decifranti particolari stati d’animo. E questo prezioso racconto sembra rilevarci tematiche di massimo interesse segnalate efficacemente da un protagonista indiscusso della realtà culturale italiana. Probabilmente ,l’autore vorrebbe inventare un altro scenario ,sperando che il sogno premonitore cui fa riferimento sia un auto inganno ,che possa ricondurlo ad altri risultati inattesi. Ma,nella trama il sogno è premonitore ,perché ha punti di contatto con immagini future e si trasforma in incubo .Il filo conduttore appare l’invito rivolto al lettore di scrutare in profondità la realtà circostante .L’inevitabile smarrimento che ne deriva è decifrato dall’autore facendo leva sulle sue risorse letterarie ,le quali ,rilevando le sue inquietudini realistiche,intendono suggerire il ritrovamento di spazi di responsabilità. Il dubbio sulla veridicità del sogno sembra fornire una direzione di senso e deve essere trasformato in capacità critica .Scansioni della storia e nella veglia e nel sonno sono intrecciate con derive di verità provocatorie. Inarrestabile appare il declino sociale e ,forse ,per non precipitare nel baratro ,una possibilità salvifica da inseguire tenacemente può essere costituita dal compito tassativo che ogni cittadino del mondo universalizzi ogni esperienza costruttiva,allo scopo di comunicarla ,come nel caso specifico Attilio con la pubblicazione anche di questo tipo di narrazione
Silvana Cefarelli
Diceva qualcuno che l’emozione non ha voce. In questo racconto,tra l’altro di vita corrente, purtroppo normale, l’emozione prende tutta l’anima, diventa suspence, pathos …Quello che ti prende leggendolo ti fa provare la stessa sensazione di chi vuole urlare ed il terrore glielo impedisce.Una descrizione affascinante ,coinvolgente.Ed il mistero che forse ognuno di noi ha provato almeno una volta…il mistero di un sogno che, come un viaggio in astrale ,unisce realtà èd irrealtà, premonizione e verità. Molto attuale rende tangibile l’angoscia e la paura, il rifiuto della realtà e la morte.Complimenti Attilio.
Paola Borrelli
Un racconto con un colpo di scena micidiale,che oscilla fra l’esoterico e il noir.
Bella l’invenzione della premonizione onirica,il sogno che diventa realtà.
Un “plot” che si snoda veloce con un linguaggio semplice e immediato.
Alla fine resta una sensazione di angoscia e di arresa all’imponderabile,questa sicuramente voluto dall’autore.
Fantastico, Attilio! Anzi, realistico… Continui a sorprendermi. Dai primissimi anni ’70 mi parlavi di tuoi certi percorsi da Breton a Pierre Restany… Ti restituivano la chiave per ridecifrare tante fantasmizzazioni. La tua fantasia si produceva in caleidoscopi di forme suggestive, in apparente dissidio spesso, capaci di comporsi in squarci che subito traducevi in dipinti, scritti, soggetti filmici e ogni proiezione del mondo fisico. Che diveniva il tuo, del tutto originale. La catarsi si fa stimolo ancora per suggestioni nuove, inaspettate. Vita come trasfigurazione del reale, sempre, inquieto sogno Kafkiano…
In prima linea sempre, la tua suprema ironia e subito insieme il senso incombente della violenza come fato, gratuita e ineluttabile, insita nell’esistenza. La violenza contrasta i valori più intimi e deforma sempre il corso delle cose, le definisce, implacabile, religioso deus immanente. Questo racconto è un capolavoro …oltre la letteratura.
Carlo Riccio.
le voci di dentro e il coraggio di ascoltarle soprattutto quando ti provocano quella insopportabile nausea per noi stessi
Diceva qualcuno che l’emozione non ha voce. In questo racconto,tra l’altro di vita corrente, purtroppo normale, l’emozione prende tutta l’anima, diventa suspence, pathos …Quello che ti prende leggendolo ti fa provare la stessa sensazione di chi vuole urlare ed il terrore glielo impedisce.Una descrizione affascinante ,coinvolgente.Ed il mistero che forse ognuno di noi ha provato almeno una volta…il mistero di un sogno che, come un viaggio in astrale ,unisce realtà èd irrealtà, premonizione e verità. Molto attuale rende tangibile l’angoscia e la paura, il rifiuto della realtà e la morte.Complimenti Attilio.
Grazia Gugliotta 8 aprile 2016 alle 21:30
La voce narrante elabora il dualismo magico tra sogno e realtà . L’ intreccio narrativo sviluppa l’ attuale tematica della violenza sulle donne attraverso l’elaborazione freudiana della teoria dell’inconscio edl sogno come linguaggio..
In tale contesto si delinea una persuasiva sensibilità protettiva nei confronti della dolce ed esemplare Miriam. Tale riscontro si sviluppa attraverso la lacerazione del confine tra sogno e realtà e proietta al fatale epilogo. Ne consegue un abile feedback emozionale che affonda nella costante volontà di protezione nei confronti di chi rappresenta la fragilità umana femminile spesso violata , mercificata è immersa in un destino quasi scontato o predestinato.
Il narratore riesce così a coinvolgere il lettore in modo empatico, durante tutto il percorso, con la voce narrante ed elabora un dramma esistenziale molto ricorrente.
Complimenti Attilio. Ci sentiamo sul gruppo di amici di Zap.
“DAL PROFONDO DELLA NOTTE” di Attilio del Giudice, è racconto che avvince migrando il lettore nei meandri della notte, laddove i sogni osano infinte realtà e le espandono ribaltando senso e logica in seno ai campi dello scibile, della coscienza dell’uomo. Così esistere diviene linea senza frontiere dove contagiarsi di linfa, è sogno nel sogno che si autoinfluenza di vertiginosi palpiti resi da sequenze oniriche come strumento privilegiato per transitare il mare su molecole cromatiche, arcobaleni rarefatti tra gocce di rugiada, mercedes in meravigliose Mercedes e infinito altro… – Sembra talvola, nei sogni, di simulare il vero così intensamente che da svegli si resta assenti alla realtà ed estranei al proprio io – Il tempo assume carettere di transizione che congiunge forma a forma in modo tanto verosimile da negare la finzione alla realtà e viceversa …- Questo l’eccezionale leit motiv che muove emozioni e vibrazioni nel racconto di Attilio, investe la scena di sorprendenti assalti, effetti special e la rende tagliente da far sussultare il lettore come fosse un testimone posto al cospetto di lucenti lame affilate…- E non finisce di sorprendere il serbatoio della metafore che l’autore innesca nell’intrigata trama visionaria. Il racconto infatti è sezionato in molteplici traslati per quanti ne autorizza la polisemica lettura…- Non ultima, quella dell’esigenza umana di amicarsi i sogni fino ad inverarli oltre l’alba come attestazione di bene…- Miriam Celestini, infatti, la protagonista surreale andata in sogno al narratore, si appella a lui per essere salvata … – Dunque il bene non muore! In misesi al sogno, nel silenzio che agita la vita, diviene speranza avanzando il mattino affinchè lo spirito dell’uomo ad esso predestinato, lo preservi dai tentativi di collassarlo e sfinirlo, fecondandolo, ancora di sole… Complimenti vivissimi, Attilio…Con affetto,alfonsina
Racconto strepitoso, immerso in un’ atmosfera di mistero e di attesa. Il sogno è’ premonitore di un fatto futuro e sin da subito si rileva come motore invisibile. La trama è’ accattivante e il racconto struggente, colpisce per l’attualità dell’evento descritto e la voglia di leggere e continuare a leggere è’ rimasta costante, sempre! È’ un capolavoro di suspance , di tensione, sembrava avessi il fiato sul collo dall’inizio della vicenda fino alla risoluzione finale, ahimè così dolorosa. Non so se il mio giudizio risulterà affidabile e obiettivo, però i tuoi racconti non mi deludono mai….miriam è’ ancora nella mia testa….! Complimenti! Maria d’amico-del giudice.
Avvincente, evocativo, di grande atmosfera, un racconto che si legge d’un fiato e ti cattura da subito, il che non è mai cosa facile e denota l’abile vena narrativa dell’autore. Un intrico sogno-realtà, da cui scaturisce una storia di cronaca purtroppo attuale… Angoscioso, ma valido il messaggio proveniente dalla psiche.