Cattivo ragazzo

Leicester(ecco l’ultimo  – speriamo solo per ora – degli Incontri ravvicinati di tutti i tipi. Pronti a partire per Venezia?)

di Alberto Tonti

Il Codice “Della natura, peso e moto delle acque” di Leonardo da Vinci, dopo la morte del suo primo proprietario, lo scultore Guglielmo della Porta, giace in un baule per oltre un secolo dimenticato da tutti. Riappare solo nel 1690, quando le cronache dell’epoca raccontano che il pittore romano Giuseppe Ghezzi lo acquista “con la gran forza dell’oro” per, poi, rivenderlo nel 1717 a Thomas Coke, conte di Leicester, presumibilmente grazie ad altrettanta forza dell’oro.

A distanza di oltre 260 anni nel 1980 viene comprato, per qualche spicciolo in più di 5 milioni di dollari, da Armand Hammer, miliardario americano che, dopo averlo ribattezzato Codex Hammer, se lo porta in California godendoselo sino alla sua morte.

Messo all’asta da Christie’s nel 1994, se lo aggiudica quel poveretto di Bill Gates per 30,8 milioni di dollari, battendo sul filo di lana la Cariplo che, nella candida innocenza che caratterizza le banche di tutto il mondo, è già convinta di essere riuscita nell’impresa di riportare definitivamente il Codice in Italia, sua patria di origine.

Il buon Bill, da quel magnate dal cuore d’oro che è, promette comunque che, prima di portarselo a casa, il Codice (che ribattezza immediatamente Leicester, forse perché gli stava sulle palle Hammer) potrà essere mostrato al pubblico italiano per l’ultima volta, in una grande mostra itinerante.

La parola data si trasforma in realtà dopo meno di un anno: i principali sponsor della mostra sono Microsoft (of course), Cariplo e Poste Italiane, il catalogo è affidato ad Electa-Mondadori e la produzione a Grandi Eventi, il cui direttore artistico è Davide Rampello.

Il mio piccolo studio di Architettura, negli anni, si è specializzato in progettazione di mostre così, con un colpo di fortuna che rasenta il miracolo, viene incredibilmente incaricato del progetto grazie, anche, all’insistenza di Valeria Alemà-Regazzoni, responsabile dell’ufficio stampa e comunicazione di Electa, che convince tutti descrivendo i miei collaboratori e il sottoscritto come dei “veri e propri maghi dell’allestimento”.

Il primo incontro con Mr. Fred Schroeder, newyorkese, PR man di Gates e responsabile di tutta l’operazione, avviene a Palazzo Querini Dubois a Venezia, di proprietà delle Poste Italiane, prima sede prescelta per l’inaugurazione del tour che prevede, in successione, Palazzo Reale a Milano e, infine, l’Accademia Valentino a Roma.

Attorno ad un enorme tavolo, nel bel mezzo di un enorme sala che affaccia su Canal Grande, siedono una ventina di persone in nervosa attesa dell’americano. Dopo circa una mezz’ora i fumatori più accaniti, come me, chiedendo venia, si spostano sul terrazzo per tirare un paio di sane boccate. Appena rientrati veniamo avvertiti che Mr. Schroeder sta salendo le scale.

Lui è un omino alto come Woody Allen, ebreo come Woody Allen, dallo sguardo furbetto e intelligente, appena velato da un paio di grossi occhiali, tipo quelli di Woody Allen.

La riunione tocca tutti i temi possibili al fine di non trascurare nulla che possa, in un secondo momento, essere lasciato al caso.

L’americano è molto attento ai particolari e quando non è d’accordo con qualche proposta usa sempre la stessa frase: “Non credo che Mr. Gates apprezzerebbe”.

Dopo un paio d’ore molto dense si riesce, comunque, a trovare un accordo solo su una parte dell’organizzazione e, prima di passare al resto, fra i fumatori presenti corre uno sguardo fugace, ma inequivocabile, che sta semplicemente a significare “a questo punto, prima di proseguire, ci vorrebbe una sigaretta ”. Ma, con ‘sto rompicoglioni di americano, nessuno si azzarda a proporre una breve pausa.

E’ il rompicoglioni americano che, improvvisamente e con nonchalance, tira fuori dalla tasca della giacca un bel pacchetto di Marlboro rosse domandandoci: “Vi dispiace se fumo?”.

Un grido soffuso ma liberatorio e, addirittura, un accenno di applauso invadono la sala e, al contempo, una decina di mani si affrettano ad estrarre una sigaretta da altrettanti pacchetti. Nel giro di un minuto la principale sala di Palazzo Querini Dubois si trasforma in una sorta di fumeria d’oppio, fra le risate di tutti, comprese quelle di Mr. Schroeder, trasformatosi d’emblée in un vero e proprio Eroe Yankee.

querini

Nel giro di ventiquattro ore scopro che Freddy, ormai lo chiamo così, è un simpaticone che ama l’Italia perché è affascinato da tutto: arte, cultura, clima, cibo, donne e, soprattutto, libertà di fumo. Dopo aver apprezzato il nostro progetto e messo a punto tutti i particolari che servono per la realizzazione della mostra, quando è costretto a ripartire per New York non nasconde la pochissima voglia che ha di ritornare a casa, tanto da confessarmi: “Sono stato bene qui a Venezia con te e tutti gli altri, quest’estate per l’allestimento spero di passare un mese fantastico”.

Alla fine di luglio siamo già tutti sul posto, l’inaugurazione è prevista per il 30 agosto e c’è tanto lavoro da fare. Passiamo le giornate a seguire passo passo la realizzazione dei manufatti che servono per l’esposizione. Abbiamo l’obbligo di inventarci un sistema per permettere ai visitatori di ammirare tutti i fogli del Codice, a turno, solo per cinque minuti ogni mezz’ora: questo è l’accordo imposto dagli specialisti americani assoldati da Gates per salvaguardare, soprattutto dall’esposizione alla luce, il tesoro che ci sta prestando.

La teca, che abbiamo studiato per ciascun foglio, è dotata di una vetrina a prova di proiettile e di un’illuminazione a fibre ottiche ma, ancora, non siamo riusciti a risolvere il problema di come far apparire e poi far sparire il Codice, cioè un sistema semplice che, nei tempi prestabiliti, sposti i fogli, allocati nella parte bassa e buia della teca, fino alla parte alta dotata di vetro e luce.

Poi, una mattina, a Iesolo, dove ha sede la ditta incaricata degli allestimenti, decido di lavare l’auto in una stazione di servizio e, prima di entrare nel tunnel con le enormi spazzole e tutto il resto, il benzinaio mi consiglia di chiudere bene i finestrini e di far rientrare l’antenna della radio. Schiaccio il pulsante e, nello stesso istante in cui il motorino elettrico fa lentamente sparire l’antenna, mi rendo conto di aver trovato la soluzione che cercavamo. Non proprio una tecnologia sofisticata, degna dell’oggetto da esporre, ma funzionale e fin troppo furba, una roba all’italiana insomma, da tenere assolutamente segreta, soprattutto all’amico americano.

Fred arriva a Venezia il 3 agosto, è stravolto dalla tensione e sostiene di aver perso un paio di chili in viaggio dato che è partito portandosi in cabina una piccola valigia, fabbricata all’uopo, contenente tutti i 36 fogli (29×22 cm) del Codice e, girare con 30,8 milioni di dollari, non è stato affatto piacevole anzi come dice lui: “Horrible!”

Per farlo riprendere dallo shock chiedo a Rampello di portarci a cena all’Harris Bar per tre motivi:

  1. Davide, oltre ad essere un assiduo frequentatore, è amico di Arrigo Cipriani al punto che nel vasto menù del locale esiste “l’insalata Rampello”.

  2. Essendo amico usufruisce di uno sconto pari al 70% che, nel caso specifico, vuol dire pagare il conto di una qualsiasi trattoria casereccia.

  3. Si mangia davvero molto bene.

Il tavolo prenotato è al piano superiore, la saletta attigua al bancone del bar, la più ambita, è sold out, un po’ ci dispiace ma chissenefrega.

Fred, dopo aver dormito un paio d’ore in albergo, è molto allegro e, grazie a un paio di Bellini, diventa improvvisamente fresco come una rosa.

Sono seduto con le spalle alla parete di fondo e, avendo la visione completa degli altri tavoli, la mia attenzione viene attratta da una strana coppia: lui è sulla sessantina, lei potrebbe essere sua figlia ma continua a carezzargli la mano fissandolo come si fa solo quando si è perdutamente innamorati.

HopperFreddy” dico.

Si” dice.

Credo che Dennis Hopper sia seduto nel tavolo in fondo…” dico.

Veramente?” dice.

Incredibile!” esclama, dopo essersi accertato che non avessi avuto una visione.

Decidiamo all’unisono che Fred debba scrivere un biglietto per invitarli all’inaugurazione della mostra, spiegando chi siamo e tutto il resto. Lui non si fa pregare e, dopo aver scritto un mezzo romanzo, chiede cortesemente a un cameriere di recapitare il foglietto al destinatario.

Hopper sorpreso, legge, poi ci sorride alzando un calice di vino rosso facendoci segno che ci raggiungerà appena terminata la cena.

Fred non sta più nella pelle, io non ne parliamo, Davide, il grande, non fa una piega, anche perché la classe non è acqua.

Quando il nostro mito ci presenta sua moglie Victoria, sposata da poche settimane, e si accomoda al nostro tavolo, veniamo a sapere che è praticamente in luna di miele e che, comunque, sarebbe felice e onorato di potere essere presente all’inaugurazione della mostra ma, purtroppo, per quella data non sarà più a Venezia.

Fred non si perde d’animo e, da quel bravo pubblic relations man che è, lo invita per il giorno dopo a Palazzo Querini Dubois, dove potrà ammirare il Codice, tenendolo praticamente in mano. Hopper, scioccato dalla proposta, non può far altro che esclamare: “Sarebbe fantastico!”

All’appuntamento, fissato per mezzogiorno, si presenta da solo e, con uno strano giro di parole, ci fa capire che sua moglie, la signora Duffy in Hopper, probabilmente non sa neppure chi sia Leonardo da Vinci, figuriamoci se sa cos’è un Codice e che, quindi, ha preferito andarsene in giro a fare un po’ di shopping.

Seduti nella saletta dove troneggia la cassaforte, quando, col terzo foglio in mano, il ragazzino ribelle di “Gioventù bruciata”, il giovane pistolero di “Sfida all’O.K. Corral”, l’hippy on the road di “Easy Rider”, il fotoreporter di “Apocalypse Now”, il criminale psicopatico di “Velluto Blu”, il bombarolo maniaco di “Speed”, l’interprete di un’altra sessantina di film dove, per lo più, impersona il cattivo di turno, comincia a versare qualche lacrima non crediamo ai nostri occhi e, colti anche noi da una forte e improvvisa emozione, a turno tiriamo fuori i fazzoletti per asciugarci le guance e soffiarci il naso.

Scusatemi” dice Hopper “sono commosso non tanto per i disegni meravigliosi e per questa scrittura incomprensibile, ma per quel piccolo buco attorno al quale ha tracciato il tondo perfetto della luna. Pensare che proprio lui, Leonardo, in un istante preciso di oltre 400 anni fa, abbia bucato la carta col compasso e io abbia potuto ammirare quel forellino mi ha colpito profondamente. Grazie, mi avete fatto un regalo indimenticabile!”

Poi abbraccia tutti, compresa la guardia giurata di turno ed esce felice dal portone principale che dà su San Polo alla ricerca della sua dolce metà che, probabilmente, in quello stesso istante si sta provando una paio di scarpe qualsiasi.

I giorni che ci separano dall’inaugurazione trascorrono veloci, tutto fila via liscio al punto che all’ora di pranzo spesso e volentieri, assieme a Fred e Davide, con la scusa di fare un salto dal falegname o dal vetraio, ci rifugiamo all’Harris Bar, per concederci un pasto che riteniamo, sempre e comunque, di esserci meritati.

Per il 30 agosto tutto è pronto e, nonostante un’improvvisa ed imprevista acqua alta davvero inusuale in estate, le porte del Palazzo si aprono puntuali alle 18.30.

Bill Gates

Affacciati ad uno dei balconi che danno su Canal Grande, assistiamo all’arrivo di Mr. Bill Gates “in person”. Un numero imprecisato di fotografi su motoscafi, barche a remi, gondole e, persino, canotti, affolla lo specchio d’acqua di fronte all’entrata dal canale e, quando lui appare sorridente in piedi sul taxi, sembrano tutti impazziti: “Bill sorridi!”, “Bill guardami!”, “Bill saluta con la mano!”, “Bill manda un bacio!”. Le urla e i flash si sprecano: manco fosse arrivato Robert De Niro o Al Pacino.

Alla fine più sorpreso e confuso che altro saluta tutti, scende dal motoscafo e s’infila, protetto da due guardie del corpo, nel Palazzo dove Fred, molto emozionato, lo accoglie con un’incerta e tremante stretta di mano.

Incaricato di fargli da Cicerone cerco, nel mio inglese imperfetto, di spiegargli tutto ciò che abbiamo progettato per esaltare la presenza del Codice nella sua ultima apparizione in Italia. Lui, senza mai guardarmi in faccia, annuisce spesso, sorride davanti alle postazioni che contengono i fogli, apprezza l’apparizione e la sparizione degli stessi, poi si sofferma davanti a uno dei monitor che contengono una serie di filmati prodotti per l’occasione.

Sfiora il mouse per entrare nel programma, poi ha quell’attimo di perplessità che, con la solita faccia di culo che mi ritrovo, mi basta per chiedergli: “Can I help you?”

Mi guarda come si guarda un povero pirla e con un sorrisetto striminzito scuotendomi l’indice sul muso mi dice: “You are a bad boy!”

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1 commento

  1. Complimenti per il testo assolutamente non paludato (una prova di coraggio..). Gates & Company sono a dir poco….E noi, noi italiani dico io? Farci soffiare a un’asta il famoso codice leonardesco….Che cosa siamo diventati? A che distanza stiamo dal ‘nostro’ mito? Il mito Italia voglio dire. Bravo di nuovo Tonti che e’ stato capace (distacco e ironia….) di una narratio adeguata. Ripeto: bravo.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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