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Momo (Parodia)

di Daniele Ventre

Poi al passare dei mesi, al correre delle stagioni
al declinare dei giorni, compiendosi lune su lune,
Momo rimase in angoscia rinchiuso in un’urna di bronzo:
si accumulavano intanto le carte e cedevano i muri
e ragnatele sui muri tessevano reti di oblio
e arcobaleni dell’ombra. Per Momo era tutto un bilancio
e bofonchiava così sbilanciando l’urna di bronzo:
“Certo che sono di quelli che pensano di risuolare
sempre le scarpe degli altri al meglio e lasciarne anche il segno.
Io non ho dubbi a scavarci cadaveri sotto i giardini
e se le scarpe suolate non creano traccia né impaccio,
io sono qui a risuolarle -e a chiedermi dove ho sbagliato.
Ma rivediamo con ordine il tutto e spulciamoci a modo:
sì lo spulciarsi è di moda –dell’ordine sparso mi rodo.
Non ci considera musa in collegio o anche da sola-
non ci considera voce di Zeus che diffonde la fama-
non ci considera più diceria né grido di strada-
non ci considera più mormorio o sussurro nel chiuso-
non ci considera più rumorio o bisbiglio di bosco-
non ci considera più l’abbaio dei cani la notte-
non ci considera più chiacchierio di vecchie comari
non ci considera più scaracchio o bugia di sipari.
Certo la somma di tutte le parti è diversa dal tutto:
pure il totale di tutte le parti è ridotto a un bel nulla.
Sì, non dovrei compiacermi -però mi compiaccio davvero:
amo altresì superarmi -altre volte no: mi declasso.
Sì, dovrei farne ironia -però di ironie non è tempo:
anche se il dolce sapore del nulla è un ripudio in tripudio:
anche se tutto il valore del mondo è segnato in ribasso.
Certo dovrei compiacermi di vivere da clandestino,
pur acclamato dal clan e pur desistendo al destino.
Pure veniamo al dettaglio. Fra i piccoli rivenditori
barcamenarsi è la norma: la forma è menarci fra noi.
L’arte del buon gossipparo -il termine copia conforme
l’eco di Truman Capote -per me mi ritengo uno speaker-
l’arte del buon gossipparo -che investiga selve già scure
quello che giudica e accetta i panni e li taglia di scure-
l’arte del dissodatore cartografo puericultore,
di immaginario malato che immagina qualche salute,
di coniugato da verbo perché verbigrazia cucino
l’arte di spappola-scroti che è poi la più momica al mondo
l’arte di Asclepio dei gatti e silvicoltore per ratti
(da involontario volente volutosi senza volerlo)
l’arte di ogni arte artefatta per artificiosi artigiani
sempre si mescola all’arte auto-imbonitrice di araldo
della mia propria virtù, per cui di umiltà mi rivesto
e seppellisco superbia -e mi do da fare e da dire
anche col mare di mezzo -e non c’è traghetto che passi.
Ecco perché mi rivolsi ai pitici sputa-responsi
e dei responsi sputati qui computo facile il conto:
quattro risposero a Delfi che non si forniva responso-
due mi risposero a Delo che non rispondevano in forse-
uno rispose che aveva lasciato il santuario e le bende-
due mi lodarono molto e ai responsi chiesero tempo-
uno rispose a sfottò “Però le faremo sapere”-
uno rispose annoiato “Oracolo fuori servizio”-
uno rispose seccato “Però le sapremo ridire”-
uno rispose da Cuma “Ci stancano troppi responsi”-
uno rispose a Dodona “Lo sai che non poto più querce”-
uno rispose: “Non sèi gradito e non serve che chiedi”-
uno che mi conosceva e non si degnò di predire-
tre che non mi conoscevano oracoli manco a parlarne-
mi ha trascurato anche Apollo giocando alla palla di Apelle-
mi hanno ignorato anche Asclepio e Igea per igiene mentale.
No, non si sentono muse -ma ne ho risuolate di scarpe,
arte da buon gossipparo -sarà che non merito meno.
Forse le scarpe suolate valevano meno da sole
senza che le risuolasse alcun suolatore dabbene
o ci spendesse responso un pitico -giochi di sponda.
Certo parrebbe che io accrescessi cumuli e mucchi
-troppi- di suole sfondate, che già se ne ammucchiano in tante.
Certo non sono un ingenuo, se all’ingenuità pur mi ingegno,
fosse anche stato un po’ meglio il rivenditore di turno,
fossi una divinità da oroscopi, stelle ed incesti,
forse sarebbe già un altro l’oracolo, altro il responso”
Si lamentava così, Momo attento, il buon gossipparo,
né si sentivano Muse a esaudirgli qualche preghiera.
E ricontava le spese postali agli oracoli vani
e ricontava le spese dei farmaci per digerire
tutta la bile del mondo e tutto il suo mondo di bile
a rimanersene sempre rinchiuso in un’urna di bronzo,
mentre una voce in bachata cantava a sua voglia dal lido:
“La cuentecita que hizo el pobre otra vez ha salido”
(anche se Orlando è finito e non è più questa la sede).

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1 commento

  1. Rotola i dadi (Charles Bukowski)

    Se vuoi provarci,
    fallo fino in fondo.
    Altrimenti non iniziare.
    Se vuoi provarci,
    fallo fino in fondo.
    Ciò potrebbe significare
    perdere ragazze, mogli,
    parenti, lavori
    e forse la tua mente.
    Fallo fino in fondo.
    Potrebbe significare
    non mangiare per 3 o 4 giorni,
    potrebbe significare
    gelare in una panchina nel parco,
    potrebbe voler dire prigione,
    potrebbe voler dire derisione,
    scherno, isolamento.
    L’isolamento è il regalo.
    Tutti gli altri sono
    per te una prova della tua resistenza,
    di quanto realmente desideri farlo.
    E lo farai,
    nonostante il rifiuto
    e le peggiori avversità.
    E sarà meglio di qualsiasi altra cosa
    tu possa immaginare.
    Se vuoi provarci,
    fallo fino in fondo,
    non ci sono altre sensazioni
    come questa.
    Sarai solo con gli dei
    e le notti
    arderanno tra le fiamme.
    Fallo.
    Fallo.
    Fallo.
    Fino in fondo.
    Fino in fondo.
    Guiderai la vita fino alla
    risata perfetta.
    È l’unico buon combattimento che c’è.

    http://195.122.253.112/public/mp3//Metallica/Singles%20&%20EP's/1991%20-%20Nothing%20Else%20Matters/01%20-%20Nothing%20Else%20Matters.mp3

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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