Auto-antologie- 1. Vincenzo Frungillo

di Vincenzo Frungillo

 

Scenografie

Nei tempi, nella ricerca dei tempi

delle battute vitali, essenziali,

nei tempi, anche questi tempi,

vogliono il colpo dei piedi,

l’equilibrio degli sguardi,

la giusta linea nei capelli.

“Capirli tutti gli arresi.” Ripeti, ripeti:

“È nei tempi, anche questi tempi.”

E più t’affini e più ti perdi.

 

Scarna e senza fasto la verità d’una frase.

Ciò che scrivo è il clinamen.

Batte sul quarzo il nome,

batte la variante che segna le distanze.

 

 

Tutti i bersagli hanno colpito nel segno.

Guarda questo sguardo, la pupilla che straripa,

noi siamo ciò che non abbiamo scelto.

Ogni tanto qualcuno, un tempo più lento, assorbito,

mi assicura che per tutto questo ho già deciso.

(da Fanciulli sulla via maestra, Palomar, 2002)

 

 

Ute sa di essere la più brava e s’allena,

senza sosta, tre ore al mattino e tre ore la sera,

il suo corpo cresce, s’adegua alla lena

e muta coi giorni la forma che era

esile e ossuta sotto il biondo pallido della pena

ma non scompare sotto agli occhi la cera

tesa di una bambina che brucia lenta

quando è sola, guarda chi chiacchiera e non s’allena.

 

Ute è severa con quelli che restano a terra

e non capiscono la necessità di una mano a pinna,

chi sotto il petto la resistenza dell’acqua afferra,

lei è severa con se stessa e per questo s’affina

contro l’immota casualità della sua terra.

Si sente aliena ma decisa contro la massa che la mina.

Ute è l’azzurra testimonianza d’una promessa,

il corpo cristallo liquido di campionessa.

 

[…]

Per strada c’è chi parla senza l’eco

che pulsa forte dietro l’orecchio

-“se una parola cade in pubblico è uno spreco”-

puntuale a lei rimprovera il silenzio,

tutti hanno una soluzione per il riverbero

sulla via che porta in fabbrica o in ufficio,

tutti credono ad Honecker che grida a muso duro

“noi siamo l’avvenire del popolo, noi siamo il futuro!”

 

Il dott. Starkino, con il suo ridicolo soprannome,

sotto gli occhi pazienti e le lenti ovali,

sembra il solo che possa capire come

il mondo di Ute è fatto di continue spirali

che nascono dall’incontro del suo nome

con le voci che vengono a metterle le ali,

a fare di ogni suo passo tra la gente un ciglio

“dottore, io solo in acqua trovo un appiglio.”

 

Sentire subito dopo la vergogna sulla bocca

ma di fronte a lui è spontanea la confessione,

lui che con un gesto paterno la testa le tocca

e con la mano le impartisce l’unzione.

L’ostia che nello spogliatoio le imbocca

è il segnale che Ute riguadagna la sua posizione.

Prende il petto il colore del fondale,

prende forma il suo mondo a spirale.

 

[…]

I palazzi contengono i giorni e i giorni e i giorni

di visi di luci di annunci

sullo Strassenbahn registrati di nuche e di ritorni

di stazioni con pilastri e rifiuti (     e tu che non rinunci    )

di serrande abbassate sui negozi di vestiti ed i contorni

di neve sporca (      e tu che pronunci

con gli occhi come unici amici vicini)

“in questa parte di città sono alienati persino i manichini.”

 

(da Ogni cinque bracciate. Poema in cinque canti, Le Lettere, 2009)

 

———


 

Se le donne sono paragonate alle oche,

direzionate negli affetti, portate lontano

dalla faglia di natura che l’ha generate,

allora gli uomini sono come i cani,

addestrati per stimolo e risposta,

e un capo può condizionarli,

guidarli nella discussione,

esacerbarli gli uni contro gli altri,

o tenerli insieme, i maschi,

farli sentire parte di un organismo

senza distinzione – l’azienda,

il mostro senza testa.

Io ho conosciuto tardi i maschi,

durante i miei viaggi;

rapporti fugaci negli studentati,

è successo quando avevo ormai trent’anni.

È allora che ho iniziato a sperimentare,

con un tedesco, all’apparenza

un medico compassato, nel privato

appassionato di bondage e di sado-maso.

Il sesso a quindici anni è un gioco,

a trent’anni è ossessivo come la morte,

dopo i trenta, con l’esperienza,

è la lingua più sincera, l’unica che si adotta.

 

[…]

Il vantaggio di studiare la scienza

è vedere tutto nella sua funzione,

prepararti all’amministrazione,

lasciare la linea d’ombra dell’adolescenza.

Una cosa è importante nelle leggi:

sabotare le costanti,

metterle alla prova,

rinvenire la variante,

ciò che resta pur se cambia.

Nelle cavie da laboratorio

si ripete il sacrificio,

l’innominato destino

di chi sorseggia il vuoto

come se fosse fonte prima.

Per millenni l’hanno fatto i maschi,

io sono stata la prima donna,

questo ha suscitato tanto scalpore,

sono Tatiana che distrugge il suo eroe.

 

[…]

Io volevo trattenere ciò che avevo,

perché nella vita si trovano cose,

e a volte sono buone,

lo si capisce tardi, a quarant’anni suonati,

quando sei troppo vecchia per illuderti

e troppo giovane per rassegnarti.

 

(da Il cane di Pavlov. Resoconto di una perizia, edizioni d’If, 2013)

 


 

 

Meccanica pesante

 

Bisognerebbe scrivere un galateo dei silenzi,

sottolineare che ce ne sono di diversi,

dai più bassi e volgari ai più alti e religiosi,

che i due estremi si toccano, si tengono insieme,

che in questa tangenza rientra ogni nostra forma.

Eppure la nostra natura è fatta di parole,

la nostra natura è tradire, spostare l’ombra,

risanare ogni volta l’assenza che ci forma.

 

In questo meccanismo, se una parte eccede sull’altra,

ci sarà un rumore di fondo come di cinghia

che esce dalla sua puleggia, ci sarà un’eco

per tutta la specie. Capisco allora la sfida

di chi accetta la distonia, perché nel corpo,

ma anche in cielo, nello spazio universo,

all’azione risponde sempre una reazione

contraria e inversa, e si può far finta di non sentire,

 

dissimulare, che non è tradire,

ma il cordone ombelicale della regola prima

non si stacca mai del tutto,

riprende la frustrazione, la malattia,

il fruscio di fondo della macchina,

il suo motore che continua ad andare,

ci unisce gli uni agli altri, anche se con gli anni

ci sentiamo sempre più soli e distanti.

 

Ma tentare,  bisogna tentare,

perché il vuoto valga per ciò che vale,

resti una variante, sia lo sguardo pulsante,

ci distragga per un solo istante, ci porti a fondo,

ci porti a trasformare il tempo in spazio,

in camere e strofe, ci ricordi le parole,

la nostra scommessa finale. Una volta Celan

chiese al maestro l’ultima parola.

 

Heidegger rimase scosso da tanta innocenza.

Ripeto la formula, una semplice equazione:

non si afferra ciò che ci precede.

E allora si pone sulla bilancia la propria vita,

e la propria morte, chi tenga in equilibrio il tutto

non si conosce. La chiamo meccanica pesante

questo stare fermi a guardare il sistema di leve

in cui siamo entrati senza far rumore.

 


 

L’estinzione dell’orso bianco

 

Se queste pietre avessero pietà

per le mie ferite, io avrei ragione,

in quanto animale tra le creature,

perché l’accento che tu noti, il dolore,

 

è solo memoria che si corrompe

e, pensa bene, non vale niente.

Ora il mio modo d’avere voce

è un rantolo che non m’appartiene,

 

che mi distrae dal battito del cuore.

E tu pure, dall’altra parte,

ti rassegnerai alla forza che si sprigiona

 

nel momento estremo della caccia,

alla preda, che non si nasconde,

che si è estinta dalla faccia della terra.

(da Le pause della serie evolutiva, Oédipus edizioni, 2016)

 


 

L’antologia che presento ripercorre il mio percorso poetico a cominciare dal primo libro contenente testi che risalgono all’inizio degli anni novanta. Già allora ero alla ricerca di una poesia che non fosse solipsistica, confessionale. Sentivo l’esigenza di un cambiamento di sguardo sul mondo circostante, un’uscita dall’egotismo che aveva caratterizzato gli anni ottante a novanta del secolo ventesimo. I testi di Scenografie sono un rifacimento della poesia fredda e metricista in voga in quegli anni, si immergono nelle strutture vuote palesate dai versi di autori come Dario Villa o Gabriele Frasca. Il testo che chiude questa micro sezione recita tutti i bersagli hanno colpito nel centro, allude ad un rovesciamento di prospettiva: accogliere voci nuove e nuove storie nella propria. Non tutto il libro però è riuscito nell’intento. Altre letture sarebbero dovute venire, altre esperienze esistenziali e intellettuali perché questo progetto si facesse più chiaro. Con Ogni cinque bracciate. Poema in cinque canti ho creduto trovare la storia che potesse essere allegorica, a suo modo mitica ed esemplare, almeno per i lettori della mia stessa generazione. Si tratta della vicenda della squadra di nuoto femminile della DDR che ha vinto molti ori nelle Olimpiadi di Mosca del 1980. Le sequenze che propongo sono incentrate sulla figura di Ute, la stileliberista della staffetta femminile. Lei, così come le altre nuotatrici dell’ex Germania dell’est, ebbe il corpo minato dal doping di Stato. Sono venuto a conoscenza di questa vicenda solo dopo la caduta del muro di Berlino, verso la fine degli anni novanta ed ho subito pensato che la sospensione delle nuotatrici dell’est, inarrivabili nei record prima della caduta, ma altrettanto sole dopo la caduta, perché corrotte dai farmaci ormonali, potesse alludere alla situazione di un’intera generazione. La gabbia metrica usata è l’ottava, tutta la struttura del testo doveva avere un senso metaforico preciso. Allora il mio non era il partito preso del metricista o del tradizionalista, non mi interessava il riutilizzo della tradizione fine a se stesso, credevo piuttosto che lo strumento metrico potesse potenziare il senso della poesia, veicolare l’intenzione di un testo. L’espediente, in questo caso, è stato assumere la sequenza del 5: i personaggi del libro sulle nuotatrici sono 5 (le 4 staffettiste più il dottore che somministrava le pillole), 5 sono i canti in cui è diviso il testo, 5 sono le sequenze di cui è composto ogni canto, 5 sono le ottave di cui è composta ogni sequenza, 5 sono le bracciate che fa Ute prima di respirare. Il testo doveva essere la simbiotica connessione tra il corpo delle protagoniste e quello dell’autore, il mio fiato era il fiato della nuotatrici. La scelta della voce femminile è stata poi dettata dalla necessità di spostare, mettere in crisi l’io lirico. Allo stesso modo Il cane di Pavlov. Resoconto di una perizia chiama in causa direttamente il lettore-ascoltatore, gli chiede di giudicare un fatto di cronaca. Anche qui la protagonista è una donna. La voce è quella di una segretaria che vive a Milano. Una “ragazza Carla” che ha imparato a gestire i traffici della metropoli e i maschi, conosce il senso delle relazioni alienate e non crede che i rapporti umani siano garantiti da leggi naturali. Per questo motivo sperimenta il sesso con i suoi coetanei così come farebbe Pavlov con i suo cani. Qualcuno ha definito l’est sovietizzato il subconscio collettivo dell’Europa, nell’era dell’economia globalizzata, dell’amministrazioni delle coscienze desideranti, l’inconscio di Martina (questo è il nome della protagonista) agisce come risposta al dettato del tempo. Le quattro fasi dell’esperimento pavloviano vengono riproposti sul corpo di un collega. La sezione finale di questa breve antologia è dedicata ai testi che saranno compresi in Le pause della serie evolutiva. Il titolo è ricavato da una frase di Osip Mandelstam che parla di Lamarck. Il poeta russo afferma che lo scienziato aveva intravisto il vuoto tra le classi e per questo si era ritratto non avendo prove materiali per dimostrarlo. Qui la poesia abbandona in parte la parabola e l’allegoria in versi per dichiarare il senso dell’operazione messa in atto. Il meccanismo riflette su stesso. Il componimento che chiude questa scelta di versi è uno dei tanti che nel mio ultimo libro darà voce alle creature. Il protagonista è l’orso bianco, suo è lo sguardo sul mondo e l’estinzione riguarda la sua specie. La meccanica pesante s’innesca sulla soglia della fine.

(Vincenzo Frungillo)

 


 

Vincenzo Frungillo nasce a Napoli nel 1973. Dopo aver studiato filosofia, letteratura e storia a Napoli, ha vissuto a Freiburg, a Saarbrücken (in Germania) e a Milano dove tutt’ora risiede. In versi ha pubblicato Fanciulli sulla via maestra (Palomar, 2002), Ogni cinque bracciate. Un estratto (finalista premio Delfini, edizioni Galleria Mazzoli, 2007), Ogni cinque bracciate. Poema in cinque canti (con una prefazione di Elio Pagliarani e una postfazione di Milo De Angelis, Le Lettere, 2009), Il cane di Pavlov. Resoconto di una perizia (Premio Russo-Mazzacurati, edizioni d’If, 2013), La disarmata (AA.VV. CFR edizioni, 2014), Le pause della serie evolutiva (Oédipus edizioni, 2016). È presente in diverse antologie di poesia contemporanea tra le quali 7 poeti campani (2007), Poesia dell’inizio del mondo (a cura di Nanni Balestrini, 2008), Il miele del silenzio (a cura di Giancarlo Pontiggia, 2009), Hyle. Selve di poesia (a cura di Gianluca Chierici, con Dvd video contenente interviste e video, 2013), XI Quaderno di Poesia Italiana Contemporanea (a cura di Franco Buffoni,  2012), Registro di poesia # 5 (a cura di Cecilia Bello Minciacchi, finalista Premio Russo-Mazzacurati, 2012). Per il teatro ha scritto Il cane di Pavlov. Un monologo (Premio di drammaturgia Fersen. Ottava edizione, Editoria & Spettacolo) e Spinalonga. Drammaturgia sulla corrruzione. Dai suoi testi sono stati adattati due recital per la voce di Viviana Nicodemo, entrambi presso la Casa della Poesia di Milano. Una sua proposta di poetica è raccolta nei tre saggi Il poema contemporaneo tra bios e storia. (L’Ulisse, Lietocolle, n. 15, pp.131-137), Considerazioni circa una poetica della relazione (Tu se sai dire dillo. Terza edizione, ora in https://www.nazioneindiana.com/2014/12/11/considerazioni-circa-una-poetica-della-relazione/, 2014), Una riflessione su una poetica dello spazio (L’Ulisse, Lietocolle, n. 18, pp.48-50). Ha scritto interventi saggistici su Elio Pagliarani, Milo De Angelis, Paul Celan, Biagio Cepollaro, Giorgio Cesarano, Beppe Fenoglio ed altri. Sulla sua poesia hanno scritto tra gli altri: Andrea Cortellessa, Elio Pagliarani, Milo De Angelis, Giancarlo Pontiggia, Giancarlo Alfano, Giorgio Manganelli, Alberto Bertoni, Alberto Sebastiani, Luciano Mazziotta, Francesco Filia, Luigi Bosco. Suoi versi sono stati tradotti in tedesco e sono in corso di traduzione in lingua inglese-americano. È redattore di Puntocritico, Absoluteville, Carteggi letterari.

 


 

[Auto-antologie è una sorta di rubrica a-periodica che si propone di mostrare una minima documentazione del percorso poetico di alcuni autori. Tale intervento fa seguito a quello dedicato a Francesco Tomada che si può leggere qui. Ai testi poetici fanno seguito una pagina di presentazione e di riflessione del poeta sul proprio lavoro e una scheda bio-bibliografica. Una mia breve lettura del percorso di Vincenzo Frungillo si può trovare qui B.C.]

 

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11 Commenti

  1. Possedevo già i primi tre libri di Enzo, mentre mi procurerò presto Meccanica pesante; di questo antipasto che ho potuto trovare qui, mi resta addosso, dopo la lettura, il freddo di metallo di una sorta di grande macchina, mostruosa quanto perfetta nel suo funzionamento, in cui siamo intrappolati da quando veniamo al mondo: un “sistema di leve” dalle leggi crudeli, dagli ingranaggi inesorabili, che ci mastica senza ingoiarci; il tono epico e’ rimasto, ma stavolta ha scelto a proprio oggetto questo impersonale Moloch senza occhi, che stritola compassione e speranze e di cui ci si ritrova a esser parte senza una ragione e senza esserne stati interpellati circa un nostro consenso; e ognuno è un cingolo delle sue maglie dentate, e al contempo appare diviso da ogni altro soggetto da un universo freddissimo. Siamo così abituati alla voce monotona del suo “motore”, che non siamo piu consapevoli di essere solo pula nella sua macina – ma basta una domanda, uno sguardo capace di relazionarsi in termini distonici col demoniaco congegno, e già una cinghia e’ scappata dalla puleggia, si è gettato il seme che sabota la catena, e quindi un varco di libertà umanamente possibile, o forse di follia…
    Ci sarebbe poi il discorso sulla sapiente gestione della prosodia, il ricco spartito di figure foniche che inanella e scandisce i versi, in parte frutto della consumata perizia provata dall’autore anche nelle opere precedenti, in parte per riprodurre anche nella versificazione il respiro e i palpiti della macchina…

    • Ringrazio Guglielmo per questa precisa lettura. I testi di Meccanica pesante saranno compresi nel libro di prossima uscita Le pause della serie evolutiva.

  2. Il poeta si allena nella luce crude.
    Nella verità metrica.
    Mi piace l’idea di ogni cinque bracciate.
    Mi ricordo il sospetto dell’androgina.
    Leggenda? Sportive potenti. Corpi muscolosi.

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Biagio Cepollaro, nato a Napoli nel 1959, vive a Milano. Esordisce come poeta nel 1984 con Le parole di Eliodora (Forum/Quinta generazione), nel 1993 pubblica Scribeide (Piero Manni ed.) con prefazione di Romano Luperini e Luna persciente (Carlo Mancosu ed.) con prefazione di Guido Guglielmi. Sono gli anni della poetica idiolettale e plurilinguista, del Gruppo 93 e della rivista Baldus . Con Fabrica (Zona ed., 2002), Versi nuovi (Oedipus ed., 2004) e Lavoro da fare (e-book del 2006) la lingua poetica diventa sempre più essenziale aprendosi a una dimensione meditativa della poesia. Questa seconda fase del suo percorso è caratterizzata da pionieristiche attività editoriali in rete che danno vita alle edizioni on line di ristampe di autori come Niccolai, Di Ruscio e di inediti di Amelia Rosselli, a cui si aggiungono le riviste-blog, come Poesia da fare (dal 2003) e Per una Critica futura (2007-2010). Nello stesso periodo si dedica intensamente alla pittura (La materia delle parole, a cura di Elisabetta Longari, Galleria Ostrakon, Milano, 2011), pubblicando libri che raccolgono versi e immagini, come Da strato a strato, prefato da Giovanni Anceschi, La Camera Verde, 2009. Il primo libro di una nuova trilogia poetica, Le qualità, esce presso La Camera Verde nel 2012. E' in corso di pubblicazione il secondo libro, La curva del giorno, presso L'arcolaio editrice. Sito-archivio: www.cepollaro.it Blog dedicato alla poesia dal 2003: www.poesiadafare.wordpress.com Blog dedicato all’arte: http://cepollaroarte.wordpress.com/
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