photomaton
Io lo guardai
Io lo guardai e guardai le tracce dei bambini nel fango, e pensai alle gocce di pioggia ed alle orme d’una certa creatura estinta secoli fa, che i geologi avevano identificato presso una scogliera; e riflettei: se questo fango potesse pietrificarsi in questo momento, e rimanere qui nascosto per diecimila anni, io mi domando se la stirpe di uomini che saranno allora i nostri successori sulla terra sapranno, da questi o da altri segni, usando per quanto possibile la forza dell’intelletto umano, privi dell’aiuto della tradizione, compiere una deduzione così sbalorditiva quale quella che esistesse una raffinata società che tollerava la pubblica selvatichezza di bambini abbandonati a se stessi per le strade della capitale e che andava orgogliosa del suo potere per mare e per terra, senza che mai facesse uso di questo potere per prenderli e trarli in salvo!
Charles Dickens, Il viaggiatore senza scopo
Alan Kurdi, bambino
Vieni, hai la scarpa slacciata, infilati il maglione, farà freddo,
che cos’hai in tasca, dove l’hai raccolto, svuota, via, come ti senti,
guardami negli occhi, la mamma ti vuol bene, Galip, vieni anche tu,
la mamma vi vuol bene, papà è fiero di voi, solo un’ora di mare, di là conosceremo altri bambini, domani dormiremo in un letto nuovo, l’Europa, il Canada, letti più grandi,
ma certo, un sorso d’acqua, bevi, attento a non bagnarti, sei già tutto sporco di sabbia, laviamo le manine,
così, perfetto, ora saliamo
II
È permessa l’immagine.
È permesso vedere l’immagine. È permesso non vedere l’immagine. Dire di non aver visto. Di non aver potuto. Di non aver dovuto. È permesso pubblicare l’immagine. È permesso oscurare l’immagine. Condividere. Dire mi piace. Dire non mi piace.
È permesso parlare di inquadrature. Di discrezione e riserbo. È permesso parlare di immagini.
È permesso rivedere l’immagine a mente. In altri vestitini così gettati. Nella riva più fortunata di un copriletto.
È permesso, davanti all’immagine, dire sì, ma. Rimanere coi piedi piantati nella sabbia. Non muovere un passo. Affondare.
È permesso dimenticare l’immagine. Chiudere gli occhi. Negare. Mentre ancora
quello che nell’immagine accade
(è accaduto, accadrà)
è permesso
III
Lo stato di salute o malattia della cosiddetta fede non è tale per cui
un padre costretto a portare a casa in braccio i tre quarti di quella che era la sua famiglia
un padre precedentemente costretto a portare via da casa per mano la stessa famiglia (moglie e due figli di cui resta una foto scattata sulla poltrona dei giochi al centro esatto di un doppio largo sorriso nonostante la bufera (in abiti non dissimili da quelli che avrebbero presto restituito)
contro l’onda montante della storia) all’ultima spiaggia
(egli stesso accusato di aver rovesciato la barca per)
un padre che ancora prega mentre seppellisce sé stesso assieme a
dicevo, lo stato di conservazione di questa inaspettatamente tenace
fede che intanto a Kobanî è sull’orlo di inghiottire sé stessa una volta per tutte
dicevo, non è tale per cui
requiem aeternam dona eis
dicevo
non lo so cosa stavo dicendo
Guido Cupani, poesie
I commenti a questo post sono chiusi
buon giorno.
la stanza II è la matrice Madre trattandosi di essere umani della I e della III
anche senza il nome del bimbo soprattutto senza il nome del bimbo ma come stanza del bambino ignoto. i versi – confessional – confessano l’ accusa con garbo seminano secretando e rivelando le intenzioni, immagini che sono entrate ed entreranno nell’ immaginario collettivo. la stanza II mi piace come poesia le altre come narrazione estrinseca prosata di questa un po’ meno, che, seppure congrua al contesto suona ridondante leva sui sentimenti. a mia personale e opinabile lettura, naturalmente, di questo solo testo dell’ autore non conoscendo il corpo poetico da lui prodotto nella sua interezza.
un saluto.
paola