La misura dello zero (Bruno Galluccio, Einaudi 2015) – La nostra Albedo
di Claudia Iandolo
La raccolta ha la struttura di un poema articolato in cinque sezioni: Misure, Sfondi, Matematici, Transizioni, Curvature. L’opera, dunque, si riallaccia al genere antichissimo delle Teogonie/Cosmogonie ( Esiodo e ancora prima al poema babilonese Enuma Elish), senza dimenticare i Περί Φύσεως dei filosofi presocratici, i cosiddetti fisici. La Misura dello zero è un’opera unitaria con la quale Galluccio recupera la sintesi tra poesia e scienza, intesa quest’ultima nella sua più vasta accezione di conoscenza, posto che non è possibile discutere della natura dell’uomo e del suo destino se non si discute della natura delle cose (ovvio il riferimento all’unico trattato di questo tipo pervenutoci in lingua latina, il De rerum natura di Lucrezio Caro). Il libro è accattivante fin da titolo, qual è, infatti, la misura dello zero? La parola deriva dal latino zephirum che adatta l’arabo sfr cioè nulla, a sua volta derivato dal sanscrito śūnyá cioè vuoto. Come si possono misurare il nulla e il vuoto? Sembra un gioco di parole, ma è invece una sfida di carattere scientifico, lo zero coincide con il punto zero: lo stato di vuoto o di energia zero è uguale all’energia potenziale del vuoto che non è un vuoto assoluto ma un pieno totale. Esattamente lo stesso concetto di Chaos greco da cui tutto nasce. Anche la differenza tra lo zero in matematica e lo zero in fisica è solo apparente perché in entrambe le discipline la sua scoperta ha aperto all’umanità possibilità insperate: “Contro gli eccessi dei luoghi aperti/ che portano strade di troppe cifre/ si leva l’invenzione dello zero/ sul vuoto finestra quasi ellittica/occasione del niente/ quantità e pura meraviglia/ si pone fermo ad impedire/ ogni tentativo di moltiplicazione/ varco di sbarramento ai naturali/ simbolo da eresia/ pone un numero al vuoto/ una misura”.
Misura è come detto, anche il titolo della prima sezione che si apre con un riferimento al matematico russo Lobacevskij fondatore di una geometria non Euclidea. La misurazione tradizionale, se per misurare intendiamo capire la realtà accertandone razionalmente i limiti, non basta più. Non basta, ad esempio, a circoscrivere il vuoto, che in termini psicologici l’autore definisce come abbandono “oggi sappiamo che il vuoto non esiste”. Ovunque esiste una materia fluttuante in termini di quanti. Né a definire la morte “ La morte non è che ricongiungersi all’infinito”, scrive ancora Galluccio a pagina sette. Ma proprio quando tutto sembra perduto ed ogni verità affidata ad una sorta di navigazione a vista, la specie umana, che dal barocco in poi vive l’angoscia derivante dalla fine dell’antropocentrismo e del geocentrismo, ritrova una centralità (e forse un senso) inaspettati “quando la specie umana sarà estinta/ quell’insieme di sapere accumulato/in voli e smarrimenti/ sarà disperso/ e l’universo non potrà sapere/ di essersi riassunto per un periodo limitato/in una sua minima frazione.” A mano a mano che si procede nella lettura si capisce che la misurazione è innanzitutto un atto di esplorazione del mondo e dunque del sé in relazione con esso. Un atto tradotto sempre e comunque in un alfabeto simbolico, quello del mito prima, della matematica e della fisica poi. Ma fare calcolo, indagare è un processo anch’esso esponenziale, che non avrà mai fine perché ogni volta l’uomo si troverà di fronte “alla dignità dell’incognita”. La poesia che chiude la sezione rimanda per certi aspetti visionari a Leopardi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Dinanzi al mistero dell’universo, della materia e dell’antimateria, di tutto quanto non è possibile cogliere ad occhio nudo, rimane la meraviglia “Così tanta parte dell’esistente si sottrae/ mentre nutre la nostra meraviglia”. La seconda sezione, Sfondi, affronta il tema del tempo e della materia, due argomenti strettamente correlati. Nulla, infatti, più della corrosione materiale denuncia il passare del tempo. Il pensiero occidentale, da Platone in poi, ha proposto il modello di un mondo fisico e corruttibile in antitesi alla morte. Ma oggi sappiamo che è proprio la materia ad essere indistruttibile nonché intelligente: “ poi liberi affrancati/ sottratti a collaborazione ancestrale/ all’obbiettivo sottile si lasceranno/ dimessi migreranno verso altri agglomerati/ oppure tentati come in principio al caos/non più cellule messaggi in DNA cifrati soltanto/ idrogeni ossigeni carbonii.”. La precarietà della vita umana, la sua fragilità consistono nel fatto che il tempo è un eterno presente come si legge a pagina ventinove. Gli sfondi del titolo rimandano, ancora una volta, ad una molteplicità di accezioni: sfondo è ciò che in architettura è pensato per essere riempito, ma sfondo è anche ciò che si percepisce più in lontananza, che appare sfocato. Sfondo è ciò che caratterizza la struttura narrativa di un film, di una recita, di un romanzo. Tutto ciò che tiene in piedi una trama altrimenti destinata a sfaldarsi: “… il filo del racconto diventa un cesello/ per collegare le persone trattenerle/ tenere insieme il tempo”. Lo sfondo è forse ciò che l’occhio umano crea chiamandolo realtà. La terza sezione, Matematici, è dedicata a tre grandi visionari, Pitagora, Galois e Gödel. Il grande filosofo greco è rappresentato mentre immagina la matematica come una lingua per decifrare il mondo: “ Dimostrare è possedere/ una parte di mondo dopo averla osservata/ condividere una regione del linguaggio”…)
Evariste Galois, morto a vent’anni in duello, è il prototipo del genio romantico, incompreso e ribelle, che vive fuori dal tempo, che riesce a vedere dove gli occhi degli altri non arrivano, che parla al futuro.
Kurt Gödel è il genio grazie al quale “indeterminato e indecidibile/ fanno irruzione nel mondo”.
Anche la quarta sezione affronta, a nostro parere, un topos della letteratura occidentale, quello della metamorfosi.
Trans- ire, infatti, significa passare da uno stato o condizione ad un altro, ma anche da un livello energetico ad un altro. Il concetto di natura ondulatoria della materia contiene in sé l’idea del probabilismo, dell’influenza del caso nei fenomeni materiali, di un Dio che, parafrasando una celebre dichiarazione di Einstein, gioca a dadi. La realtà appare in forme che si sottraggono di continuo al nostro tentativo di possederle. L’angoscia è riassunta in uno incipit di rara e straordinaria potenza espressiva “Il presente mi manca”, a pagina settantaquattro. Curvature, l’ultima sezione, rappresenta, senza dubbio, la parte più intimista dell’opera. Il tono si scioglie in un’angoscia trattenuta. Le liriche sono unite da un invisibile fil rouge che è costituito dall’uso del te. È come se il poeta si rivolgesse ad un altro sé o ad un altro da sé, che è possibile incontrare solo nelle curvature spazio-temporali che ogni giorno ci sorprendono, quelle della memoria. Il poeta segue e insegue una sorta di doppio guardandolo a distanza. Anche se il vuoto non esiste in termini fisici e matematici, l’orrore che l’idea di esso genera è evidente (l’horror vacui è ancora un tema topico della letteratura occidentale). La realtà, fatta di fermate all’autobus, di Montaliane coincidenze, si rivela inafferrabile, o “Incredibile e mai creduta”, come scrive il poeta genovese in Satura. Tutte le vite possibili si declinano in una sola, schiacciata dal e nel non senso della gravità, da leggi fisiche che non si superano. Tutto finisce nella frazione di luce che siamo capaci di riflettere. Albedo, la lirica finale, è costituita da quattro frammenti, perché solo alla frammentarietà del dettato è possibile affidare una qualche, seppur fragile, conclusione.
La misura dello zero è un’opera perfetta, nel senso etimologico del termine, un’opera pensata come un trattato filosofico e che come tale deve essere affrontata. La poesia di Galluccio rinnova il lessico e rompe con il “poetichese”, rilanciando il senso di una scrittura in grado di affrontare temi universali.
I commenti a questo post sono chiusi
Una disamina dell’opera di Galluccio che mi aiuta ad approfondirne il senso e il valore, facilitandomi l’accesso a un’opera la cui comprensione profonda richiede grande conoscenza di cultura scientifica (fisica, matematica, filosofica) e letteraria. Ben vengano approfondimenti lineari e fedeli al testo, come questo di Claudia Iandolo.