Anteprima Sud 80: Severino Cesari-Roger Salloch-Gigi Spina
Passage
di
Severino Cesari
Non bella, non brutta, bellissima
la giovane madre non guarda a destra
non guarda a sinistra
guarda soltanto suo figlio
sale dalla strada da via Merulana
che sale con lei nel mattino
sul marciapiede non c’è spazio per altro
avanza veloce la giovane madre
capelli al vento nel sole gli occhi negli occhi
del figlio gli parla agitando le mani
gli parla fitto senza vere parole
lascia per un momento andare da sola
la gigantesca carrozzina blu
mentre spinge innanzi il busto
abbassa il volto parla col suo bambino e ride
con lui gli agita le lunghe mani davanti al viso
in un movimento brevissimo e infinito
lui le risponde
concentrato e ridente
le parla fitto senza vere parole
il bambino ride agita le mani
verso il viso della sua giovane madre
non bella non brutta bellissima
non c’è posto per altro nella strada nella città
che sale con lei con il bambino
la carrozzina blu
è chiusa in una bolla impenetrabile di energia
sono chiusi in una bolla di energia in movimento
che cresce e si nutre di viaMerulana
il loro sguardo ciò che si trasmettono
in questo momento è tutta la vita
è tutta la vita per tutta la vita
nulla può far loro del male
per tutta la vita,
è questo il legame che non lega ma nutre e libera
non guarda a destra non guarda a sinistra
la giovane donna altissima nel sole
non vede nulla
sai che vede ogni minima cosa
nulla le sfugge nulla può farle male
nulla può toccarla
a ogni minimo assalto saprebbe reagire fulminea
a tutto fa fronte è sicura di tutto
si nutre ogni energia assorbe
mentre avanza ignara di tutto vede solo il bambino
occhi negli occhi per sempre legati quegli occhi
tu vedi le fiamme che incendiano l’aria
il miracolo che accade, stamattina l’hai visto
non c’era spazio per altro nella città
Palinodia d’Orfeo
di
Gigi Spina
Non è vero che mi sono voltato indietro. Perché avrei dovuto farlo? Lei è sempre stata davanti a me. Era lei che sapeva dove eravamo diretti. Ed è stata lei a voltarsi indietro. E mi ha detto: ‘Io vado avanti, tu prenditi tutto il tempo che ti serve’. Mi conosceva bene. Sapeva che io non camminavo soltanto. Avevo bisogno di raccontarmi il cammino. Come se non potessi fare a meno, poi, di raccontarlo ad altri, nella sua perfezione e completezza. E quando mi sono detto, una volta, che non volevo più costruire racconti né miti, il viaggio era stato bello, sì, ma fino a un certo punto, poi avevo solo continuato a camminare, con gli occhi rivolti in basso, né avanti né indietro, perché non avevo racconti da ricordare, ma solo oggetti, e luoghi, e animali, e suoni, un passaggio d’ali, una pietra, un ramo spezzato, qualche prato fiorito. ‘Tu prenditi tutto il tempo che ti serve’. E ne è passato di tempo, forse troppo. Ho visto che a poco a poco scompariva all’orizzonte, dietro una curva più marcata. E sono rimasto solo. E sono tornato ai miei racconti. Ai miei racconti di lei, che a poco a poco diventava mito, e perdeva tutta la realtà degli sguardi con cui l’avevo amata. Ho continuato a guardarmi intorno, avanti, indietro, dovunque degli occhi mi rispondessero. Il cammino è stato lungo, forse troppo; ma ce n’è ancora da fare, e non dispero delle mie forze. Ho capito, in tutto questo tempo, che ogni cosa avviene contemporaneamente, ed è un errore sostituire, togliere. Bisogna avere la capacità di aggiungere, di implicare e complicare, quasi di guardare in contemporanea, e nel presente, come nessun occhio o racconto può fare, l’avanti e l’indietro in un solo scatto. E quando, alla fine, capirò anch’io dov’ero diretto, forse non avrò bisogno di riprendere il racconto e di portarlo a una conclusione soddisfacente, al lieto fine sempre in agguato. In quel momento, come in uno specchio, potrò guardare me stesso in rapporto con l’indietro; ma non più, contemporaneamente, guardare in avanti. E sarà quella la morte.