Due estratti da Fabio Greco, «Genti a cartapesta»

mare

 

(A seguire pubblico due estratti da Genti a cartapesta, di Fabio Greco. Il romanzo è stato finalista al Premio Calvino 2014 ed è ancora inedito)

***

PRIMO ESTRATTO

E anzi, girando lo sguardo verso l’orizzonte, verso quel confondersi di mare a cielo e cielo a mare, verso i gabbiani che volteggiavano eleganti, gli parve che dall’isola, anziché la malasorte, gli arrivasse in quel momento una buonasorte anzi una buonissima sorte camuffata da donna, un donnone salentino, donnone inteso per altezza e larghezza, un’erculona tanta, boterosa, con spalle larghe, larghi i fianchi, larghissime cosce e petto assai, che s’appressò alla costa da dietro all’isola delle Pazze. Masello la vide sbucare al remo d’una barchettina mezz’affondata con la linea di galleggiamento a livello sponda, un’eccezione a qualsiasi legge fisica, che c’era da chiedersi come potesse quella barchetta di legno, esile e fradicia, sostenere tutta quella massa senza sprofondare, come potesse non incamerare acqua a ogni beccheggio, a ogni ondata, a ogni movimento di braccio e di spinta di remo, pericolosamente s’inclinava pelo pelo all’acqua, s’inchinava al mare e all’onda e subitamente si rialzava, ripigliava contegno per poi prostrarsi dall’altro lato e ripigliare posizione una volta ancora, a farci venire in mente a Masello quei pupi da prendere a pugni che ritrovano sempre l’equilibrio. Da lontano pareva sissignore una balena, non a modo di dire grossa come una balena, cicciona come una balena, grassa come una balena, proprio una balena vera, pareva un dorso di balena che faceva il paio con quel dorso di balena ch’era l’isola delle Pazze, forse un po’ più piccola, un’infante di balena al seguito della balena madre, e la cingeva torno torno, le faceva il giro e il rigiro in cerca della mammella, la barchetta navigava come un vaporetto trascinata dal ritmo della remata, tagliò quel latte ch’era diventato il mare, intra un’unica linea di nero, la barca avanzava a sobbalzi e sovvertimenti, emergeva la prua con quel suo nome pittato, Mariabbondanza, si sganciava dall’acqua e ricadeva, pareva fosse la barchetta a farci tutta la fatica, a sbuffare e crocchiare intra a quel cambio di fase tra acqua e aria, a darsi la spinta e lo sforzo per sfuggire all’onda: Masello se l’osservò quella barca e quella donna, a mezza voce mormorò, Ma che ci starà a pescare la Mariabbondanza? senza sapere che nominando la barca diede pure nome alla donna – se ne stava sopra alla barchetta con le anche aperte per tenere l’equilibrio e, a ripetizione, come pigliata da un astio contro l’acqua marina, gettava le reti e le ritirava a bordo. A Masello, quel nome gli faceva una tavolozza di colori intra alla capo, un quadro a meraviglia si faceva, se l’azzuccherava a destra e a manca, s’accavallavano pensieri che partivano dal suono che faceva quel nome, quasi sentiva una musichetta a pronunciarlo, a scivolare su quella legatura tra nome e opulenza, Mariabbondanza, che pigliava la rincorsa all’inizio della parola e poi si lasciava trasportare fino alla fine, come fare un salto e ricadere, a una a una unì altre parolette per assonanza, Mariabbondanza/ ci chiudemmo intra alla stanza/ ti spogliai con crianza/ tutta culo tetta e panza/ tu m’attizzi Mariabbondanza e sebbene ancora non la conoscesse di persona, già gli faceva il rimbambimento d’innamorato, una con quel nome, che da sola se ne andava per mare, che donna era questa donna, a sé stessa bastante, la Mariabbondanza? Gli era talmente familiare e reale e presente intra a se stesso che si convinse fosse, non già uguale, ma molto simile a una statua di madonna che aveva fatto l’anno prima, quasi che n’avesse fatta prima la statua e poi la persona, quasi l’avesse immaginata prima ancora d’incontrarla.

Una normalissima questione privata
cui s’era ritrovato ad assistere
manco ci stesse spiando dal buco della serratura,
un gesto, per dirla, che quasi lo fece crollare al suolo

Intra a tutta quella vastità che voleva essere, tutta quell’acqua, quell’apertura, Masello c’ebbe l’impressione a un impicciolimento di tutto, un restringimento come intra a un catino, il mare rimaneva sullo sfondo e invece la Mariabbondanza s’ingigantiva al confronto: Masello non riusciva a scorgerne il volto, ne sentiva solo lo sforzo intra a quella remata, faceva tale e tanto movimento che le onde s’irradiavano dalla barca trascinando quel biancheggio di medusa intra al saliscendi d’acqua e di schiuma. Il nome di Mariabbondanza sulla fiancata, d’un chiaro simile al pallido di mare, risultava più evidente intra al contrasto con il nero pece dello scafo. La barca aveva percorso un centinaio di metri ed era quasi scomparsa alla vista, dietro uno spuntone di roccia che apriva a un’insenatura più avanti, un piccolo porto che prendeva il nome di Posto Rosso. Prima di raggiungere la costa, che ci bastava quasi tirare la fune per essere portata a secca, disegnò un occhiello intra a mare, girò lentamente su se stessa e rimise la prua verso il largo per poi fermarsi dopo pochi minuti. Pareva che la barchettuzza c’avesse fatto tutta la manovra per assistere a uno spettacolo, che dopo essersi pigliata popcorn e limonata c’avesse messo i piedi distesi sopra a un puff. Ancora più strambo gli arrisultò quello che fece la Mariabbondanza, la femmina e donna. Si levò, per dirla, in piedi sopra alla barca, quasi maremotando il mare intorno, intra a un gran sollevarsi d’onde e di schiume, si sistemò a prua, sollevò la veste fino alle cosce e s’assittò pizzo pizzo alla paratia della barca, con il culo strabordante fuori bordo e la gonna a calare lungo la fiancata, che anziché Mariabbondanza, ora si leggeva Mari e danza, a dire danza di mari, un balletto che ci facevano le acque, acque sopra e acque sotta, con la spumarola a movimentare la barca o viceversa la barca a provocare la marea, intra all’impresa di non affondare lei e lei, Mariabbondanza e Mariabbondanza: che ci starà a fare quella benedetta donna, dopo essersene andata mare mare, ora decide di piantarci le tende, la Mariabbondanza Rimase tutto fermo intra a quella maniera per alcuni minuti, la barcuzza in obliquo a rischio di catapultarsi e la donna assittata con la faccia rivolta all’isola e il culo all’acqua. Masello camminò lungo un sentiero inghiaiato tra rocce e arbusti di mare, tenendo un occhio al terreno per non capitombolare e un occhio sopra a quel mistero di donna e di barca. La Mariabbondanza si rimise in piedi, s’allisciò la gonna lungo i fianchi e rimase a rimirarsi il mare da quel lato. Masello s’accorse allora che una parte della scritta Mariabbondanza s’era passata da bianca candida a giallastra, intra a una macchia che partiva dall’alto e finiva intra all’acqua: eccolo lì il grande misterio glorioso, misterio naturale e normalissimo, una pisciatina a mare aperto della Mariabbondanza, acqua intra acqua, a sbeffeggiarlo lo Ionio ammedusato, una normalissima questione privata cui s’era ritrovato ad assistere manco ci stesse spiando dal buco della serratura, un gesto, per dirla, che quasi lo fece crollare al suolo, giacché se l’era disegnato uguale sputato intra alla capo per tutta la vita, d’una donna sicura e fragile allo stesso tempo, capace d’andarsene da sola per mare e di trovarsi naturalissima col culo di fora accasciata sopra all’acqua, e quella donna siffatta, quella donna sarebbe stata per l’appunto la donna della sua vita. Gli parve pertanto, intra a quella intimità che gli aveva offerto, intra a quella sua raffigurazione precisa identica della statua della madonna, gli parve di conoscere quella donna da sempre pure che nella realtà l’avesse vista una volta sola e da lontano, che magari quello era per l’appunto amore – hiii che parole Masello! Amore…

***

SECONDO ESTRATTO

Vedete là?
Terri d’Otranto
Feline, Tugli e Parabìta
la città bella
kalè polis
e poi
Aquaricca e Alissano
Tre Case, Prisicci e Patù
Li vedete li fuochi
di Matino?
Non viene voglia d’esser lì?
Tra i cispi e le cirase
spampanando fiche
intra a un sol gesto
mangiarle
intra a un sol boccone,
intra alla vocca vorace
rotolarvi la verd’oliva
passarvela di là e di qua
come a un pinsiero lieve
ballare
cantare
dondoliare
cotolare i fianchi
‘mmenz’i campi fare all’ammore,
non vi manca tutto questo?
Vedete là
subra la tierra ficonda
c’assotterra li morti e rivivisce li vivi
ommini
sgubbare aggubbati
subra a pommi doradi
lucidarseli
subra a pantaloni terragni
mozzicarli
infrisellarli
ringraziari d’essere vivuti
e là
donne
figliare
mammane
nascìre
intra alla grazia di vita
patire
gioire
leggère pregare
vedete là
il faro
la torre campanara
l’orologio
la cattedrale,
casa nostra.
Mò venite con me
da st’altro lato
solo alto mare
noi simmo genti semplice
genti acqua e sale
mò ditemi:
che vedete a qua?
Acqua
acqua di mare
acqua e sale
a qua ci sta solo acqua
vastità
terribili, sinz’aria
e noi
noi simmo genti semplice
genti acqua e sale:
a qua sparimmo
simmo nenti a qua.
Mò di nuovo con me
una volta ancora
là, vedete?
Fiammelle sulla plaia
di là c’è qualcuno
le vedete le lanterne
e le fiaccol’alte
c’è qualcuno
c’è qualcuno!
Amiche
gridiamo insieme
Ehi di costa
Ehi!
Brave
ammenatevi
braccia all’aria
scapigliatevi
come pazze
gridate
con speranza
con ardore
Ehi di costa
siamo qui
da sta parte
da sta parte
matri mia
la speranza
come germe
come verme
come pianta
come seme
come creta
come terra
come prece
come perla
come spiro
come rivo
come strazio
come lodo
la covo
come ovo
intr’al tempio
intr’al tempo
la speranza
carni a sanguo

sanguo a carni

matri mia
matri mia
la speranza ho nel grembo
aspetto un figlio
aspetto un figlio
sarò
matri.
D’intra a una notte scurosa
addò no iantò gallo
addò no lucì luna
m’insognai
per ogni dove
niuro fumo
affumacato
soffocante
puzzoliente
come zurfo alla zurfara
come fumo di focara
per lo ‘nvierno
tra foco e fiamme
grandincendio
ferro ardente
e là dintra
là nascosto
intr’all’ombra, malombra
un diavolicchio
piccoletto
rachitello
un animalo
cogli occhi abbracciolati
i fiammelle sui capiddi
co’i pedi da cabrone
la coda
‘mmenz’ i gambe
m’agguardava
dalle nari
suspiroso
il respiro abbruciacchiato
li cornicchi
spunteolati
e che parole ci diciva
parìa un toro
e che cavuto ci faciva
uno squaglio
un bollore
una vampa
d’intra a me
fora a me
d’intra a me
fora a me
d’intra a me
fora a me
d’intra a me
fora a me
d’intra a me
fora a me
uno ‘nfierno
un solo attimo
poi scomparve
poi un gran friddo tutt’intorno
un gelo bianco
luminoso
come morte
come vita
un brivido
m’arrisvegliai così
da quel sogno insonnolato
indiavolata
sudacchiata
e ingravidata.
Che fanno?
Sinni vannu?
Farabutti
ehi
spittate
dove andate?
Amiche
non piangete
la speranza ci sostiene
là vedete
la tierra non è distante
è uno sfioro
una carizza
a natare ci s’arriva
Nisciuno sa natare?
Non sarà difficile
l’acqua è amica
io ci provo.
S’alza l’acqua
l’acqua è fridda
la notte è fridda
friddo è il core
chi ci viene?
chi mi segue?
Voi continuate a gridare
brave così
io chiamo aiuto
arriverò
verso costa
arriverò.
S’alza l’acqua
l’acqua è fridda
la notte è fridda
friddo è il core
i pedi sprufondano
nonn’è difficile
ce la fò
ancora tocco.
Pè sto figlio mio
pè sto figlio mio
pè sto figlio mio
la speranza
sarò matri.
S’alza l’acqua
l’acqua è fridda
la notte è fridda
friddo è il core
Ehi di costa
per di qua
da sta parte
verso st’isola
di pazze:
noi
isolate
impaurite
solitarie.
S’alza l’acqua
l’acqua è fridda
la notte è fridda
friddo è il core
accorrete
ch’i m’affoggo
sto sinz’aria
respir’acqua
acqua e sale
acqua di mare
s’alza l’acqua
l’acqua è fridda
la notte è fridda
friddo è il core
s’alza l’acqua
l’acqua è fridda
la notte è fridda
friddo è il core.
Matri
matri mia
‘maro mare
‘mara me
mirami:
mi moro.

 

(foto di Unsplash)

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2 Commenti

  1. […] Questo  è un estratto, anzi due, di uno dei libri che era finalista con il mio romanzo al Premio Calvino 2014. Si tratta di “Genti a cartapesta”, lo ha scritto Fabio Greco e merita di trovare una casa editrice alla svelta. Forza. […]

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