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Scrittori da tradurre: Wolfgang Hilbig

di Giorgio Mascitelli

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Alcuni anni fa, mentre mi trovavo in ospedale per un’operazione non grave ma che aveva comportato il ricorso all’anestesia totale, ricevetti il mattino successivo all’operazione un messaggio di uno dei nostri migliori germanisti, che naturalmente non poteva sapere dove mi trovassi, annunciante la morte dello scrittore tedesco Wolfgang Hilbig. Confesso che, in quella mescolanza di confusione mentale, stanchezza e spaesamento che i risvegli ospedalieri portano con sé, ebbi la debolezza di considerare quella circostanza un segno, non nell’accezione religiosa del termine, ma come una sorta di constatazione dello stato del mondo: avevo da poco tempo scoperto la narrativa di Hilbig ed ecco che mi veniva annunciata la sua morte, perdipiù non in età avanzata e mentre mi ridestavo in uno stato non ancora sgombro dall’ipocondria. Bisogna però dire che non c’è nessuno a mia conoscenza più adatto per essere il protagonista involontario di un aneddoto del genere, per il quale userei l’aggettivo unheimlich  ‘inquietante’, di questo scrittore, purtroppo non tradotto o quasi in italiano.

Wolfgang Hilbig è stato un grande scrittore della DDR, dove il complemento va letto nel duplice senso di argomento e di provenienza, che non si è però cimentato in una letteratura di denuncia alla Vite degli altri delle condizioni di vita nel suo paese, pur trattando a pieni mani anche la tematica dello spionaggio diffuso, fenomeno tipica nella DDR e negli altri paesi dell’ex blocco comunista. Lo stato caserma, benché evocato nella sue storture repressive e nelle sue incongruenze e follie, diventa invece un campo d’esperienza per un soggetto che è spesso alla ricerca di sé stesso. Non a caso la critica ha fatto il nome di Beckett: infatti l’assurdo di Hilbig non è mai l’evocazione dell’assurdità dell’ordinamento burocratico dello stato né tanto meno la sua manipolazione śveikianamente comica, ma è una rappresentazione di una condizione esistenziale che è in corrispondenza e in dialogo con l’assurdo del sistema.  Per esempio in Ich ( forse il suo romanzo più importante) il protagonista, scrittore nonché spia della Stasi, è incaricato di seguire un altro misterioso scrittore, ma la sua ricerca sempre di più si confonde in una sorta di nebbia densa di dubbi sulla propria condizione umana, che termine in uno stato delle cose non troppo dissimile da quello di Moran in Molloy.

Hilbig è stato un grande lettore di E.T.A. Hoffmann, anzi un aneddoto, non so se veritiero o meno, vuole che Hilbig abbia impiegato i primi denari incassati all’Ovest nell’acquisto dell’opera omnia dell’autore romantico. Se per il lettore italiano Hoffmann è essenzialmente lo scrittore del fantastico e dell’inquietante, nell’ambito del romanticismo tedesco i suoi testi più forti sono quelli che mettono in scena la sensibilità dell’artista, insicura ma onesta, di fronte alla farsa, alla meschinità e all’ipocrisia delle regole sociali. Il personaggio hoffmanniano vive la tragicommedia dello spirito poetico e dell’alta fantasia umiliati e censurati dalle regole sociali, senza neanche un spicchio di azzurro del cielo in cui librarsi, in una chiave al tempo stesso sentimentale e ironica.  Forse il filo hoffmanniano è quello più adatto, almeno inizialmente, a diventare la via d’accesso per entrare nel mondo e nella fantasia di Wolfgang Hilbig.

L’opera di Hilbig è spesso esplicitamente autobiografica e la sua biografia è densa di tratti caratteristici, dal notevole potenziale aneddotico: dalla vicenda dell’arresto  nel 1978 alle accuse di traffico di valuta estera dopo la pubblicazione di un libro di poesie nella Germania Federale passando per le rituali e grottesche contestazioni di decadentismo borghese da parte della critica di regime per un autore che aveva svolto il lavoro di caldaista per mantenersi e altre mansioni operaie. La vera cifra autobiografica è però la costante fedeltà tematica e l’incapacità di distaccarsi dalla sua inquietante patria, unheimliche Heimat, anche quando venne meno come realtà politica. E tuttavia la sua consistenza onirica o meglio di exemplum della desolazione del mondo non è mai venuta meno nella libera fantasia di questo autore.

In Das Provisorium, il romanzo più direttamente autobiografico che narra del passaggio di uno scrittore dall’Est all’Ovest negli anni Ottanta grazie a un permesso provvisorio di espatrio a cui si riferisce il titolo, la scena termina con l’uscita dalla stazione del protagonista che vede brillare al sole la scritta pubblicitaria della multinazionale AEG. Insomma sembra dirci l’autore che nel paradiso delle merci non c’è storia da raccontare perché non c’è campo di esperienza, da qui la fedeltà non certo ideologica ma squisitamente letteraria alla claustrofobica distopia della DDR. Era quanto è lecito attendersi da uno scrittore che, per parafrasare alcuni suoi versi, porta in sé una libertà che si sostiene con muri e si allaccia con catene.

Negli anni novanta meritoriamente il Saggiatore ha proposto in italiano un volumetto di suoi racconti dal titolo La presenza dei gatti, qualche anno dopo sulla benemerita rivista Sud con Francesco Forlani e Domenico Pinto si è proposto ancora qualcosa, ma è inutile nascondersi che le opere maggiori di Hilbig, a differenza di quanto successo in Francia, restano sconosciute per il lettore italiano. Si tratta di un vero peccato che non si riesca a leggere questo grande scrittore di un mondo così vicino  così lontano ed è un peccato non tanto per ragioni documentarie, ma perché le sue storie, sia pure in maniera indiretta e non certo letterale, illuminano anche i nostri casi presenti. Insomma, sopra un certo livello, la favola narra sempre di te e in questo, credo, consiste il piacere della letteratura.

 

 

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9 Commenti

  1. Grazie per aver ricordato il grande Hilbig! Soprattutto mi sembra interessante l’idea della “condizione esistenziale in dialogo con l’assurdo del sistema”. Potremmo sentirci per parlarne? Avrei una proposta: un suo racconto tradotto tempo fa, che si potrebbe riproporre su NI o altrove. massimo.bonifazio@unito.it

  2. Ho un’amica che si è laureata in Italia a Torino con tesi su Hillbig. Può interessare contatto?

  3. Ottima idea introdurre Hilbig in Italia – bravo Mascitelli. Sull’aneddoto ho però qualche dubbio, visto che Hoffmann nella DDR era disponibile in tutte le biblioteche e la stessa Aufbau aveva cominciato la ristampa di tutte le opere nel 1976 – considerata la massiccia ricezione del romanticismo negli autori DDR, a cominciare da Fuehmann, Wolf ecc. ecc.
    La tesi ( torinese) su Hilbig di Vogliotti è un lavoro solido, certamente utile.
    Anna Chiarloni

  4. Grazie a Marco Drago e Anna Chiarloni: se è la stessa persona a cui vi riferite ed ha qualche proposta da fare può contattarmi tramite Eulalia. Sull’aneddoto: ho usato una formula dubitativa perché non ho trovato conferme nelle note biografiche più serie, anche se il suo senso non era tanto quello di sottolineare una mancata conoscenza di Hoffmnn fino al passaggio all’Ovest, quanto l’importanza per Hilbig dello scrittore romantico talmente grande da indurlo a spendere i suoi pochi soldi per procurarsi un’edizione completa.

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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