Recensioni e tasso di recensionabilità (esercizi di contabilità letteraria)
di Giacomo Sartori
Allora, sono già passati sei apprensivi mesi dall’uscita del mio ultimo romanzo, un altro strato di claustrofobici mattoni di carta si sta sedimentando sopra quello prevacanziero, dove già si notano ragnatele e avvisaglie di muffa (prodromi dell’oblio definitivo?), nell’inesorabile compiersi dei cicli letterari, è ora di fare un po’ di bilanci! Io sono di quelli che pensano che nella vita bisogna sempre cercare di migliorare, e per realizzare questo la prima cosa è fare periodicamente il punto della situazione, non esitando a vedere le cose come sono, e se necessario scavando nella carne viva (una sorta di autoanalisi). Pronti soprattutto a ammettere che si è sbagliato, o insomma che il male viene da dentro.
Andiamo con ordine, e cominciamo a contabilizzare le recensioni cartacee che il mio romanzo si è meritato:
- recensioni su quotidiani nazionali: 0;
- recensioni su settimanali (di qualsiasi genere): 0 (per rigore metodologico non conto quella su Internazionale, perché scritta da una cittadina americana, che nessun analista serio potrebbe includere nell’insieme patrie lettere);
- recensioni su quindicinali (di qualsiasi genere): 0;
- recensioni su riviste letterarie mensili: 0;
- recensioni su riviste letterarie trimestrali o quadrimestrali: 0;
- recensioni su riviste culturali (senza considerare la cadenza): 0;
- segnalazioni o interviste su radio nazionali (assimilandole a prodotti cartacei): 0;
- passaggi su reti televisive anche regionali (assimilandole a prodotti cartacei): 0.
Il totale, non bisogna essere molto forti in matematica, fa zero. Io adoro gli esiti estremi e la purezza (parlo della letteratura), e amo superare me stesso, quindi non posso non provare una certa soddisfazione. Non vorrei apparire ironico, perché non lo sono (anche se è vero che per certi aspetti la cosa mi procura un insano gaudio). Come dire, accetto questi risultati che sono forse coerenti con il mio modo di essere e il mio statuto di clandestino (privo di documenti identificativi) nello staterello delle lettere.
Ma entriamo un poco nei dettagli. Si sa, con le case editrici molto piccole bisogna arrangiarsi, e quindi oltre al ruolo di scrittore (uso questo termine solo per conformismo espositivo, per parte mia mi ritengo piuttosto uno scrivente), che si aggiunge a quelli di indagatore di terre forestate, di giudice di terre dissodate, di studioso di umificazioni, di cartografo, di insegnante, di malato cronico, di marito, di cuoco, di donna dei mestieri, di figlio sinistrato, di fratello rompicoglioni, di volontario, di confidente sentimentale, di blogger (un pochino), di veterinario (la gatta dei vicini), di giardiniere (la selva quasi vergine davanti casa), di pallido flâneur, e mi va bene che non ho figli o madri con l’Alzheimer, tocca accollarsi anche quello di ufficio stampa (a sostegno di quello anemico della bella casina editrice), alias di questuante. E quindi con la morte nel cuore, ho cercato di lambiccarmi per fare del mio meglio, mettendo in moto tutte le mie capacità (come sempre), seppellendo ogni fierezza.
Scusandomi dell’uso corrivo, e certo criticabile, del termine critico (che del resto include anche gli sporadici soggetti femminili, a dispetto di un’utenza precipuamente femminile), analizziamo assieme i risultati:
- critici che mi hanno risposto “le dico francamente, non me lo mandi, perché in questo momento ho la scrivania sommersa”: 4;
- critici che conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “ti dico francamente, non mandarmelo, perché in ogni caso non potrei parlare del tuo libro, perché non sono io a decidere”: 2;
- critici che conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “lo leggo molto volentieri, ma sa com’è, quando sei in pensione nel giornale non conti più niente”: 1;
- critici che conoscono benissimo e apprezzano il mio lavoro e mi hanno detto “lo leggo senz’altro, solo dammi un attimo”: 2;
- critici che non conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “me lo mandi, lo leggerò volentieri” (ma il tono del messaggio era forse ironico?): 1;
- critici che non conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “me lo mandi, lo leggerò” (ma il tono del messaggio era forse rassegnato?): 1;
- critici che non conoscono il mio lavoro e mi hanno detto “me lo mandi, cercherò di leggerlo (ma il tono del messaggio era sufficiente, o peggio strafottente?)”: 1;
- critici che conoscono il mio lavoro e che mi hanno detto: “sa, a forza di leggere e recensire libri ho provato una grande stanchezza, e ora non faccio più nulla”: 1;
- critici che conoscono benissimo il mio lavoro e che mi hanno detto: “sai, non collaboro più con nessun giornale” (dando a intendere l’ingiustizia connessa): 2;
- giovani critici molto influenti che conoscono il mio lavoro e che mi hanno detto quasi papale: “proprio non voglio leggerti, non sai scrivere” (il piglio non era affatto ironico): 1;
- critici che conoscono bene il mio lavoro e non mi hanno risposto: 1;
- critici che verosimilmente non conoscono il mio lavoro e non mi hanno risposto: 3;
- professori universitari di letteratura di chiara fama che certo non mi hanno mai sentito nominare, e che non mi hanno risposto: 1;
- professori universitari di materie psicologiche che certo non conoscono il mio lavoro, e che non mi hanno risposto: 2.
Tirando le somme, il tasso di risposte è stato davvero molto alto (soprattutto se si esclude l’ultimo sottoinsieme, corrispondente a tentativi espletati in realtà per curiosità, se non per gioco). E questo è un insperato risultato. Perché queste persone avrebbero dovuto rispondermi, in un paese in cui per costume nessuno risponde, quando non c’è in gioco un tornaconto personale o un obbligo istituzionale? E invece si sono prese la briga di perdere un po’ del loro tempo per farmi sapere qualcosa. Certo, io avevo cercato di essere meno invadente e importuno possibile, mi ero scusato e avevo sottolineato in tutti i modi la mia strisciante docilità, la dolorosa consapevolezza dell’incongruità quasi patetica del mio agire, in certi casi la mia ammirazione (genuina), ma loro non mi hanno mandato a quel paese. Io credo che si deva sempre guardare al lato positivo delle cose. Di nuovo, non faccio dell’ironia, lo dico davvero, e anzi mi piacerebbe poter esprimere in qualche modo la mia riconoscenza, perché questi individui retti, hanno compiuto un piccolo atto a cui nessuno li obbligava. Forse lo hanno fatto perché gli facevo pena, o per carità cattolica, o per timore che diventassi insistente (cosa che non farei mai), ma insomma il mio rapporto con la critica, chiamiamola così, si può considerare complessivamente positivo.
E se questo romanzo non si è guadagnato delle recensioni, lungi da me ogni pusillanime e risibile vittimismo, vuol dire che non le meritava. Probabilmente quell’ammasso di parole scritte senza fretta non valeva che si spendesse su di esso un pacchettino anche affrettato di parole scritte, probabilmente i cristalli di senso che io pensavo averci riposto erano vetracci comuni. La pioggia di altezzosi rifiuti editoriali che aveva incassato sembrerebbe fare pencolare la bilancia in questo senso. Con l’aggravante allora di aver io coscientemente appesantito una produzione libraria per ammissioni di tutti già pletorica (senza parlare dei risvolti ecologici, ai quali sono assai sensibile), esacerbando il sovraccarico dei poveri critici. E forse anche di aver abbassato, seppure infinitesimalmente, il livello mediano già non eccelso.
Certo, non sono solo ingenuo, anche se veglio a preservare la mia ingenuità (essenziale per quello che scrivo), se la mia fosse stata una muscolosa casa editrice, o anche una casina seducentina, o se fossi stato un giornalista di nome, una presentatrice, un’astronauta, o anche solo un incestuoso critico, o un politico con melensi afflati narrativi, o anche solo il tema fosse stato meno ostico, e il fraseggio più empatico, o più ammiccante, il tasso di recensionamento (t = R/Sa x100, dove R sta a numero di Recensioni e Sa a numero di Sollecitazioni autoriali non auspicate) si sarebbe impennato, ma la storia non si fa con i se, e io sono pago di quello che sono, e del risultato che ho conseguito. Come dire, il rapporto che intrattengo con la letteratura è viscerale e fondamentalista, e certo quei succinti componimenti, per quanto molto auspicati, per quanto arguti e incoraggianti, non lo avrebbero alterato più di quanto gli incitamenti e le spintarelle sostengono un ciclista stremato dall’erta. La mia vera forza, come quella del ciclista, sta nei miei polpacci, aiutati dal mio personale doping, la stima di certi corridori (di parole) che ammiro, di atleti di altre squadre meno consanguinee, meno anossiche.
Affrontiamo adesso il capitolo dolente delle spese, che erodono il già esile anticipo ricevuto:
- spese di affrancatura nazionale (“piego di libri”): 1,28 € x 21 = 26,88 €;
- spese di affrancatura nazionale con frode (“piego di libri” contente una frase o un testo, esplicitamente vietati): 1,28 € x 11 = 14,08 €;
- spese di affrancatura da paesi esteri 7,00 € x 11 = 77,00 €;
- spese di affrancatura da paesi esteri e pericolosi 21,10 $ x 1 = 21,10 $;
- spese per buste imbottite con bollicine esplodenti stressicide (al netto delle buste riciclate): € 15,20;
- spese per copie inviate: 0,00 € (gentilmente concesse dalla casetta editrice).
- spese per antidepressivi (di varia natura) e di antidoti per qualche attacco di nausea: 173,25 €.
Insomma, ci sono anche svariati contro, ma poteva andarmi molto peggio, con un testo tanto pessimo: potevo ricevere ingiurie, o magari denunce penali, multe. Fermo restando che nella vita non è sempre facile vederci chiaro. Forse se me ne restavo quieto (come certo farò in futuro, archiviata quest’ardua sperimentazione) qualche critico saturo di mainstream e medietà e nepotismi avrebbe scritto una recensione: non sarebbe la prima volta che un romanzo pessimo viene considerato, succede anzi ogni giorno. O forse il mio romanzo non è poi così pessimo, vallo a sapere (come ponderare un albergo, se nessuno gli ha attribuito le stelle?). Ma allora? Allora scrivo un altro romanzo, sforzandomi che sia meno pessimo possibile, e ancora più integralista.
Las cuentecitas que los pobres hacen nunca salen bien (canzone gitana)
(l’immagine: installazione, curata da Gaetano Vella e Giampaolo Riolo, sulla scalinata della Cattedrale di Agrigento)
il cartello, ci vuole un cartello appeso fuori, sulla porta della stanza dello scrittore: je vous emmerde!
Che vuol dire?
non stare a badargli, delira!
:)
il cartello, Giacomo, il cartello
effeffe
cartello?; intendi car-tel-lo??; mai sentito
Vi rendete conto, vero, che la sufficienza con cui voi avete trattato la mia domanda non è poi così diversa dal trattamento che ha ricevuto il romanzo di Sartori?
scusa Anna, questa era solo una parentesi degli sciocchini (ma anche molto determinati) che siamo; il Cartello è un gruppetto informale di scrittori di NI che bazzicano per la Francia e che hanno deciso di fare alcune attività assieme, proprio partendo anche dalle constatazioni di cui si parla qui; ma effeffe non ha capito che io avevo capito benissimo l’allusione, e ha trattato con sufficienza me… e insomma ti prego di non averne a male
:)
una recensione ai critici.
O dello scrivere e pubblicare senza le “relazioni giuste”.
Giacomo Sartori scrive molto bene, lo sanno tutti (lo so perfino io). L’autocompiacimento pacificato dei minoritari, però, lasciatelo dire, non lo sopporto proprio.
Auguri per il prossimo romanzo.
@Dinamo: ti adoro (e grazie)
Si potrebbe ideare un’altra formula, più semplice, lineare, diretta, credibile: se un libro viene prima rifiutato da tutti gli editori fino ad esser pubblicato da un editore più che minuscolo (in un paese, come è l’Italia, ancora dotato di molti editori, non pochi come si suol dire ‘di ricerca’, e dove per lo più si sovrapubblica), e poi, da pubblicato, e forte di un autore che comunque (a quanto risulta dal testo) il campo letterario-critico-giornalistico-editoriale lo conosce, genera recensioni in numero di zero, si può stabilire che detto libro non vale niente*.
* esiste ovviamente un Δ di errore stimabile attorno allo zero virgola qualcosa percento che coincide con la possibilità che il libro in questione sia un capolavoro troppo avanti con i tempi. Δ che tuttavia pare escludibile visto che in genere gli autori di capolavori tendono a non andar per blog a piagnucolare.
piagnucolare? non mi sembra che il mio tono sia piagnucolante; andare per blog? (che blog?; questo è l’unico blog sul quale scrivo, poco, da anni);
e comunque il rischio delle “formule dirette e semplici e lineari” è di vedere solo le proprie idee già fatte, per parte mia preferisco le distinzioni e gli approfondimenti; e mi piacciono pochissimo le caselle già pronte, quasi sempre inadatte e forzate;
il problema purtroppo c’è, ed è molto grave, e riguarda ormai tanti autori italiani, anche grossi nomi (preferisco non fare una lista, che certo sarebbe incompleta), tutta una letturatura che viene definita ormai – con una formula di derivazione anglossassone – “narrativa letteraria”, considerata commercialmente marginale, se non peggio; probabilmente, se ne parlava recentemente con A. Inglese, si va verso una sua graduale estromissione dal mercato, come è successo per la poesia;
questo non vuol dire che non ci siano da noi autori assolutamente fuori dal mainstream e molto interessanti che pubblicano bene le loro cose, questo sì, ma la tendenza mi e ci sembra essere quella; anche proprio per una “autocensura” degli autori stessi, per un avvitamento del “sistema” su se stesso, sempre più autoreferenziale e chiuso su se stesso;
aggiungo che la collana di e-book “Reloaded” (Laurana) di Marco Drago, volta appunto al ricupero di testi di valore degli ultimi anni non più disponibili (la difficoltà diventa non solo pubblicare, o meglio pubblicare bene, che pubblicare è sempre possibile, ma anche ripubblicare i propri testi passati), non avrebbe senso, se la situazione non fosse questa; ma appunto ci si ritrova (nella collana è incluso anche il mio primo romanzo, e mi sembra di essere in ottimissima compagnia) in e-book, vale a dire un po’ “in castigo”;
e aggiungo anche che CartaCanta non può in alcun modo essere definito “un editore più che minuscolo”; ha in catalogo alcuni titoli di autori mondiali, ed è distribuito da Messaggerie; non si può dire impunemente cose che non sono vere;
Dieci anni fa, su questo stesso sito e sotto un topic del genere avrei fatto una domanda del tipo: “A cosa serve oggi uno che scrive bene o che ha una bella penna, come diceva la mia professoressa del liceo?”; ma nel quasi 2016, a far questa domanda sarei solo un coglione, per riattaccarmi ai discorsi più recenti di Inglese e quindi pace, saluti e stop.
Mi piace il commento di Francesco.
Scrivere è vivere con la sua memoria della lingua.
Scrivere è svegliare le gambe dell’infanzia.
Qualcuno legge.
In treno, nella casa, nel giardino.
Qualcuno aspetta
con le miei parole
tra la sedia e il mare
Qualcuno entra nel mio racconto
come nella mia casa.
Dovrebbe bastare.
Un commento al volo. I piagnistei letterari li conosco bene, come poeta. In poesia è un piagnisteo universale e equanime. Piangono i grandi come i piccoli. Quello di Sartori non è piagnisteo, ma un misto di insolenza e stoico guardare in faccia le cose. Ma pezzi come questo, basta leggerli, sono la riprova della forza di Sartori come scrittore, e della sua radicalità. Chi fa davvero letteratura, e non solo i poeti, rischierà sempre di più la via dell’underground. E l’underground puo’ anche valerne davvero la pena, a patto di essere non piagnone, ma incazzato e radicale e allegro e popolato. Sartori tu la tua parte la stai senza dubbio facendo.
Leopardi (non ricordo se in una lettera o nello Zibaldone) ebbe a dire pressapoco ‘….io non sarò nessuno…ma ho la consolazione che tanti pezzi grossi della lett. di oggi saranno presto…nessuno…’
Ma basta entrare in una libreria, titoli su titoli, copie su copie (American style…), romanzi su romanzi il cui destino è quello di pochi anni, poi sepolti dai nuovi titoli, a loro volta poi sepolti…
Allora?
Forse a partire da qui….Ma c’è una volontà di partire da qui?
Per giocare un po sul contrasto forse avresti dovuto scrivere pure delle recensioni dei recenti trascorsi(e comunque su ibs c`e` un massimo che ha parlato bene del tuo libro, se non ho travisato)
http://youtu.be/5fun7ndFv4g
non seguo in realtà molto, non sono un addetto al mestiere, mi imbatto solo in qualcosa su fb, e poi non sono così eroico, in realtà non amo la bagarre (e per quanto riguarda ibs adesso diranno che il commmento l’ho scritto io stesso!);
bella;
Essendo uno dei rari (a quanto pare) recensori di “Rogo”, mi sento almeno di striscio chiamato in causa. Il valore letterario del libro mi pare indiscutibile: Sartori scrive bene indipendentemente dal numero di recensioni del suo libro. L’indice di “recensionabilità” ha evidentemente ben poco a che vedere con la qualità del testo. Se la rilevazione fosse stata invece su base diversa (decine e decine di recensioni, tutte negative, per esempio) al posto dell’autore comincerei a preoccuparmi. Al contrario, il risultato esposto potrebbe condurre a conclusioni molto diverse: mettere in luce negligenze e disattenzioni nella critica. Infatti, il rischio di inabissarsi nell’underground per chi fa narrativa letteraria (ed anche poesia, ovviamente) di cui parlano Inglese e Sartori, mi sembra molto attuale. Ed allora esplorare (anche) l’underground per trarne qualcosa di buono da indicare a chi non ha capacità voglia o tempo per farlo dovrebbe essere proprio uno dei compiti dei critici.
@preziosi
va detto che il libro, se appunto per ora non ha ricevuto recensioni su carta (spesso con i piccoli editori arriva però qualche recensione “ritardataria”, per non dire “postuma”, proprio perchè viene data la priorità a libri più visibili), ha avuto diverse recensioni e note di lettura su blog e riviste letterarie on line, e insomma on-line, il che gli ha permesso di avere, o insomma di cominciare, una sua vita dignitosa, anche se certo limitata; quindi allora si tratterebbe di “underground on-line”…;
Credo sia piu’ semplice: anche il “mercato solidale” dell’attenzione critica verso le opere di literary fiction e’ saturo. Sapete meglio di me che la filiera e’ sommersa e che l’ “attenzione gratuita”, senza alcun tipo di gancio a renderla dovuta, e’ tecnicamente quasi impossibile, visto che i venti-trenta interpellati da Sartori sono inondati di richieste simili e tutto sommato equivalenti (uno che sa scrivere, una bella penna) giorno dopo giorno. Tornando a quel che si commentava qui dieci anni fa, al tempo sarebbe bastato ancora darsi fuoco davanti al duomo di Milano, magari per finire al Grande Fratello, oggi neppure quello. Oggi non passa, gratuitamente, neppure chi si suicida. Diciamo per onor di equita’ argomentativa che la literary fiction nel ventunesimo secolo occidentale e’ probabilmente residuale, schiacciata dalla contaminazione dei generi narrativi e dei media audio-visivi, giusto per tornare al piagnonismo autoriale, e che se tutto questo ha un senso sta nel bastonare l’ego dello scrittore e stimolarlo a trovare altri modi per far passare il mondo letterario che lo abita. Saluti.
A me pare che ciò che qui viene chiamata “narrativa letteraria” non sia residuale da una cinquina d’anni… è residuale da tempo, forse da sempre. Per non prenderci troppo in giro basterebbe penso riconoscere che a certe latitudini non basta scrivere da dio (e dio solo sa quanti pochi ne siano)… bisogna pure avere un dio che ti protegga – meglio se più di uno.
La produzione qualitatosa mediana invece perché dovrebbe avere più spazio di quanto ne ha?
@Giacomo: fin troppo gentile, prego.
sì, sì, hai ragione, e qui entra in gioco una particolarità tutta italiana (di certo in Francia, per esempio, questo fenomeno non fa parte della storia letteraria degli ultimi due secoli), vale a dire la completa e spesso omicida emarginazione di grandi voci, che vengono poi rivalutate poi; e il bello è che continua a succedere, sotto i nostri occhi, e ogni volta sembra (vista l’ideologia dominante focalizzata solo sul presente presentissimo, quasi esistesse solo quello) che si tratti solo di un caso isolato, e per converso si da per assodato che tanti testi osannati e premiati dal presente possano durare, quando è veramente difficile che possano essere letti tra 10 anni, se non forse solo tra 5 …
Riflettiamo nel concreto, Giacomo, sennò io faccio fatica a star dietro ai discorsi. Prendiamo per esempio il campo del qualitativo che ci sta tanto a cuore: dei nostri attuali aspiranti classici – Gianni Celati, Walter Siti, Giampaolo Rugarli e forse Emanuele Trevi – per proiettarsi nel futuro solo Giampaolo Rugarli deve riconquistare il posto che gli spetta nell’editoria di prestigio (non che Marsilio non sia di prestigio, intendiamoci, ma non basta forse a perpetuare un classico), posto che la sua distanza dal mondo accademico e i suoi scritti davvero corsari gli hanno nel tempo fatto scandalosamente perdere, tanto che alla sua morte non ho letto un solo articolo di saluto da nessuno dei siti letterari più in vista (Nazione indiana compresa). Vedi poi caro Giacomo che l’omicida emarginazione arriva proprio da dove non te l’aspetti, dai più strenui difensori della qualità. E mi domando questo: se non è narrativa letteraria di qualità Rugarli, chi lo è?
Forse allora è meglio guardare a Simenon, a Camilleri, a Elena Ferrante… e non farsi troppi problemi sull’estetica, le teorie, la qualità, la quantità, la realtà, la fiction, la non-fiction, novel, non-novel… Saluti.
d’accordo su Rugarli, ma devo confessare che quello di indovinare chi saranno i classici è un esercizio che non mi interessa per niente; come sappiamo diventano classici quegli autori che sono molto apprezzati nel tempo, vale a dire in epoche differenti, ognuna con le due ideologie estetiche etc.; forse i nomi che fai diventeranno degli apprezzati minori (Trevi non credo), forse scompariranno, chi lo può sapere (apprezzo moltissimi sia Siti che Celati, ma francamente non credo proprio che abbiano la “solidità” – ma appunto siamo nel campo delle vaticinazioni, per diventare classici); ma personalmente amo e ho amato e sono stati fondamentali per la mia formazione scrittori che non sono dei classici, perchè non sono amati da tutti; ma per nulla al mondo gli cambierei, nel mio pantheon interiore, con altri scrittori che classici sono invece considerati, e che a me dicono pochino; i classici diventano anche dei feticci, ma l’esperienza della lettura è un confronto interiore con un’altra voce umana, non l’incontro con un feticcio;
tra le righe del mio pezzo c’era piuttosto la scarsa capacità delle recensioni sui giornali a andare a trovare i testi che valgono, incapacità che come sappiamo caratterizza anche i premi (lì andiamo ancora peggio); sul web, questo non lo dico, perchè non mi centravo su quello, davvero ci si può fare invece un’idea, con un po’ di pazienza, dei testi che vale la pena leggere; ormai i blog sono numerosi, i recensori (alcuni molto affidabili!) anche, e anche su fb ognuno ha le sue persone “delle quali ci si può fidare”; quindi lì, pur nel marasma che caratterizza la rete (= sono segnalati anche moltissimi libri di scarso valore) le cose in un certo modo funzionano; però appunto quanti lettori hanno il tempo e la voglia, tolti i lettori fortissimi e qualche addetto al mestiere, per cercarsi le preziose imbeccate?
quello che volevo dire in fondo era questo!
Dinamo – per quel che vedo io, il literary e’ imploso perche’ malintesa via di affermazione espressiva, quindi status sociale come lo scrivere cattiva poesia, mentre fino a trent’anni fa era roba molto chic per davvero dotati, matti veri o nati ricchi. Faccio literary, dunque mi elevo, da qui lo tsunami. Metti anche che, dall’altra parte, ai critici curiosi si sono sostituiti minions pubblicistici modellati sulla suburra romano-milanese esondata in questi anni ed il gioco e’ fatto: i nostri indiani vanno in Francia, i pragmatisti in Inghilterra, i continentali in Germania ed i figli di nessuno fanno i blog da ultra-precari. Ai venti, trenta arbitri canonici di Sartori manderei petardi, non libri.
Giacomo Sartori ha parole di verità, chiunque abbia avuto l’avventura di pubblicare un libro lo sa. Solo chi vive riflettendo l’immagine distorta del proprio ombelico immagina e straparla di cose diverse. Naturalmente Giacomo Sartori è un ottimo scrivente forse è solo per questo che la somma equivale a zero. Per questo, è per questo. Propositamente continuo a pensare che vietare le presentazioni libresche per legge sia cosa buona.
Grazie. Questo articolo in un certo senso mi consola.
Pensavo di essere stato ignorato, ora scopro che in fondo non posso lamentarmi.
Comunque sono la prova vivente che un mese e mezzo di passaggi televisivi può non contare praticamente nulla al momento della pubblicazione effettiva.