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Le radici d’europa e il nuovo che avanza

 

di Giorgio Mascitelli

Nei giorni caldi della crisi greca di quest’estate l’argomento a favore della Grecia che un’Europa senza di essa sarebbe impossibile in quanto patria nell’antichità dei valori europei ha destato una forte reazione sia nel discorso mediatico main stream sia in numerosi interventi di privati cittadini in vari forum in rete. In Italia l’intervento più noto è stato quello di Claudio Magris sul Corriere della Sera, del quale però non intendo occuparmi in quanto in un successivo articolo nella stessa sede lo scrittore triestino ha relativizzato le proprie posizioni. In realtà la questione era ed è di poco conto: l’argomento, utilizzato in forma ufficiale da esponenti del governo francese e, credo, italiano, è evidentemente un argomento retorico e pletorico, che il linguaggio diplomatico ha usato sia perchè un’allusione alle radici classiche compare nella peraltro mai entrata in vigore costituzione europea sia come succedaneo nell’impossibilità di elencare tutte le ragioni a favore di una permanenza della Grecia nell’Euro, perché ne sarebbe emerso un quadro poco edificante dei comportamenti tenuti dai gruppi dirigenti della UE e in particolare di coloro che, specie nel governo tedesco, si sono eretti a custodi della morale pubblica.

E’ tuttavia possibile cogliere in questa piccola vicenda collaterale un paio di dettagli che consentono forse di riflettere qualche aspetto più ampio. Nel discorso mediatico l’argomento storico progreco è stato contestato con motivi egualitari ( nessun paese si può nascondere di fronte alle proprie responsabilità usando come paravento la propria storia) e con motivi morali ( i greci avranno anche fondato la democrazia, ma sono dei recidivi che hanno già chiesto tre anni fa degli aiuti concessi e che ora ne chiedono di nuovi). Ora ciò che vorrei sottolineare in queste obiezioni non è la loro pertinenza o meno ( a mio avviso esse sono in astratto accettabili, ma si basano su una ricostruzione dei fatti a dir poco parziale), quanto due presupposti che le caratterizzano: innanzi tutto che i comportamenti di intere nazioni cioè di entità complesse e collettive siano giudicabili con criteri uguali a quelli dei comportamenti individuali; in secondo luogo che non esista nessun senso storico negli avvenimenti, segnatamente quindi nessuna idea di giustizia e di responsabilità storiche.

Da un certo punto di vista non c’è nulla di strano in questi presupposti: in fondo l’immagine della Grecia moderna erede di quella antica è un’immagine umanistica, che si basa proprio su un sentimento di responsabilità storica e partecipa di quell’idea di comunanza spirituale nelle epoche propria dell’umanesimo, e ormai da decenni la cultura umanistica non è più considerata utile dalle classi dirigenti occidentali ed è stata sostituita in ogni campo dalla tecnocrazia.

Il problema comincia ad emergere, se si fa caso al fatto che l’idea stessa di Europa Unita non solo è un’idea umanistica, ma che nasce proprio dall’idea di un senso e di una responsabilità storici. L’unità europea è infatti il prodotto del desiderio di riscattare secoli di conflitti feroci tra popoli europei sentiti come fratricidi in nome di una civiltà comune. Se si mettono in discussione i presupposti umanistici di questa idea, non ne resta poi molto: in fondo lo spazio ideologico comune è quello occidentale, che vede negli Stati Uniti il vero paese guida, dentro il quale agisce una serie di nazioni ormai piccole nello scenario mondiale.

Vorrei precisare che, quando parlo di umanesimo, m’interessa innanzi tutto il suo aspetto di habitus, cioè, nel senso che Bourdieu dà a questa parola, una serie di criteri interiorizzati che inducono ad agire e comportarsi ed esprimere preferenze in un certo modo, e meno quello di dottrina o sistema di valori, anche se ovviamente il primo aspetto dipende dal secondo. Se questo habitus umanistico è ormai venuto meno, come dimostrano le reazioni infastidite nei media italiani e stranieri all’argomento delle radici greche dell’Europa, cosa lo ha sostituito? Sicuramente tra i governanti, ma ormai anche tra la maggior parte dei governati, la competitività ossi una mentalità volta alla competizione a tutti i livelli tra individui, tra aziende, tra nazioni come valore unico. La competizione può essere tutt’al più temperata da alcune regole che servono a mantenere in piedi il gioco e a limitare l’effetto far west o meglio a passare da un far west alla Sergio Leone dove gruppi di pistoleros si sparacchiano a vicenda senza cause efficienti a un far west classico dove sentimentali gentiluomini alla John Wayne sparano con tutte le ragioni di questo mondo agli indiani che non rispettano il patto di stabilità. Inoltre non bisogna dimenticare che, tra i gruppi dirigenti, regna l’idea che l’economia e in particolare la teoria classica sia giunta a un livello di predittività e rigore epistemologico che l’accomuna alle scienze dure. In un contesto di questo genere l’idea di civiltà europea o meglio di un’unione che abbia il compito storico di risolvere le contraddizioni di questa civiltà diventa, nella migliore delle ipotesi, un’idea come tante altre che una classe dirigente deve prendere in considerazione.

Nello stesso mese di luglio il governo ungherese ha annunciato la costruzione di un muro antiimmigrati al confine con la Serbia suscitando un’ondata di indignazione, alla quale mi associo. Questo annuncio oltre a indignarmi mi ha anche sorpreso perché la porzione di confine meridionale ungherese con la Serbia è molto piccola e largamente inferiore a quella con la Romania e la Croazia. Insomma, non riuscivo a spiegarmi il motivo della mossa ( pura propaganda? Mossa antiserba? E perchè mai, visto che a confinare con l’Ungheria è proprio la Vojvodina ossia la provincia autonoma serba dove vive la minoranza ungherese?), poi mi è venuto in mente che il regolamento di Dublino sugli immigrati impone che a vagliare e accogliere eventuali richieste d’asilo e a farsi carico dell’assistenza sia il primo paese dell’Unione in cui l’extracomunitario è entrato. In questo senso il muro è la prova giuridica che eventuali stranieri sono entrati in Ungheria da frontiere comunitarie e debbono essere espulsi verso quei paesi. A questo punto è facile immaginare le tensioni e le ritorsioni che ne nasceranno.

Ecco, quando parlavo di sostituzione dell’habitus umanistico con quello della competitività, non bisogna immaginare cose astratte, ma questo progressivo scontro su ogni cosa senza una logica politica di medio periodo, come se lo spirito di Django o di Sartana si fosse sostituito a quello di Erasmo.

 

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4 Commenti

  1. estremamente espressiva la similitudine tra i paladini e i garanti dell’ordine monetario dell’eurozona e john wayne che le suona alle bande sbandate degli indiani .

  2. Ma Bourdieu è quello che ha inventato la poltiglia bordolese, cioè il verderame? E cosa c’entra che indossasse abiti eleganti? Comunque mi servirebbero cento euro, me li presti in nome dell’umanesimo? Io non ho i soldi per fare il migrante, servirebbero 5000 dollari circa per pagare la mafia e non ce li ho, però se vuoi faccio finta di essere musulmano, parlo un po’ l’arabo. Ho la barba rossa, potrei passare per afghano. Se lo faccio mi sostieni? La mia costosa cultura umanistica mi ha ridotto alla miseria, ho bisogno urgentemente di riciclarmi come profugo. Contattami privatamente, ti do l’indirizzo per inviarmi soldi su PayPal.

    • Ovviamente non ti presterei mai 100 euro, anche perchè dal tuo tono si capisce che ne vorresti molti di più, peraltro aiutare i poveri è un obbligo per i cristiani e non per gli umanisti. Se ne avessi la possibilità però, tasserei pesantemente i grandi capitali internazionali, così avremmo soldi, magari per aprire un centro studi sulle tradizioni della Val Pizzetta, dove potresti trovare un impiego utile e magari anche interessante senza bisogno di chiedere denaro agli sconosciuti, con il quale potresti comprare le scarpe che il piccolo industriale del paese vicino produce dando del lavoro; tutto ciò a patto che lui non pretenda di guadagnare troppo, perché se pretende di avere il ferrarino, la villettina al mare, quella in montagna deve trasferire le produzioni in Moldavia lasciando gli abitanti della Val Pizzetta delusi e incazzati. Se vuoi provare l’esperienza del migrante, ti metto in contatto con un ex redattore di ni che lo ha fatto, così ti può dare qualche consiglio.

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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