Nancy, Tonya
di Federico Pevere
Nancy ha gli occhi luminosi ed è la campionessa annunciata. Tonya è la perdente destinata. Entrambe danzano sul ghiaccio. Jeff è il marito di Tonya e ha un’idea. Shane è l’esecutore materiale di quell’idea, o meglio, di quella bastonata. Shawn è la guardia del corpo di Tonya e ha una visione invidiabile di tutto ciò.
Tonya ha il brutto vizio di fumare. Non potrebbe, lo sanno tutti. Se mai il telefono dovesse squillare, ovvero continuamente, state certi che Tonya sta fumando, ovvero continuamente. Tonya ama fumare, ancor di più se quell’apparecchio la smettesse di sghignazzare alla prima buttata fuori di fumo, come se lo facesse apposta. Ora sta squillando, ad esempio. Tonya appoggia il mozzicone direttamente sul comodino, la cenere in bilico pronta a cadere sulla verde moquette. Si costringe la vestaglia sotto le gambe, lentamente, ha paura che io possa intravedere qualcosa dalla finestra. Tonya. Alza la cornetta rosa, la piccola bocca mima una parola che rimane invisibile e attesa. Vuole riprendere dimestichezza con le parole. Sono giorni che non parla, preferisce ascoltare. E’ una delle poche donne di poche parole. Riprende la sigaretta, Tonya sospira, Tonya aspira, la vestaglietta rosa già imprigionata dal filo del telefono rosa, tra le gambe. Butta fuori tutto il fumo che è in lei, che è lei, ansima uno svogliato “Tonya”. Non dice Tonya per farsi riconoscere. Lo fa per ricordarsi chi è. Jeff, dice Jeff. Lui sa benissimo chi è, fin troppo. Dice Jeff perché Jeff è il segnale che tutto sta procedendo per il verso giusto. Inutile dirlo, non era stata una scelta poi così azzeccata quella di usare come segnale la parola Jeff visto che è il nome di uno dei mandanti dell’operazione Nancy. Ma a Jeff – a chi altri sennò? – è sembrata la scelta più logica fin dall’inizio. Qualcosa va storto, mettiamo che Shane si tiri indietro all’ultimo, Jeff chiamerà Tonya e rimarrà in silenzio ad ascoltare Tonya aspirare. Invece Shane si dà da fare, colpisce e colpisce il ginocchio di Nancy e porta a termine il lavoro? Jeff sorriderà dicendo Jeff. Tonya risponderà con un Festeggiamo stringendosi, lei così piccola, tutta. Una bambina alle prese con tutto quel rosa. Festeggiamo, dice ancora più lenta. Sì, Jeff, Festeggiamo. Le gambe quasi cedono, si dilatano sulla verde moquette. Non hanno paura, finalmente, quasi sorridono dall’eccitazione. Ora Tonya sembra quasi morta, tutto quel rosa sul verde. Ne sono abituato, torno a concentrarmi sul giardino di neve. Qualcuno arriverà.
Shawn, dannazione! fallo entrare! Mi urla addosso Tonya alla finestra. Jeff è lentissimo, io un pallone gonfiato di neve. Si muove fra i rifiuti di Tonya come ubriaco. E’ esausto, suda. L’unico a sudare oggi 6 gennaio 1994 a Detroit, Michigan. Tonya quasi si muove sul posto, come una gattina in attesa di una ricompensa, vuole sudare e vuole Jeff. E lui che entra quasi sfondando la porta, che già guarda la vestaglia rosa di Tonya, poi Tonya, poi di nuovo la vestaglia. Spogliati, Forza, dice spostando lo sguardo verso il letto, quasi slogandosi il collo. Tonya non aspettava altro e mi sbatte la porta in faccia, Bye Shawn. Non ha fatto altro che spogliarsi e rivestirsi negli ultimi giorni, l’unico allenamento cui poteva aspirare la Tonya di questi giorni d’attesa, di questo piccolo gennaio che precede l’Operazione Nancy. Corre in bagno, la piccola luce verde illumina Tonya, gli occhi pure loro piccoli pure loro verdi si rivestono, mettono a fuoco la figura di Tonya tutta che si riveste ancora, l’abito nuziale usurato, il suo corpo in via d’estinzione, capace solo di sminuire ciò che lo copre, appiattendosi, sparendo, Tonya. Ripete la parola Festeggiamo, Festeggiamo, Festeggiamo allo specchio. Lo specchio vorrebbe essere dell’altro, trasparente, piuttosto che riflettere mangiarsi tutta questa neve.
La videocamera s’accende. La gamba di Tonya che quasi abbraccia la spalla infreddolita di Jeff. S’avvicina, vuole provocarlo. Il seno piccolo, quasi svuotato, di una Tonya che quasi sorride, che quasi non è lei da quando ha ripreso a mostrare i denti, a fingere di sorridere. Lui la sfiora tremando. Lei si gira di scatto, il vestito nuziale si alza, le mani quasi toccano il pavimento, le gambe tese: non vedo quello che vede Jeff. E ancora, lui che chiede di farlo ancora, quasi lo sussurra pur di non farsi sentire. Poi i denti di Tonya smettono di mostrarsi e ricominciano a fare la cosa che sanno fare meglio. Mordere Jeff.
Vieni qui, piccola, ansima un Jeff non più ubriaco. Il dito di Tonya zittisce subito quella bocca impertinente, Ehi ehi, non correre troppo, prima raccontami tutto, voglio sapere assolutamente TUTTO, tutto di quel maledetto ginocchio destro. Aspetta, aspetta piccola, il sinistro vorrai dire? Merda, Jeff! Maledizione, il destro! dove cazzo è Shane, urlaccia Tonya rincorrendosi per la stanza. Shawn vieni subito dentro! sbraita Jeff dalla finestra, finestra che vorrebbe essere specchio. Me ne sto lì sull’ingresso, fermo, immobile, un pupazzo di neve capace di respirare. Tonya quasi si consola nella sua vestaglia rosa. Signorina Tonya, così la saluto, come se la signorina Tonya fosse una bimbetta e io, Shawn, il suo maggiordomo facilone. Adesso prendi l’auto e vai a casa di Shane, recuperi la sua testa di cazzo e me la porti qui, corpo compreso. Adesso! Capito?, sbraita Jeff completamene nudo. Tonya non la smette di girare.
Appena fuori, immobile. Mi sistemo la neve, comincia a prendere forma, comincio a prendere forma. Poi m’incammino diretto verso casa, quasi piango dalla contentezza e nulla si scioglie. Non ne voglio più sentir parlare, perlomeno per qualche giorno. Far sparire tutto, i denti di Tonya, il cazzetto moscio di Jeff, quell’idiota di Shane, e poi Nancy, quella poveretta che non c’entra nulla e si ritrova con un ginocchio – quello sbagliato, pure – spezzato in due. Dimenticare tutto, prendere dell’altro ghiaccio. Fino a quando smetterà di nevicare. Poi parlerò con qualcuno di tutta questa storia. Al caldo, possibilmente.