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Europa rapita

di Giorgio Mascitelli

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Circa vent’anni fa un vecchio esponente democristiano, non mi ricordo più se schierato con Berlusconi o con il centrosinistra, disse che preferiva la Macarena a Bandiera Rossa. Credo che avesse fatto questa affermazione in risposta a una domanda di un giornalista che gli chiedeva di commentare il fatto che il congresso di Rifondazione comunista si era chiuso intonando il vecchio inno. In questa battuta, che esprimeva largamente il senso comune, non si sosteneva soltanto che il consumismo aveva sconfitto il socialismo e ogni altra ideologia politica, ma nell’anteporre ironicamente un motivetto di successo a un canto politico emergeva per così dire un’antropologia implicita e assertiva: di soli consumi vive l’uomo.

Non che naturalmente questa antropologia sia priva di fondamento, anzi essa è autorizzata da un certo sviluppo storico delle società occidentali. Uno dei suoi corollari è che la partecipazione politica  del cittadino può e deve essere molto blanda e che qualsiasi forma di cittadinanza attiva, così pericolosamente vicina a quella che una volta si chiamava militanza, sia superflua, nella migliore delle ipotesi. Ovviamente la democrazia fa parte del kit della società dei consumi, ma esse viene intesa come una serie di procedure e di questioni amministrative anche importanti,  che tuttavia non avrebbero mai modificato nell’essenziale il tenore e i modi di vita della popolazione. Insomma le condizioni che si erano precariamente realizzate con il boom economico venivano percepite come un assoluto immodificabile, come una sorta di epifania della vera natura umana.

Piaccia o meno, era questa la cultura diffusa in cui è nata l’attuale Unione Europea, quella di Maastricht, degli anni novanta, prima era un’altra cosa per via del contesto internazionale.  Visto gli indubbi vantaggi che presenta per il potere una concezione che si rapporta così distrattamente alla dimensione politica, le élite europee lungi dal combatterla l’hanno coltivata, anche perché le idee dominanti sono quasi sempre quelle delle classi dominanti.

Ora, anche se non vivessimo in un’epoca di crisi e di repentini mutamenti, una siffatta mentalità sarebbe stata  largamente insufficiente per avviare un autentico processo costituente europeo, immaginiamoci in una situazione come quella attuale.  Inoltre questa scarsa propensione alle dimensione politica è stata rafforzata dal grande potere del capitale finanziario privato che è ormai, per usare l’eufemismo oggi in voga, postdemocratico.

In un contesto del genere qualsiasi contrasto che in una società democratica dovrebbe vestire le forme del confronto e, talvolta, perfino del conflitto politico, assume invece vesti diverse, pericolose che di solito attingono a un immaginario in grado di riattivare certe mitologie del passato e quando si riattivano le mitologie, esse poi hanno un funzionamento quasi automatico, macchinico, per dirla con Furio Jesi.

Per prendere il toro per le corna: nell’attuale vicenda greca la narrazione mediatica, ma ispirata da una parte influente dell’èlite europea,  è basata sullo stereotipo razzista del greco fannullone e un po’ imbroglione, al quale è stato risposto con un altro stereotipo ossia quello del tedesco  nazista, e prima ancora sul mito, solo apparentemente meno pericoloso, che le grandi questioni economiche dipendono in maniera automatica e consequenziale dai comportamenti individuali. Eppure lo scontro in atto sulla Grecia è descrivibile come uno scontro tra una parte politica che a fronte a un rischio di fallimento dello stato ha deciso di tutelare i grandi creditori privati, ivi compresi alcuni greci, e una parte che non accetta che a pagare i costi di questa tutela sia essenzialmente la popolazione.  Insomma lo spazio che dovrebbe essere della politica viene occupato dal rancore ancestrale, dal pregiudizio e dal mito.

E’ inutile lamentarsi della diffusione dei populismi, se poi sono le stesse classi dirigenti europee che preferiscono affrontare le proprie battaglie in una veste mitologica, pur di non riattivare processi di politicizzazione nella popolazione: almeno in parte sono esse stesse a fornire il propellente per i movimenti populisti. Altresì è molto pericoloso bollare come populiste tutte le forze che criticano gli attuali assetti europei e internazionali perché ciò rischia di fomentare una cultura autoritaria.

Il ruolo per un europeismo attuale, che non sia un irenistico richiamarsi a valori incomprensibili ai più, è  allora  nel politicizzare lo spazio europeo proprio nel momento in cui le sicurezze anche consumistiche dell’uomo europeo vacillano, come potrebbe confermare chiunque debba campare con un minijob nella ricca Germania.

E insomma, visto che ho parlato di mito, spero che mi si perdonerà se indulgo alla debolezza di paragonare la situazione attuale a quella di Europa rapita dal toro.

 

 

 

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6 Commenti

  1. scendendo un attimo dal mitico al bovinamente grezzo: in Grecia c’è un governo di sinistra, eletto e, come si è visto nel referendum, con un forte sostegno popolare. Ciò non va bene all’Europa dei potenti e dei prepotenti e debbono inventarne d’ogni per metterlo in difficoltà. Temo che, almeno nel breve periodo, ci riusciranno.

    • Lo temo anch’io, Antonello, ma anche se l’epilogo di questa storia non fosse così drammatico, i veleni messi in circolo restano

  2. Anche l’Europa dei “prepotenti” si fonda sul voto popolare. E guai a contrapporre il socialismo al comunismo. È una sciocca vocazione ascetico-minoritaria per la quale “abbiamo giá dato”.

      • Chi ha scritto che le èlite europee mancano di voti? Ho scritto che, specie in Germania, le mitologie populiste sono l’accompagnamento necessario del successo elettorale. Sul consumismo ho scritto che esso fornisce un’insufficiente base antropologica e culturale per un’operazione come quella dell’unificazione. Insomma mi auguro che anche nell’intelligente vocazione edonistico-maggioritaria resti l’abitudine di leggere con attenzione l’inerlocutore

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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