T or C
Marco Reali, Verità o Conseguenze, La Vita Felice, 2014, 128 pag.
Scrivere ma soprattutto pubblicare racconti è di per sé una sfida. Nessun editore si vuole arrischiare, tutti ti dicono: i racconti non vanno. Ma come. E Carver? E Borges? E la Munro, che con i racconti ha vinto il Nobel? Forse non vanno solo in Italia. Ecco che allora molto coraggiosamente ci provano in due: La Vita Felice, che da decenni si dedica essenzialmente a pubblicazioni di poesia (e già questa è una bella sfida editoriale) e Marco Reali, che per vivere fa lo stesso mestiere che faceva Edgar Lee Masters quando pubblicò l’Antologia di Spoon River: l’avvocato. Direbbe qualcuno: che ci azzecca la giurisprudenza con i racconti. Nulla. O meglio: il filo sottile che lega la ricerca della verità, che non è mai assoluta ma sempre relativa. Sia per l’avvocato che per lo scrittore.
Sono racconti, quelli di Marco Reali, costruiti su reminiscenze di viaggi. Si spazia dall’India alle isole Frisone, dai cimiteri parigini al “cielo immenso” del Montana. Racconti in forma di viaggi e viaggiatori in forma di protagonisti. Gente che cerca se stessa, che cerca un altrove, una collocazione della propria identità nella storia e nella geografia del globo terrestre. E dell’universo. L’americano Dave Lovich, padre e non-padre della giovane Geena, il cuoco Ferdinand Louis Herzog sepolto in due cimiteri diversi, il fotografo Alain Laval che vaga per un’isola sperduta “auscultandone il respiro”, il polacco-guatemalteco Felix Kaminsky che trasforma il caos in falsi d’autore, Mariolino che fa viaggiare nel tempo la sua vendetta inconscia, l’io narrante di Diario indiano. Sono tutti personaggi che si muovono senza una meta precisa, per il puro gusto di viaggiare o forse per una necessità dinamica dell’universo di cui sono minuscoli ingranaggi, talvolta avendone la consapevolezza. Obiettivo non è un’ipotetica destinazione ma il viaggio in sé. Un viaggio nello spazio e nel tempo. Che, ormai lo sappiamo, sono un tutt’uno: lo spazio-tempo. E lo sa ovviamente anche Marco Reali.
A questo punto bisogna spiegare il perché del titolo, ostico come una formula matematica ma chiave di lettura che apre ciascuno dei sei racconti. Tutto parte dal nome curioso di una cittadina del Nuovo Messico, Truth or Consequences, subito abbreviata in T or C. Che significa proprio questo: verità o conseguenze. Sorta come Hot Springs, si è affrettata a cambiare il suo nome in T or C nel 1950, quando il conduttore del celeberrimo show radiofonico “Truth or Consequences” ha promesso di trasmettere il programma dalla prima città disposta a cambiare il nome in quello dello show. Così per decenni, prima attraverso la radio e più tardi attraverso la televisione, “Verità o Conseguenze” è andato in onda da T or C. E T or C ha a che fare con la prima storia, tanto da suggerirne il titolo che dà poi il nome a tutta la raccolta: Verità o Conseguenze.
Ma se Marco Reali ama evocare programmi radiofonici e televisivi, è al cinema che fa riferimento la sua tecnica compositiva, quasi si compiacesse di scomporre e riassemblare le scene con giochi di montaggio e dissolvenze. Sino ad arrivare all’oggettività da cinepresa di un occhio che osserva o addirittura che osserva osservare: “Era solo una piccola fessura tra le assi che consentiva all’occhio nocciola di sbirciare oltre la porta”.
La scrittura di Marco Reali è densa, carica di allusioni e di rimandi, di soluzioni e di indizi che si nascondono dietro a ogni riga, di ironie e di sottile sarcasmo. Le immagini sono costruite attraverso descrizioni precise quanto suggestive, qualche esempio: “La novità era un tucano dall’enorme becco giallo arancio che li origliava dal suo trespolo. Paradossalmente inespressivo, nella maschera grottesca a cui madre natura lo aveva condannato”, “una poltiglia variegata di conchiglie frantumate”, “prati verdissimi solcati da sentieri ortogonali come campiture di Mondrian”. Molte le citazioni velate che a loro volta suggeriscono altre chiavi di lettura. Spesso si tratta di pittori, come se il mondo, letto attraverso la visione di Pollock, di Hopper o di Mondrian, sia tutt’altra cosa da quello che crediamo di conoscere. È la relatività del reale che affascina Marco Reali (guarda caso un’allusione addirittura al suo cognome!). Gli stessi eserghi che introducono tutti i sei racconti – a firma di Nietzsche, Proust, Thomas Albert Sebeok, Edward Norton Lorenz, Hobbes, l’apostolo Giovanni – sono ulteriori strumenti di approccio, come ha fatto notare Luca Milite, che si rivelano tali solo dopo la lettura del singolo racconto. E generano ulteriori rimandi.
Quello di Marco Reali è insomma un gusto ludico per il messaggio tra le righe, per il detto senza essere detto, per le verità non verità, che cerca la complicità del lettore sin dal Prologo: “Il paleontologo statunitense George Gaylord Simpson, nel suo The Mearning of Evolution (1967) asserisce che l’ostrica di duecento milioni di anni fa doveva avere lo stesso aspetto, e senza dubbio il medesimo sapore, di quelle che oggi si gustano nei ristoranti. Alle storie, mi dissi, non vale la pena attribuire più senso di quanto ne possa assumere il menù di un ristorante per l’arco evolutivo dell’ostrica. Quanto alle verità, universali o spicciole che siano, le loro conseguenze non sono poi dissimili dallo scarto di un errore”.
E per questo che le sei storie – anzi, sette con quella contenuta nel Prologo – sfumano una nell’altra. Sembrano formare un tutt’uno. Non dico un romanzo ma un solo unico eterno fluire, come se l’autore non sfuggisse mai alla consapevolezza che tutto giri su quella sfera intenta a ruotare nello spazio dall’eternità verso l’eternità. L’ultimo racconto si chiude con l’ennesimo viaggio, apparentemente quello finale: il volo di ritorno verso casa. Ma qual è la vera casa? Ormai per il protagonista esistono solo delle piccole certezze: “Il mio vicino di Bombay ormai sonnecchia come un grosso gatto con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra. L’inchiostro della notte ha già inghiottito la fusoliera dell’aereo”.
[…] di ROMANO A. FIOCCHI, “Nazione Indiana”, 13 aprile 2015 […]