cinéDIMANCHE #20 VIGO&KAUFMAN À propos de Nice [1930]


 

di Orsola Puecher

 
Fra il 1920 e il 1930 per molte giovani speranze del cinema il genere “ritratto di città” costituiva spesso una delle prime occasioni di lavoro e di importante esperienza formativa: con ⇨ Manhatta [1920] di Sheeler e Strand, ⇨ Berlino. Sinfonia di una grande città [1927] di Ruttman, ⇨ L’uomo con la macchina da presa [1929] di Dziga Vertov lidouavviene l’incontro tra documentario e avanguardia, fra cinema sperimentale e cinema verità e il paesaggio urbano diventa un laboratorio di innovazione formale, attraverso la trasformazione artistica della realtà quotidiana. Nel 1929 Jean Vigo [1905-1934], un’infanzia complessa, segnata dall’assassinio in carcere, fatto passare per suicidio, del padre, l’anarchico Eugeni Bonaventura de Vigo i Sallés, che si firmava Almereyda, anagramma di “y’a la merde“, dalla salute fragile e da lunghi anni di collegio, con i soldi ricevuti dal padre dell moglie, Elizabeth “Lydou” Lozinska, fa un viaggio a Parigi e si compra una cinepresa professionale di seconda mano Debrie Parvo 35 mm. Per qualche settimana fa l’assistente volontario a Léonce-Henry Burel, direttore della fotografia dei film di Abel Gance. Poi fa ritorno a Nizza, in Costa Azzurra, dove è costretto a vivere a causa dalla tubercolosi che lo affligge dagli anni dell’adolescenza e che lo porterà di lì a pochi anni, il 15 ottobre 1934, alla morte.
Lydou_JeanDue giorni dopo, un venerdì, Jean Vigo morì poco prima delle nove di sera, mentre dal suo appartamento si poteva sentire “Le chaland qui passe” suonata da un musicista di strada all’incrocio fra la rue Gazan e l’Avenue Reille. Lydou, stesa di fianco a lui, lo teneva fra le braccia e sembrava non essersene accorta. Poco dopo sfuggì agli amici e si precipitò per un lungo corridoio verso una camera in fondo. Fu riacciuffata mentre stava per buttarsi dalla finestra.[P.E. Sales Gomes Jean Vigo Le Seuil, 1957]

 

Lys GAUTY Le chaland qui passe [1933]

Questa canzone molto in voga in quegli anni, versione francese di Parlami d’amore Mariù del 1932, scritta da Cesare Andrea Bixio ed Ennio Neri e cantata da Vittorio De Sica nel film Gli uomini, che mascalzoni…, fu imposta dalla casa di produzione in sostituzione alle musiche di Jaubert per il film di Vigo L’Atalante, che con questo titolo, Le chaland qui passe, sarà ridistribuito nel settembre del 1933, massacrato da moltissimi tagli indiscriminati, dopo la tiepida accoglienza alla prima del 25 aprile dello stesso anno.


Dunque, tornato a Nizza, Vigo, alla ricerca del soggetto per il suo primo film, legge molto sulla storia della città, prende appunti, spunti, fissa inquadrature che gli vengono in mente camminando per le strade e osservando le persone, con un pensiero visivo, un’immaginazione istintivamente cinematografica che, con sguardo poetico e ritmico, cattura il movimento del mondo e della gente.
 
JEAN VIGO

vigo

da Pierre Lherminier
Jean Vigo Cinema d’aujourd’hui
Seghers 1967 [pag. 70-1]

 

I viaggiatori escono dalla stazione/il viaggiatore si siede sulla valigia/i valletti/gli impiegati d’hotel/i taxi/le automobili/l’interprete/una porta d’hotel che si apre/i facchini /un fattorino d’albergo che corre/si spazza una terrazza, una sala di ristorante/il maître d’hotel si aggiusta la cravatta/gli hotel visti a rovescio si raddrizzano/un ragazzo si aggiusta la riga/l’albero storto si trasforma in palma/una palma/la ramazza dello spazzino/l’onda che porta dell’immondizia sulla spiaggia/lo spazzino, che spazza/il casinò del molo/l’immondizia in piccoli mucchi/vicino allo spazzino/in grossi mucchi/vicino allo spazzino/il mare/la scopa/lo spazzino se ne va/spinge la sua vettura/vista della passeggiata vuota e senza alberi/il cielo/la biancheria/le poltroncine sono pronte/il mare/i gabbiani gli alberi allineati/il cielo/i bucati/i giocatori escono dal casinò/. Un giocatore/i bucati al vento/l’acqua scorre/l’immondizia nell’acqua/una donna mette le braccia al collo di un giocatore/la casa nella città vecchia con la vite rampicante/le monete che rotolano/il battesimo nella città vecchia/i bambini che corrono/le monete/la ruota della roulette/il gioco della morra nella città/i fiori con un supporto/prendersi cura dei fiori/la coltivazione dei fiori/la battaglia dei fiori/colpo di scopa/le armi di Nizza.


 
La visione poetica si trasforma nel film À propos de Nice grazie all’incontro con il direttore della fotografia russo Boris Kaufman.
 

Jean Vigo entra nella mia vita un giorno d’autunno del 1929. Non mi ha mai più lasciato, spiritualmente. In quel momento, in cui l’industria cinematografica mancava di coraggio, penso spesso alla maniera in cui Vigo si è buttato nella produzione del film.

da Bernard Chardère
Jean Vigo
SERDOC, 1961 [pag.28]

 
Lo spirito, la vivacità e la voglia di cinema di Vigo si unisce all’esperienza artistica e professionale di Kaufman, fratello tra l’altro di Dziga Vertov, che collaborerà con lui in altri due film della sua breve, fulminante e luminosa carriera, Zéro de conduit [1933] e L’Atalante [1934].
 

Lavorare con Vigo, il suo gusto sicuro, la sua integrità, la sua profondità e la sua leggerezza, il suo anticonformismo, l’assenza di routine di qualsiasi tipo, mi fecero entrare in un paradiso cinematografico.

[Chardère op. cit. pag. 33]

 
vigo
 

BORIS KAUFMAN

kaufman

da Bernard Chardère
Jean Vigo
SERDOC, 1961. [pag. 33]

 

Il punto di vista documentato. La vecchia Nizza, le strade strette, i bucati appesi fra le case, il cimitero barocco. I piaceri. Le regate. Le navi da guerra in rada. Gli hotel. L’arrivo dei turisti che abbiamo girato in stop motion con delle bambole da quattro soldi e un trenino per bambini. Le fabbriche. La vecchia donna. La giovane donna che si cambia i vestiti (effetto speciale) in piena passeggiata e alla fine appare nuda. Il funerale, girato in stop motion per velocizzare questa cerimonia poco piacevole per i turisti. I coccodrilli. Il sole. La donna struzzo. Il Carnevale, la battaglia dei fiori, le danze al rallentatore. Le ciminiere minacciose sopra questa assurda allegria.


 

 
À propos de Nice, il ritratto di città di Jean Vigo, comincia con un cielo notturno di fuochi d’artificio e una ripresa aerea, mosaico di piazze, strade, porto e mare, seguita da una sequenza di immagini da film di animazione per bambini, con un trenino giocattolo che deposita due turisti pupazzetti su un tappeto da roulette, poi spazzati via dal croupier. Il ritmo alternato delle brevi scene, montate per contrasto, racconta due mondi opposti: i giardinieri che potano e lisciano le palme della Promenade des Anglais, i camerieri che puliscono i tavoli e dispongono gli ombrelloni, gli spazzini che lavano le strade, sembrano preparare la scenografia per i turisti oziosi, i vecchietti catatonici venuti a svernare in Costa Azzurra, che presto popoleranno la città ancora vuota, indolenti e senza meta. Pupazzi di Carnevale, vengono anch’essi allestiti e dipinti per la sfilata dei carri. Nizza è filmata con una grande varietà di angolazioni inconsuete: da sopra, da sotto, anche in rotazione, disorientando le normali rappresentazioni da cartolina. La macchina da presa segue gli svaghi e i passatempi dei turisti con movimenti repentini attraverso la folla, spesso vicina al terreno e poi a zig zag tra i passanti; riprende lustrascarpe, venditori di cravatte e occhiali, fotografi di piazza, artisti di strada, una mendicante che mostra il suo bambino a una giovane signora elegante, che gira la testa schifata a lei e all’obbiettivo di Kaufman e Vigo. Riprese sportive di barche a vela, tennisti e giocatori di bocce in contrappunto con una corsa di macchine. La camera forse nascosta cattura lo scorrere del mondo: portare a spasso un cagnolino, bere, fumare, lo sbocconcellare annoiato al bar, spettegolare, leggere giornali, dormire. Il voyerismo è portato all’estremo, con ironia, nella famosa sequenza della donna che cambia vestiti in sovrimpressione, restando nuda nella stessa posa di neutra elegante nonchalanche. Le architetture liberty degli hotel candidi, in riprese ubriache, si contrappongono ai vicoli dei poveri, stretti, con camini storti, fili di bucati al vento, spicchi di cielo lontani. Al lavatoio donne lavano e immergono i panni nell’acqua torbida di sapone, in grandi teglie portate in bilico sulla testa arrivano le pizze di farina di ceci, i bambini per strada giocano alla morra con serio accanimento, i mercati popolari brulicano. Miseri i vestiti, mani deformate, volti mangiati da croste, pattume e rivoli di fogna, un gatto, elegante e incontaminato, come solo i gatti sanno essere, fra i rifiuti. Mentre nella città dei ricchi si balla, con abiti di lustrini e pose plastiche, sorrisi alla macchina da presa, inizia la sfilata dei carri allegorici, sguaiata e allegra, che dirompente domina il resto del film. Il Carnevale offre la visione di un mondo alternativo all’ordine costituito, di cui è un parodia grottesca e beffarda.
 

 
I pupazzi giganti di cartapesta rappresentano un eccesso sfrenato, un disordine controllato concesso una volta all’anno, e le ragazze sul carro si dimenano lascive, riprese dal basso, nel vorticare scomposto di cosce e mutande di un cancan al rallentatore, ben diverso dagli stilizzati Walzer da sala. Fra di loro balla, in un fugace cameo, alzando le gambe, Vigo stesso travestito da clown. Il regista che filma entra nel mondo che vuole rappresentare. Non è più un osservatore imparziale della realtà, ma sceglie una parte precisa, il Carnevale, in cui schierarsi. Ma l’allegria si vena progressivamente di minaccia e malinconia, appare una profetica parata militare, navi da guerra in rada nella baia di Nizza. Un cimitero monumentale sembra aspettare il futuro arrivo dei corpi dei ballerini, un funerale accelerato, come una scena di film comico, si contrappone alla sfrenatezza del Carnevale, in un movimento collettivo verso la morte di una società che, inconsapevole, ha i giorni contati. Le consuete scene sulla Promenade si mescolano con croci e tombe, statue addolorate, angeli barocchi, simboli di dolore, e in un verticalismo di ciminiere fumanti il viso maschera di una vecchi signora sembra essere inghiottito da una fornace di fiamme, fuoco in cui tutto pare bruciare e annullarsi: un grande forno crematorio in anticipo.
 
cinéDIMANCHE

 
cd Nella pausa delle domeniche, in pomeriggi verso il buio sempre più vicino, fra equinozi e solstizi, mentre avanza Autunno e verrà Inverno, poi “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera“, riscoprire film rari, amati e importanti. Scelti di volta in volta da alcuni di noi, con criteri sempre diversi, trasversali e atemporali.
 

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,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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