Le interviste possibili: Marco Missiroli
di
Bernardo Zannoni
Il libro Atti Osceni in luogo privato di Marco Missiroli mi ha strappato poche ore, due serate disteso sul divano e un pomeriggio di pioggia e nuvoloni. Quel tempo però ha saputo prenderselo con un certo fascino, con un mistero che soltanto lo slittare dei numeri a bordo pagina ha saputo farmi notare.
E’ una storia ordinaria quella di Libero Marsell, ingenua, scanzonata, svelata da qualsiasi intrigo che un romanzo possa tendere; si può dire che la direzione da seguire è una soltanto, quella della vita del protagonista, l’accompagnare il tempo che da bambino lo farà uomo.
E’ una bella passeggiata, quasi non fai fatica a vedere come da un bacio innocente si passa ad un amore vero e proprio, tutto si manifesta con una naturalezza tale che non può fare a meno di farti ricordare, vivere o rivivere quelle esperienze.
E’ un libro che ha il dono di far sovrapporre l’io di chi lo sta leggendo con quello di chi lo racconta, tant’è che quando l’ho finito, lungi dall’essere edotto di qualsivoglia verità oppure illuminazione, ho guardato però a quelle pagine con la stessa dolcezza con la quale si carezza una memoria intima, per un poco ho vissuto anch’io a Parigi e ho imparato ad amare.
Dopo aver letto il tuo libro ho pensato alla tua persona (e d’altronde, ci conosciamo); perché la necessità di scrivere un libro che parlasse degli atti osceni, e in particolare cosa intendi con quest’espressione?
Avevo bisogno di prendermi le mie libertà. I miei libri precedenti seguivano una struttura ed erano impostati in un certo modo, erano imprigionati in un rigore che li rendeva senza una vera liberazione, sia per me quando li ho scritti che per chi li ha letti. Questo libro non segue apparentemente alcuna forma, o meglio lo fa, ma sotto altri punti di vista: ho cercato di essere più spontaneo possibile e di non filtrarmi in troppi giri di parole, non mi riferisco all’oscenità in sé, ma alla naturalezza con la quale l’ho scritto.
Gli atti osceni sono le piccole libertà che ognuno si concede in un luogo suo, in un momento che gli appartiene, sono necessità che non possono essere mostrate a tutti, altrimenti perderebbero il loro valore.
Ci sono degli elementi collegabili con la tua vita? Quanto il protagonista (e più in generale la sua storia, i suoi incontri, le sue figure di riferimento) ha a che vedere con te?
Assolutamente si, come Libero, ho perso la verginità molto tardi. A Rimini di solito si ha una prima esperienza all’età di quindici, quattordici anni, troppo presto per dare un peso reale ad un gesto del genere. L’aver aspettato un po’ di più prima di lasciarmi andare mi ha permesso di imparare ad osservare il femminile, a farmi un’idea della donna più consapevole, matura, per quanto innocente. Ho la stessa timidezza di Libero Marsell, lo stesso approccio tardivo, il rosicchiare il cuore delle donne che, come lui, non avevo all’inizio, ma ho maturato nel corso degli anni.
A proposito dell’amore contemporaneo e del perdere la verginità a quattordici anni, qual è il tuo parere sulla precocità con la quale si impara ad amare ai giorni nostri? In che modo ha influenzato la tua storia?
Se Libero fosse cresciuto ai giorni nostri avrebbe scopato molto prima, e io non avrei scritto questo libro. Oggi la tecnologia è arrivata a velocizzare praticamente tutto, relazioni sentimentali comprese. I social network bruciano determinate tappe di un rapporto ma rallentano tragicamente un’educazione sentimentale che non si assimila ad un’età così giovane. La maturità sessuale va raggiunta gradualmente rispettando i suoi tempi e la crescita del cuore, se questa arriva in maniera forzata, quest’ultimo rischia di rimanere atrofizzato.
Perché hai scelto la scena di Parigi per la tua storia? So che abiti a Milano…
Parigi è sempre stata una città che mi ha seguito nel corso dell’infanzia; ho dato lì il mio primo bacio all’età di quattordici anni, durante uno scambio scolastico. I francesi, la loro cucina, la libertà che hanno avuto nella cultura mi hanno destato da subito un profondo fascino, un’attrazione che sento ancora adesso.
Camminare a Parigi, poi, è molto diverso che camminare a Milano; se nella prima il movimento sussiste da sé, nel senso che fare una passeggiata ha un valore, nella seconda non ci si sposta se non per andare da qualche parte.
Già partendo dal fatto che questo è un racconto diverso dai tuoi precedenti appunto perché divincolato da qualsiasi struttura, perché ha dato al protagonista il nome di Libero? E in che modo Anna glielo restituisce?
Libero era il nome di mio nonno, un contadino di Ravenna. Appunto perché legato alla stessa terra che lo teneva in vita non è mai riuscito a sentirsi all’altezza del suo nome né in grado di poter cambiare la sua condizione. Ho voluto creare un personaggio che gliela rendesse, quella libertà così agognata, che desse dignità al suo nome.
Anna è l’insieme di tutte le donne del protagonista; non sarà la più simpatica, né la più bella, né la più folgorante di quelle che ha avuto, ma alla fine lo fa essere ciò che è.
Bello. E quindi qual è la libertà in un rapporto, per te?
La libertà in un rapporto è quella di diventare se stessi, mentre quando si è soli, paradossalmente, spesso non lo si è; stando con alcune persone si può diventare altro da sé, con altre invece quello che siamo sempre stati, e Anna è una di queste ultime.
A proposito della tua candidatura al premio Strega…
Io e Feltrinelli abbiano deciso che Atti osceni in luogo privato non andrà, è un libro che può fare la sua strada in altre maniere.
L’ultima domanda che ti serbo è giusto un po’ spinosa. Mica un’intervista dev’essere tutta in discesa. Sento spesso accusare gli autori formatisi nelle scuole di scrittura di non scrivere libri di “pancia”; tutto fumo e niente arrosto, quindi, molta struttura e poca anima. Cosa ne pensi al riguardo?
E’ vero, alcune scuole di scrittura sono odiate per molti motivi; io ne ho frequentata una come studente lasciandola però a metà, ci sono tornato quest’anno coprendo il ruolo d’insegnante. Trovo che siano un ottimo banco di prova per misurarsi con se stessi e per approfondire la propria visione del mondo. Non sono scuole dove si impara il talento, quello deve essere preesistente al percorso che si è scelto, si cerca però di direzionarlo dove è più propenso a manifestarsi. Sono ambienti che possono servire a determinati tipi di personalità, ma che consiglio comunque di provare a chiunque ne senta la vocazione.